BOSTON - Boston (1976)

_Traccia 1: “MORE THAN A FEELING

I Boston si presentano al mondo con una rotonda assolvenza di una coppia di 12 corde, le quali arpeggiano all’unisono il tipico giro armonico RE/DO/SOL... forse la successione di accordi più sfruttata in assoluto sulla chitarra acustica, presente com’è in migliaia di canzoni.

E vi è subito il primo colpo di genio nell’arrangiamento: insieme alle due acustiche, piazzate ai lati estremi dell’immagine stereo, al centro arpeggia sempre all’unisono una terza chitarra, stavolta elettrica. E' distorta appena appena, tenuta a basso volume e pesantemente equalizzata (con sia le frequenze alte che quelle basse completamente azzerate). Ascoltata in solitaria essa rimanda un suono goffo e “telefonico”, in apparenza inutile epperò, addizionata in maniera quasi subliminale al brillantissimo sferragliare delle 12 corde ai suoi lati, aggiunge and esse un “corpo”, un “fondo” che rende ineguagliabile la resa sonica dell’arpeggio.

La 12 corde adoperata, incredibilmente, è una Yamaha da un centinaio di dollari, quindi uno strumento appena decente, appartenente al factotum dei Boston Tom Scholz. Il co-produttore John Boylan aveva offerto la sua Taylor da migliaia di dollari per l’incombenza, ma Scholz si era impuntato, conoscendo bene le caratteristiche del suo attrezzo entry level e la maniera per trarne il massimo profitto sonoro: i risultati gli davano ragione e Boylan lasciò avvedutamente nella custodia il suo costoso gioiello.

Vi è infine una seconda chitarra elettrica, questa a volume sostenuto, la quale pulita pulita suona degli armonici (note create non spingendo la corda sul tasto, ma solo appoggiandovi sopra un dito e poi liberandola subito dopo averla plettrata): il suo suono è anch’esso equalizzatissimo, compresso ad arte per renderlo prolungato e molto arricchente.

Basso, batteria e voce arrivano di lì a breve uno dopo l’altro e, manco a dirlo, risultano perfetti tutti e tre. Il basso, sempre Scholz a suonarlo, ha il punch più giusto che ci sia, arricchito in esecuzione da un sacco di dead notes, di appoggiature (= piccole note messe ad anticipare in levare quelle reali, per creare groove e dinamica) e una ricca fantasia melodica: ha un suo percorso, va a spasso su e giù per la scala armonica, evita accuratamente i “pedali” (= la stessa nota protratta, in quarti o in ottavi, per lunghi periodi) ed arricchisce ulteriormente la già pulsante tavolozza sonora.

La figura d’ingresso della batteria di Sib Hashian è creativa ed efficace, e così sarà per tutto l’album: un fronzolo ogni tanto, non troppi, ma tutti creativi, ben ragionati e "musicali". Però è la voce il vero evento: “pasta” celestiale, portentosa! Succede ben presto che già a fine strofa essa si inerpichi in alto, prima in falsetto e poi a piena potenza, rivelando tutta la sua emozionalità. Così anche il frontman dei Boston, il compianto Brad Delp, esce attraverso questi primi solchi dall’anonimato e si rivela al mondo col suo primo mirabile acuto, già solamente a 35 secondi dall’inizio del brano.

Immediatamente dopo esordisce, per un breve interludio, la chitarrona solista di Scholz, manco a dirlo anch’essa raddoppiata all’unisono per ingrossarne il timbro; del resto già incredibilmente pieno grazie ad una personalissima catena sonica messa perfettamente a punto dall’ingegnere/inventore/fonico/chitarrista/bassista/tastierista Scholz. La ricetta prevede innanzitutto l'uso di una Gibson Led Paul, notoriamente la chitarra col suono più “grasso”, caldo e sostenuto al mondo, per via dei suoi quattro chili e mezzo di mogano che gravano opprimenti sulle spalle di chi la suona, ma si ripagano donando grande pienezza e durabilità alle note.

