Avete presente La Linea della Lagostina, quando il disegnatore Osvaldo Cavandoli interrompe il tratto bianco e fa inabissare nel nulla la sua simpatica creatura? La sensazione è quella, lo sprofondo che crea l'ascolto di questo albo.

Molti ne sono diventati fans e tanti musicofili hanno manifestato la loro opinione in proposito (un omaggio perpetuo alla grandezza sconvolgente dell'album); non di meno le fonti abbondano sul sacro web e benché sembri che gli algoritmi ci dirigano verso inutili sponde dell'infosfera, ogni navigatore che possiede buon fiuto riconoscerà la direzione da tenere per seguire un'ottimale rotta, veleggiando il cosmo della musica.
Oppure no. Abbandonandosi alle correnti imponenti ed invisibili del web, ci sarà comunque ad aspettarlo un punto, di approdo o di naufragio, che costituirà certamente una condizione di arrivo, quantunque pure imprevista, arguendo comunque che il quid sta tutto nel viaggio.

Interpretare questa metafora del marinaio avventuroso è sinonimo d'addentrarsi nelle partiture inviolate di Captain Beefheart & His Magic Band afferenti al mistico doppio albo, Trout Mask Replica.
Forze estranee, viscerali, magnetiche, repulsive e indiavolate sono insite nel lavoro datato giugno 1969. Esse affrescano ciò che si andrà ad ascoltare, mentre chi lo ha già ascoltato sa bene a cosa si andrà incontro, ossia un unicum (potente come l'amaro ungherese che si assaggia per la prima volta dopo aver sempre bevuto coca-cola) di forte impatto che segna il punto di non ritorno per chiunque abbia avuto l'idea di cimentarsi nell'ascolto, ricordando che il Capitan Cuordibue intendeva la musica alla stregua dell'arte figurativa.

Innanzitutto la copertina. Vi si ritrae la band con i colori solarizzati della fotografia di Ed Caraeff, qui al servizio dell'artwork del grafico di quel periodo di Frank Zappa (e Tom Waits)… e parlo di Calvin 'Cal' Schenkel. In essa si celebra la visione e il connubio che il Capitano ha stabilito con l'estro di Schenkel dando corpo a una intuizione di Cal. In front cover appare il Capitano, con una testa di carpa messa a mo' di maschera sul viso e in testa un cappello da quacchero, immagine appiccicata allo sfondo rosso-magenta. All'interno vi è ritratta la Magic Band in assetto psichedelico e sul retro campeggia il Capitano sito in area bucolica, tuba in capo e lo scheletro di una abat jour in mano.

Frank Zappa è l'artefice della produzione del disco per la propria Straight Records ed è colui che assicura all'amico (i due si conoscono fin dai tempi delle scuole superiori), cioè, al Capitano Cuordibue, aka Don Van Vliet, libertà assoluta al progetto, rappresentando una gran bella boccata d'ossigeno per il nostro genio, dato che è proprio la libertà creativa che va cercando da alcuni annetti, giusto dopo aver licenziato un paio di singoli per l'A&M e due LP - Safe As Milk (Buddah Records) e Strictly Personal (Blue Thumb).

Essendo nel frattempo maturato artisticamente, così come la band, il nostro non sta più nella pelle onde dar sfogo alle personali velleità grazie al presentarsi della presente occasione.
Gettate le basi del progetto, incomincia la leggenda della Replica. La storia se ne ingozza a piene mani registrando e assorbendo, dal tempo della sua lavorazione sino ad oggi, ogni fatto inerente alle vicende e agli strani effetti di cui si narra, reperiti anche dalle future pubblicazioni autobiografiche dei vari magicobandisti.

Il Capitano è un poeta, porta dentro sé una visione del mondo che si discosta da quello che i suoi contemporanei considerano 'normale'. Provvisto di extra-sensibilità, dotato di originalissimi pensieri, che ora non trovano più freno, dalla sua bocca esce tanto di musicale e di consonante, quanto anche profonde perle testuali che arricchiscono l'opera. I testi sono tutti suoi ed anche le costruzioni melodiche, benché il fido John 'Drumbo' French, il più acculturato del gruppo in teoria musicale, conferisca un orientamento strutturale, nel senso di scrittura, sopperendo, con consigli e i preziosi arrangiamenti, alla impreparazione teorico-musicale del leader, che si riserva comunque la parola ultima d'apporre sopra ogni decisione: molti guizzi risolutivi appartengono al Capitano, genialate che rendono ampiamente credito alla sua grandezza intuitiva.

La mente assoluta è dunque Beefheart, il quale per l'occasione s'industrierà nel brevissimo tempo ad avere dimestichezza col pianoforte, pur non sapendolo suonare, ma capacissimo di trovare tramite questo strumento un feeling riconducibile agli iter compositivi di John Cage.

