Los Angeles, 1966. Due giovani musicisti, Ritchie Furay del Ohio e il texano Stephen Stills, si aggirano per le strade della città non sapendo dove sbattere la testa. In particolare, ricordano due strani personaggi, entrambi canadesi, conosciuti pochi mesi prima ma a cui si erano dimenticati di domandare un recapito: sono un chitarrista dal nome di Neil Young, e un bassista, Bruce Palmer. Mentre si domandano come potrebbero mai fare a contattarli, in un'epoca in cui Facebook o Skype sono ancora diversi decenni a venire alla luce, vedono materializzarsi a un incrocio un carro funebre condotto da niente meno che Young e Palmer.

Contrariamente a quanto si potrebbe di primo acchito pensare, non è che i due musici avessero deciso di appendere i rispettivi strumenti al tanto famoso chiodo, per dedicarsi a una ben più remunerativa e sicura carriera nel settore funerario, ma semplicemente non avevano trovato un mezzo più economico da acquistare per spostarsi. Da questo leggendario (re)incontro, assieme al batterista Dewey Martin, nascono i Buffalo Springfield, uno dei gruppi più creativi del nascente folk-rock californiano quanto anche uno dei più misconosciuti all'epoca. Se infatti in California i Buffalo non tardano a crearsi una solida reputazione soprattutto grazie a grandissime doti di strumentisti dei suoi componenti (Stills, Young e Palmer in particolare), alla caratteristica voce di Furay, nonché a una manciata di memorabili canzoni composte da Stills e Young, al di fuori dei confini di quello Stato i cinque riescono a piazzare un unico, indimenticato singolo, For what it's worth, uno dei pezzi simbolo di quell'epoca.

Tra i principali ostacoli per il decollo dei Buffalo Springfield c'è una buona dose di sfortuna: tra retate antidroga, permessi di soggiorno ritirati e rimpatri forzati da una parte (Bruce Palmer), e conflitti artistici e personali dall'altra (Young e Stills), dopo un paio di album in studio e la partecipazione al festival di Monterey del 1967, i Buffalo Springfield cessano di esistere agli inizi del 1968, assemblando in maniera piuttosto raffazzonata un terzo album di studio che all'epoca passa praticamente inosservato. I vari membri si dedicano a progetti autonomi, e ironia della sorte vuole che i due leaders, se non in assoluto almeno per quanto riguarda la composizione dei pezzi, Stills e Young, si ritrovino affianco di lì a poco più di un anno, nel supergruppo Crosby, Stills, Nash & Young. Tutta un'altra storia, tutto un altro successo, e, complice il successo discreto conosciuto anche da Furay con i suoi Poco, i Buffalo Springfield vengono letteralmente riscoperti a cavallo tra i due decenni. E l'album in questione si potrebbe proprio considerare il frutto di questa riscoperta.

Si tratta di un doppio disco che ripropone antologicamente le fasi della breve quanto intensa storia dei Buffalo Springfield; non forse necessariamente tutte le migliori, anche se si può dire che si è largamente sopra la sufficienza. In effetti, a causa della volontà di dedicare più o meno lo stesso spazio alle tre opere del gruppo, si è finito per dedicarne anche troppo al terzo album (un intero lato di LP), sacrificando alcuni pezzi dei primi due album (tra tutti, Flying in the ground is wrong, Everybody's wrong, Sad memory, Everydays) che invece avrebbero meritato decisamente di essere citati, rispetto ad alcuni ben pallidi pezzi tratti dal terzo album di cui si sarebbe volentieri fatto a meno. Tuttavia, le altre canzone più celebri, come la già citata For what it's worth, Sit down I think I love you, Burned, Out of my mind, Mr. Soul, Expecting to fly, Hung upside down, Rock'n'roll woman, Broken Arrow, I am a child, On the way home e molte altre sono tutte presenti all'appello. Non è poco, anzi, è moltissimo, perché si tratta di composizioni che, aldilà della loro bellezza -tanto da essere spesso suonate dai loro autori anche nel corso delle rispettive carriere soliste- illustrano benissimo l'evoluzione fulminante del gruppo, partito da un originario folk-rock influenzato dai dettami della british invasion quanto dalla musica country (e dai loro principali ispiratori, i Byrds), verso forme assai originali di commistione tra delicate atmosfere acustiche, jam elettriche folgoranti, incursioni psichedeliche e persino riusciti esperimenti con arrangiamenti ad archi e jazz. In particolare, da esse si evince l'evoluzione compositiva e musicale dei due principali autori destinata a lasciare un'impronta indelebile nel loro futuro, la propensione verso un folksinger trasognato quanto un rocker scatenato di Neil e l'amore per certe atmosfere latine da parte di Stephen.

Ai cultori di Csny potrà poi senza dubbio fare piacere persino una versione originale di quella Questions che andrà poi a trasformarsi nella conclusione di Carry on nello storico “Deja Vù” di un paio di anni dopo, nonché la presenza di David Crosby in Rock'n'roll woman. Ma soprattutto, “Buffalo Springfield” trova forse la sua ragione principale d'essere in una chicca, una alternate version di Bluebird, che, salvo l'inizio, non ha in nulla in comune l'originale, e si dipana a un certo punto, dall'originario quadretto acustico-bucolico, in una sfuriata elettrica di svariati minuti (nove per l'esattezza), mai pubblicata prima e mai pubblicata dopo, nonostante l'eccellente qualità. Dal momento che l'antologia in questione non è mai stata ristampata su cd per motivi ignoti, ne risulta che oggi questa versione, apparte l'originale in formato vinilico, sia reperibile solo su YouTube, e chi scrive può solamente sperare che Stills, Young e Furay si decidano presto a porvi rimedio. E già che ci siete, cari Steve, Neil e Ritchie, qualora leggiate questa recensione, sareste gentilmente pregati di aggiungervi qualche bonus track, a cominciare da Flying on the ground is wrong....

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