Fregandosene dell’integrità del rinomato strumento, Scholz ha asportato i magneti originali Gibson sostituendoli con due Di Marzio, congegni fabbricati da un italo newyorchese allora quai agli inizi e che proprio grazie ai Boston otterrà definitiva affermazione. Sono più potenti e “cattivi”, molto utili per pilotare al meglio l’esuberante schiera di dispositivi elettronici a valle della chitarra. Vale a dire uno speciale compressore progettato dal chitarrista, capace come nessun altro di afferrare con dolcezza l’attacco prorompente del suono della Gibson e di stemperarlo in una scia lunghissima e piena, armonica. E poi eco e riverbero, insieme, a mettere aloni sapienti e all’occorrenza abissali al segnale originale.

Dopo l’intro di solista arriva la riconoscibilissima figura ritmica che caratterizza assai il ritornello della canzone: staccati un po’ in battere e un po’ in levare, leggermente funky ma distortissimi. La scelta di Scholz è di equalizzare con forza pure le chitarre ritmiche, togliendo loro molte frequenza basse e quindi il “fondo”, lasciandole abbastanza "ronzanti". Ne consegue che, nel missaggio generale, sotto i 100 Hz sguazzano solo basso e cassa della batteria, rendendo l’hard rock dei Boston assai poco heavy, non così pesante seppur così sonoro. Sopra le chitarre i fecondi cori a botta e risposta del refrain, tutte sovra incisioni di Delp, creano il celeberrimo “gancio” vocale che quasi chiunque riconosce immediatamente.

Dopo due giri strofa/ritornello arriva la classica variazione per introdurre il solo di chitarra. Anzi di chitarre, visto che viaggiano sempre in due, più spesso in unisono, qualche volta in armonia. Famoso e rinomato anch’esso, questa primo exploit solista targato Scholtz sinceramente non lo trovo così geniale. Nel senso che ne conosco di assai migliori dei Boston, anche in questo stesso disco (vedremo dopo). Comunque è il primo e rivela subito l’inclinazione di Scholz ad indugiare in mordenti (= rapide alterazioni una tantum dell’altezza della nota, per poi ritornare subito a quella originaria). Sopra ogni cosa, si dispiega lo stile di un chitarrista che pur possedendo l’indispensabile fraseggio blues, tende a superarlo per far “cantare” la sua chitarra, farle compiere un tragitto melodico dall’inizio alla fine piuttosto che frullarci dentro una serie di licks, di frasi fatte senza un senso compiuto globale. Aiutato in questo anche da un suono gigantesco, bombardone, pilotato dal compressore verso le frequenze più importanti per l’orecchio umano, quelle medie.

Le ultime perle a livello di produzione si captano bene nella sfumata finale del brano: il riff del ritornello si reitera e va in lunga dissolvenza, le chitarre soliste si fermano a vibrare un'ultima, interminabile nota che una combinazione di distorsione, compressione, delay e vibrato sostengono ad libitum, senza che venga persa un'oncia di volume e consistenza, con l’innesco dell’armonica superiore che ne altera pian piano il timbro: una magnificenza.

More Than A Feeling” va oltre la comune notorietà… è proprio uno standard, un evergreen, uno dei paradigmi della storia del rock. Eppure a mio gusto in questo disco viene solo per quarta come apprezzamento, ammirazione ed affetto! Su otto tracce in tutto. Questo (mi) spiega la qualità spaziale dell’album. Musiche che d'altronde possono pure non interessare, in particolare alle persone che rifuggono la ricchezza formale, la perfezione architettonica preferendo situazioni più stringate, approssimate, immediate. Son gusti, però è sbagliato pensare che non vi sia passione, trasporto, amore in queste canzoni così curate e pregne di lavoro e sperimentazione. Ce ne sono infatti un sacco, vi sono una quantità di notti, di anni passati in cantina a suonare, perfezionare, ripetere e ripetere, migliorare, raggiungere nuovi standard, esplorare, cambiare, tornare indietro e cambiare in un’altra direzione.

_Traccia 2: “PEACE OF MIND”

_Traccia 4: “ROCK’N'ROLL BAND”

_Traccia 7: “SOMETHING ABOUT YOU”

Questa triade di brani è il nocciolo duro rock’n’roll dell’album. Il proto-AOR dei Boston prevede per l’appunto l’appoggiarsi ad un tessuto r’n’r abbastanza tradizionale e accessibile, peraltro poi gonfiato (“bostonizzato”) da steroidi vocali e chitarristici, oppure organistici. Si salta perciò quasi a piè pari la seconda generazione del rock quella di Zeppelin, Purple, Sabbath eccetera, per restare su Chuck Berry e simili, però come già detto con un’architettura di suoni e arrangiamenti ben più generosa e detonante.

Molto apprezzato, nella ormai cinquantenne narrazione musicale di quest’opera, il primo dei tre contributi ossia “Peace of Mind” (a suo tempo terzo singolo estratto dall’album). Anche troppo secondo me, dato che lo vivo addirittura come sesto/settimo episodio, in linea gerarchica, degli otto totali! Preferisco già gli altri due: accessibili per accessibili, mi suonano più riusciti parlando di pop/r’n’r buono per tutti i livelli di ascolto.

Sono brani un passo indietro rispetto ai capolavori che li intervallano, assumendo la funzione di rendere il disco più commerciale e “semplice”, quindi risultano meno ricchi e sorprendenti tematicamente e in arrangiamento. Questo non significa che non siano, per come sono ben prodotti e sonorizzati e suonati, dei gioiellini… Vi sono le solite coppie di chitarroni solisti che imperversano nei prologhi, negli intermezzi strumentali, nei finali; e poi le abituali, serrate chitarre ritmiche, costantemente distortissime ed iper compresse. La voce altissima e radiosa di Delp vi viaggia in mezzo che è un piacere.

Descrivo un altro paio di sciccherie frullate nella testa dell’ingegner Scholz e messe particolarmente in pratica qua e là in queste canzoni: la prima è quella di rinforzare la coda delle note di chitarra solista con una traccia o due di canto in falsetto di Delp, così da raddoppiare, armonizzare, rendere ancor più musicale e penetrante la loro durata e decadimento. Voce e chitarre d’altronde, come timbro, hanno attacchi e “paste” simili; un missaggio oculato e il giusto dosaggio dei riverberi le compenetra perfettamente, con la voce che resta inintelligibile ma rende la chitarra più melodiosa: genio!

La seconda è l’effetto poi brevettato da Scholz con il nome “Hyperspace”. E’ una combinazione parecchio spinta di echi multitap (= ciascuno con un tempo diverso di ripetizione), reverberi, chorus e il solito compressore dal comportamento tutto suo, brevettato pur esso. Il nostro Tom inserisce quest’effetto “spaziale” ogni volta che applica sullo strumento la tecnica del pick scratch, ossia la strisciata di plettro sulle corde più grosse e ruvide, dal ponte verso il capotasto. La corsa del pezzetto di plastica lungo le centinaia di avvolgimenti di metallo della corda genera un suono/rumore appunto di strisciamento, che debitamente trattato ed enfatizzato dai dispositivi di Scholz dà per risultante un apocalittico ed efficacissimo arricchimento ai cambi di accordo, agli stacchi, ai preludi. Queste canzoni, le canzoni in ogni disco dei Boston, ne sono piene.

_Traccia 3: “FOREPLAY/LONG TIME”

E’ l’episodio più riuscito ed esaltante dell’album, non c’è “More Than A Feeling” che tenga. Il più lungo e pretenzioso, pure bitematico con “Foreplay” come prologo strumentale alla porzione cantata “Long Time”. Tonitruanza a fiumi e dinamica alla massima potenza, suoni tutti di cosmica qualità, sublime esaltazione di ogni strumento grazie ad una distribuzione perfetta nelle frequenze e nelle riverberazioni. Se esiste un pezzo rock che suona forte e chiaro , questo è “Long Time”, che d’altronde viene condito da indubbie spezie progressive dalla sua poderosa, barocca introduzione.

I giovanili ardori classici di Scholz sui tasti bianchi e neri, abbinati all’altrettanto giovanile e più superficiale voglia di caciara heavy metal sulla chitarra, trovano in effetti un’autentica, perfino eccessiva sublimazione in questo fragorosissimo “Preliminare” (traduzione di “Foreplay”). Concepito sin dal 1969, quando il factotum dei Boston era ancora un ventiduenne studente del MIT, il pezzo si estrinseca a guisa di lotta serrata fra musica classica e rock duro: da un lato i rapidi arpeggi Bachiani di Hammond, settato nei suoi registri più liturgici per quanto riguarda la tastiera inferiore ed all’opposto quelli più incazzati e sonori relativamente al manuale superiore; dall’altro lato eccoti i devastanti assalti delle Gibson distorte a tutta manetta, a un certo punto alternate da inserti martellanti di clavinet, tanto per pestare ancor forte, ma diverso. In uno slancio di generosità di Tom, per la prima volta anche al bassista titolare dei Boston Fran Sheehan è permesso di lasciare traccia di sé nel disco e far detonare il suo strumento sotto quel mare di organo mordace e di chitarre enormi.

Con la strumentale “Foreplay” siamo perciò in ambito al fortemente progressive, anche se è quasi un una tantum. La smargiassata ultra sinfonica e sfarzosa, obiettivamente di grana un poco grossa ma pienamente giustificabile come ouverture, termina ad ogni modo col suo passaggio più autenticamente riuscito e memorabile: a basso volume, e sbattute oltre l’orizzonte dal reverbero, delle serie di strisciate “hyperspace” nonché di poche, scelte note contigue sempre di chitarra, rimbalzano coi loro echi galattici ed altamente evocativi attorno agli ultimi rantoli liturgici di organo.

Il quale però, un attimo prima di rendersi del tutto intelligibile, torna su di volume, si gonfia, sale, sale e finisce per esplodere letteralmente, insieme a tutti gli altri strumenti, per lo spettacolare incipit di “Long Time”: qui è subito la chitarra solista, sonora e penetrante come non mai, a guidare le danze sostenuta da un delizioso, semplicissimo basso sincopato che le lascia praterie di spazio sonoro per tracciare profondissimi solchi di grintosa e tracciante melodia, sopra un accoglientissimo e indelebile riff dell’organo.

E per una volta non è Scholz il musicista al proscenio assoluto, perché la solista che abbaia encomiabilmente su “Long Time” è nelle mani del suo collega di gruppo Barry Goudreau! Il baffino Barry si mostra così, anch’esso e per ultimo, al mondo del rock, in questo gran finale di prima facciata dell’album. Debitamente indottrinato da Scholz, espone un suono molto simile a quello del boss, solamente un tantino più arruffato e sporco. Ma i “licks” che trova sono suoi, e sono bellissimi! La chitarra canta, anzi urla felice e turgida prendendosi ben tre assoli, uno introduttivo e due intermedi, in aggiunta staccando ogni tanto poderosissimi accordi sui quali la voce di Brad Delp, per fortuna sua e nostra altissima e penetrante, riesce a mantenersi ben salda e intelligibile.

Oltre alla preziosa tessitura d’organo, Scholz si riserva comunque ben tre break che collegano le strofe ai ritornelli, risolvendo questi ultimi alla grandissima con spettacolari inserti funky in solitaria, senza basso e batteria, perfetti per ravvivare dinamica ed interesse, i primi due eseguiti colle chitarre acustiche e il terzo con le elettriche.

‘Nabbomba! Secondo singolo estratto dall’album. Cinque minuti e mezzo (con “Foreplay” fanno quasi otto) di sconquasso hard rock tanto melodico quanto trascinante. Meglio di così non è possibile.

_Traccia 5: “SMOKIN’”

Per quelli che hanno sincera voglia di sentir correre a perdifiato il rock’n’roll arriva questo siluro boogie, veloce e pulsante all'estremo. Ad approcciarlo ci pensano le due abituali chitarre ritmiche distortissime e all’unisono, subito rabbiosamente raggiunte da batteria e basso, quest’ultimo puntuto e spumeggiante come la situazione esige. Magistrale l’accompagnamento sotto il ritornello: un alternarsi di solista, stacchi in accordo sincopati, pennate stoppate e ancora un ultimo stacco in levare, che ruba il tempo, quasi il fiato a chi ascolta.

Diversamente dagli altri, meno pretenziosi r’n’r del disco vi è, oltre al tempo di boogie e al ritmo ben più galoppante, un’estesa ed entusiasmante, trascinantissima ed epocale variante strumentale che giunge dopo gli abituali due giri strofa/ritornello: comincia l’Hammond di Scholz che in una perfetta, purpleiana trasmutazione in Jon Lord schizza note a tutto andare con consumato e swingante piglio jazz blues.

L’assolo viene interrotto da un rigoroso, “progressivo” passaggio in minore, proposto da un arpeggio combinato 12 corde/clavinet ritmato da un tesissimo stoppato di chitarre, sul quale trasalente si avventa l’organo tornato Bachiano e liturgico, a tutto volume; per poi riprendere l’assolo Lordesco con attitudine ancor più selvaggia, arricchita dalla ritmica con due micidiali stop, nel secondo dei quali si ammira un’altra botta di genio produttivo/arrangiativo made in Boston: un trillo d’organo che glissa verso l’alto (effetto impossibile da riprodurre suonando questo strumento).

Oggi con i computer sarebbe uno scherzo editare un simile glissato, ma Tom nel 1976 lo dovette realizzare premendo un dito sul nastro del registratore multipista, sì da rallentarlo quel tanto che serviva e poi pian piano rilasciarlo permettendo al motore del dispositivo di farlo tornare a velocità, e tonalità, normali. Mi immagino le centinaia di volte e le ore di tempo che saranno occorse a Scholz per rendere in maniera ottimale, intonata ed a tempo, quello che aveva in testa che venisse fuori!

Dopo i fuochi artificiali del break strumentale, il brano si concede un ultimo passaggio strofa/ritornello e lo stop finale, con un ultimo urlo dell’esuberante angelo Delp: quattro minuti di funambolico hard rock’n’roll con varianti e sorprese e un organo da favola. Ed è solo la terza/quarta canzone come valore assoluto (a mio gusto)!

_Traccia 6: “HITCH A RIDE”

Parte un nuovo arpeggio di acustiche, mirabile come e più degli altri, stavolta in tonalità di LA e non del solito RE, ma non segue il proditorio scatenamento degli strumenti elettrici come in “Peace of Mind”: la voce di Delp arriva sola soletta, vabbè sempre doppiata per arricchirne il timbro, semplicemente meravigliosa. Anche nel primo ritornello, diversamente da “More Than a Feeling”, non arriva la Cavalleria, con tutto il cucuzzaro di chitarre bombastiche e sciabolate d’organo: basso e batteria prendono ad accompagnare le stesse 12 corde propostesi all’inizio e Delp canta tranquillo, arricchendo via via il refrain con armonie e botta e risposta.

All’interludio della seconda strofa si degna di arrivare la prima chitarra elettrica, ma è semi pulita, bagnata di chorus e propone prima un contro-arpeggio e poi doppia le acustiche per tutta la sezione strofa + ritornello, che vede Brad Delp sempre più sostenuto da (splendide) armonie da lui stesso eseguite. Sembra insomma di trovarsi davanti ad un episodio di passaggio… una ballata semi acustica per spezzare i bombardamenti di tutti quei rock’n’roll belli gonfi e variegati che la circondano: le sorprese sono invece dietro l’angolo.

Delp non ha neanche finito di cantare il secondo ritornello che sopraggiunge l’organo più incazzato d’America che svisa, abbaia e striscia come non ci fosse un domani. A 1’42” si ascolta nuovamente un glissatone magistrale, ottenuto sempre in post produzione rallentando a mano la bobina del registratore. Particolarmente eccitante l’uscita dall’assolo, con degli accordi presi in maniera molto funky, ritmicamente esaltanti, che conducano ad un’inaudita botta di gong(!) ed all’arrivo dei chitarroni bombardoni. Ma essi risultano solo di passaggio, che presto tornano i cori angelici del ritornello, belli belli, e si è portati a pensare che sì, c’è stato del (sublime) casino d'organo in mezzo, ma questa ballata alfine diventata decisamente elettrica, sonora e pomposa, si stia avviando alla sua conclusione, un pò nello stile di "Behind Blue Eyes" degli Who.

Sbajato… Nella coda del terzo ritornello le acustiche svariano, prendendo stavolta a “girare” in RE e incomincia ad infilarsi fra di loro la chitarra solista, sin lì assente. Che poi sono due, come sempre: la solita coppia ai due lati dell’immagine stereo. Sono molto belle, eleganti e melodiche; “cantano” una loro melodia, diversa, si impennano facendo ripartire la ritmica, sviluppano una sorprendente “coda” del brano, in cui per la voce non c’è più posto.

Ma a 2’49” succede che esse si facciano da parte e subentri una nuova chitarra solista, stavolta al centro e da sola, meno reverberata e più presente, che riprende il discorso e “risponde” da par suo. Quattro battute e tornano anche le altre due, le chitarre ora sono tre e si armonizzano alla grande con un fraseggio irresistibile.

La melodia più bella viene descritta più in là dalle sole chitarre “laterali”, quella centrale se ne è appena andata ma non per sempre. A 3’06” la melodia discendente, struggente che esse dipingono all’unisono rappresenta il più esaltante, squisito momento nella storia dei Boston e uno dei vertici del solismo di chitarra.

Il duetto ricomincia col ritorno della solista centrale, con un nuovo apice espressivo che si palesa a 3’43” quando le tre soliste scatenate trovano insieme una svisata, un bending stratosferico in alto dopo una gragnuola di note. Poco dopo il “triello” chitarristico si spegne in un ultimo breve arpeggio acustico che porta all’acquietamento finale, scandito dal suono degli armonici di elettrica.

Altri quattro minuti imperdibili ed unici, che hanno insegnato diverse cose a tanta gente, persone colla giusta forma mentis, intendo.

_Traccia 8: LET ME TAKE YOU HOME TONIGHT”

La traccia finale dell’album è anomala: forse un necessario riempitivo, oppure un contentino dato da Scholz all’amico cantante. Fatto è che Tom aveva solo i primi sette pezzi pronti e finiti nella sua cantina/studio. Il coproduttore Boylan allora volò da Boston a Los Angeles col resto del gruppo, lasciando Tom a casa non si sa bene a che fare, e i quattro musicisti registrarono in loco questa ballata (con finale galoppante) composta dal solo cantante.

Si sente chiaramente che suoni, arrangiamenti, idee melodiche sono simili, ma al contempo diverse. La canzone non è male… manca però il tocco di Scholz, quello che fa la differenza. Alle chitarre ci pensa Barry Goudreau, la voce di Delp è sempre eccelsa, ma in definitiva il brano non aggiunge nulla alla tanta consistenza musicale e sonora che precede, prolungando comunque il disco fino ai regolari quaranta minuti o quasi necessari a un ellepì.

Opera stracolma di innovazione e intuizione tecnica e musicale, il folgorante esordio dei Boston del 1976 è il meritato traguardo di una lunga storia di inventiva, caparbietà (Scholz a quel punto aveva 29 anni) e intelligenza, iniziata addirittura nel 1969 come sopra accennato. Ed è inoltre dimostrazione plastica di quale qualità si possa raggiungere mantenendosi pienamente dentro le strutture e i dogmi del buon vecchio rock’n’roll, semplicemente espandendone a dismisura la resa sonica, armonica, ritmica e melodica. Fatto ancor più strabiliante, il disco è stato registrato sostanzialmente in una cantina, quella sotto casa del leader, chitarrista, bassista, organista, produttore a furor di popolo Scholz. Ovviamente coi macchinari di mezzo secolo fa, senza tecnologia digitale. Il registratore era un 12 piste, quando lo standard del tempo era 24.

Suona ancora alla grande “Boston 1”, e mi sorprende ad ogni riascolto. E’ fra i miei dischi preferiti, se non si fosse capito. (Cento)cinque stelle.

Elenco tracce testi samples e video

01   More Than a Feeling (04:44)

I looked out this morning and the sun was gone
Turned on some music to start my day
I lost myself in a familiar song
I closed my eyes and I slipped away

It's more than a feeling (more than a feeling)
When I hear that old song they used to play (more than a feeling)
Then I begin dreaming (more than a feeling)
'Til I see Marianne walk away
I see my Marianne walkin' away

So many people have come and gone
Their faces fade as the years go by
Yet I still recall as I wander on
As clear as the sun in the summer sky

It's more than a feeling (more than a feeling)
When I hear that old song they used to play (more than a feeling)
Then I begin dreaming (more than a feeling)
'Til I see Marianne walk away
I see my Marianne walkin' away

When I'm tired and thinking cold
I hide in my music, forget the day
And dream of a girl I used to know
I closed my eyes and she slipped away
She slipped away

It's more than a feeling (more than a feeling)
When I hear that old song they used to play (more than a feeling)
Then I begin dreaming (more than a feeling)
'Til I see Marianne walk away

02   Peace of Mind (05:02)

Now, if you're feeling kinda low 'bout the dues you've been paying
Future's coming much too slow
And you wanna run but somehow you just keep on staying
Can't decide on which way to go
Yeah, yeah, yeah

I understand about indecision
But I don't care if I get behind
People living in competition
All I want is to have my peace of mind
Yeah
O-o-oo

Now you're climbing to the top of the company ladder
Hope it doesn't take too long
Can't you see there'll come a day when it won't matter
Come a day when you'll be gone

I understand about indecision
But I don't care if I get behind
People living in competition
All I want is to have my peace of mind
Yeah
O-o-oo

Take a look ahead
Take a look ahead
Yeah, yeah, yeah, yeah
Woo

Now everybody's got advice they just keep on giving.
Doesn't mean too much to me
Lots of people have to make-believe they're living
Can't decide who they should be

I understand about indecision
But I don't care if I get behind
People living in competition
All I want is to have my peace of mind
Yeah
O-o-oo

Take a look ahead
Take a look ahead
Look ahead...

03   Foreplay / Long Time (07:47)

It's been such a long time
I think I should be goin', yeah
And time doesn't wait for me, it keeps on rollin'
Sail on, on a distant highway
I've got to keep on chasin' a dream
I've gotta be on my way
Wish there was something I could say.

Well I'm takin' my time, I'm just movin' on
You'll forget about me after I've been gone
And I take what I find, I don't want no more
It's just outside of your front door.

It's been such a long time. It's been such a long time.

Well I get so lonely when I am without you
But in my mind, deep in my mind,
I can't forget about you
Good times, and faces that remind me
I'm tryin' to forget your name and leave it all behind me
You're comin' back to find me.

Well I'm takin' my time, I'm just movin' on
You'll forget about me after I've been gone
And I take what I find, I don't want no more
It's just outside of y our front door.

It's been such a long time. It's been such a long time.

Yeah. It's been such a long time, I think I should be goin', yeah
And time dosnt wait for me, it keeps on rollin'
There's a long road, I've gotta stay in time with
I've got to keep on chasin' that dream, though I may never find it
I'm always just behind it.

Well I'm takin' my time, I'm just movin' along
Takin' my time, just movin' along
Takin' my time, takin' my time...

04   Rock & Roll Band (03:00)

Well, we were just another band out of Boston
On the road to try to make ends meet
Playin' all the bars, sleepin' in our cars
And we practiced right on out in the street
No, we didn't have much money
We barely made enough to survive
But when we got up on stage and got ready to play
People came alive.

Rock and roll band
Everybody's waitin'
Gettin' crazy
Anticipating love and music
Play, play, play, yeah, yeah, yeah, yeah

Dancin' in the streets of Hyannis
We were getting pretty good at the game
People stood in line and didn't seem to mind
You know everybody knew our name
Livin' on rock-n-roll music
Never worried 'bout the things we were missing
When we got up on the stage and got ready to play
Everybody'd listen.

Rock and roll band
Everybody's waitin'
Gettin' crazy
Anticipating love and music
Play, play, play, yeah, yeah

Playin' for a week in Rhode Island
A man came to the stage one night
He smoked a big cigar
And drove a Cadillac car
And said, "Boys, I think this bands outta-sight"
Sign a record company contract
You know I've got great expectations
When I hear you on the car radio
You're gonna be a sensation!"

Rock and roll band
Everybody's waitin'
Gettin' crazy
Anticipating love and music
Play, play, play, yeah, yeah

05   Smokin' (04:21)

We're gonna play you a song, a little bit of rock-n-roll
You gotta let yourself go, the band's gonna take control.
We're gettin' down today
We'll pick you up and take you away
Get down tonight

Smokin', Smokin'
We're cookin' tonight, just keep on tokin'
Smokin', Smokin'
I feel alright, mamma I'm not jokin', yeah.

Get your feet to the floor, everybody rock and roll
You've got nothing to lose just the rhythm and blues, that's all, yeah
We're gonna feel ok
We'll pick you up and take you away
Get down tonight.

Smokin', Smokin'
We're cookin' tonight, just keep on tokin'
Smokin', Smokin'
I feel alright, mamma I'm not jokin', yeah.

Everyone's jumpin', dancin' to the boogie tonight
Clap your hands, move your feet
If you don't you know it won't seem right
We're gettin' down today
We'll pick you up and take you away
Get down tonight

We're gettin' down today
We'll pick you up and take you away
Get down tonight, well allright!

06   Hitch a Ride (04:11)

Day is night in New York City
Smoke, like water, runs inside
Steel idle trees to pity
Every living things that's died

Gonna hitch a ride
Head for the other side
Leave it all behind
Never change my mind
Gonna sail away
Sun lights another day
Freedom on my mind
Carry me away for the last time
Oh yeah

Life is like the coldest winter
People freeze the tears I cry
Words of hail their minds are into
I've got to crack this ice and fly

Gonna hitch a ride
Head for the other side
Leave it all behind
Never change my mind
Gonna sail away
Sun lights another day
Freedom on my mind
Carry me away for the last time
Oh yeah

Gonna hitch a ride
Head for the other side
Leave it all behind
Never change my mind
Gonna sail away
Sun lights another day
Freedom on my mind
Carry me away for the last time

07   Something About You (03:48)

Oooooooo,
Ooooooooooo.

When I was younger I thought I could stand on my own.
It wasn't easy, I stood like a man made of stone.
But there was something about you (I want you to know),
It brought a change over me (it's starting to show).
I've got this feeling inside,
Got to have you, have you,
Ain't no good to hide.

Chorus :-
It isn't easy to show
What I'm feeling inside, girl.
It isn't easy, I know
When you believe in a man like me.

When I get angry I say things I don't want to say.
I really mean it, I don't want to leave you this way.
I couldn't help my reaction (I want you to know),
I lose control over you (I just want you to know).
I've got this feeling inside,
Got to have you, have you,
Ain't no good to hide.

Chorus

But there was something about you,
It brought a change over me.
I've got this feeling inside,
Got to have you, have you,
Ain't no good to hide.

Chorus

Like me
Can't you see?
I've gotta, gotta have you.

But there was something about you.
Yeah, there was something about you.

08   Let Me Take You Home Tonight (04:43)

Now I'm not like this
I'm really kinda shy
But I get this feelin whenever you walk by
I dont wanna doubt you
I wanna make you high
If you could see a way to me
C'mon and let me try

Chorus:
Let me take you home tonight
Mama now it's alright
Let me take you home tonight
I'll show you sweet delight

You must understand this
I've watched you for so long
That I feel I've know you
I know it can't be wrong
If we just get together
I want to make you see
I'm dreamin of your sweet love tonight
So mama let it be

Chorus

I don't wanna make excuses
I don't wanna lie
I just gotta get loose
With you tonight

Chorus

I don't wanna make excuses
I don't wanna lie
I just gotta get loose
With you tonight

I don't wanna doubt you
I wanna make you high
And I get this feelin' whenever you walk by
If we just get together
I want to make you see
I'm dreamin of your sweet love tonight
So mama let it be

Chorus

I wanna show your sweet delight
Show your sweet delight
Pretty mama
Wanna show your sweet delight

Let me take you home tonight (x10)

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Altre recensioni

Di  ziabice

 Questo è l'AOR e questi sono i Boston.

 La radio onnipresente che trasmette un assolo di chitarra.


Di  Rockardo

 Sembra proprio che sia come il vino perché a distanza di tanti anni è sempre più bello.

 Questo disco non può mancare in una collezione di rock perché è uno di quegli album che fa parte della storia di questo genere.


Di  Lord.Galamoth

 Quell'uomo si chiamava Brad Delp, e cantava in un gruppo di AOR, o rock melodico che dir si voglia, chiamato Boston.

 Cosa che nessun album è mai riuscito ad incarnare così bene... il clima afoso e allegro delle estati americane.