Dobbiamo considerare come riferimento contro-culturale il lasso di tempo a cavallo tra metà '68 e metà '69 per dare un contesto storico al lavoro; immaginare di essere catapultati in quel tempo e vedere azzerate le nostre competenze acquisite in oltre mezzo secolo di musica a venire. Ma pur evitando tale artificio, l'esperienza attuale di confronto con la materia surreale della matrice sonora (il Capitano non solo era pittore e scultore, ma il disco nasce sotto l'ala di certo 'rock dada' e dell'amore per Salvador Dalì) creerà certo degli squilibri significativi in ciascun ascoltatore: si pensi alle voci che vogliono che il caro Capitano avesse convocato un botanico nel suo giardino per essere tranquillizzato circa i disturbi arrecati ad alcuni alberi sottoposti al continuo matching sonoro prodotto, nella casa di Woodland Hills, dalla Magic Band.

La massa molecolare di questo conglomerato artistico si rivelerebbe potente flusso afferente alla musica improvvisata e se una tendenza in tal senso pare affluire in superficie - dovuta probabilmente alla carenza tecnica musicale dei magicobandisti e alla ritrosia del Capitano di seguire le comuni norme tecniche di registrazione in uso, suggerite dal navigato Zappa ormai esperto in materia -, è invece vero il contrario.
L'autoritario e ortodosso Cuordibue & Soci hanno impiegato otto mesi di estenuanti prove (14 ore al giorno di media) stando immersi in un clima soggetto a forte stress, ma alla fine son riusciti a garantire le parti musicali eseguendole a menadito, rispettando stop & go micidiali, assecondando la ritmica, fatta di tempi e controtempi continuamente vari e cangianti, premiando la metodica compositiva e d'arrangiamento quale novità turbante insita nei 28 pezzi che compongono la favolosa Replica.

C'è da dire che la band, già povera in canna durante l'arco delle prime produzioni, vive in un clima scoraggiato e immalinconito dall'insuccesso e dalla mancanza di denaro (condizione che gli farà declinare l'invito a partecipare al Monterey Pop Festival nel 1967). Purtroppo gli ingaggi vengono a mancare e, nel delicato passaggio di mercato dal beat alla ufficializzazione della canzone pop, il nostro Cuordibue si va a collocare proprio agli estremi del discorso di tendenza, riuscendo oltremodo ostico. Scagliando il suo blues insolente, sudicio e per nulla consolatorio, dove i brani risultano sfibranti e la voce scomposta - ma ferocemente energica -, sprigiona un magnetismo animale di severa fattura ergendosi a baluardo dell'autenticità e della libertà espressiva, depositate quale unico marchio distintivo di un personaggio off-off per i tempi citati (vedi comunque le registrazioni live affluite in “Mirror Man”).

Dunque, quando Zappa propone l'affare a Beefheart, un contratto certo non stellare ma dignitoso, si riattizza lo spirito sopito sotto la brace e la band passa solerte all'azione affittando una casa fuori Los Angeles - a Woodland Hills - dentro cui viverci come in una comune, avendo il solo scopo di creare quello che sarà il loro capolavoro e disco principe dalle ampie sperimentazioni in campo rock, sebbene soffino molteplici influenze.

Furono otto mesi inumani, fatti di stenti, di fame, ridotti agli aiuti familiari e a rubare nei supermarket pur di mangiare. Inoltre, un ulteriore causa gravò sulla vita collegiale, il dominio psicologico e violento per mezzo del quale il Capitano assoggettava la band, non solo imponendo le 14 ore di prove al giorno, ma comportandosi quale sadico tiranno che metteva in atto pratiche punitive assurde, ad esempio stipare in una botte espiatrice il fallace di turno, raggiungendo a volte estremi stati di umiliazione, di violenza fisica e verbale esagerati, segnando nel profondo la vita di quei ragazzi appena ventenni (il Capitano era di sette anni più grande).
Avere il controllo e la paternità di tutto ciò che si faceva, rigorosamente secondo le proprie regole, era l'aspetto peggiore del Cuordibue (afflitto da effetti paranoico-schizoidi). Così, in tale atmosfera di afflizione, duro lavoro, stenti e sospetti (nutriti nei confronti dell'amico-nemico Zappa e verso i membri della band:questioni immaginarie di lesa maestà e ammutinamenti), si è pur tuttavia compiuta l'opera.

Se sia stata salutare, o meno, la gestione monocratica e tirannica, relativa al discorso musicale esperito dal Capitano, rimane una riflessione che non trova corrispettivi quantificabili. Di sicuro si sarebbe dato maggiore rilievo alle genialità sommesse dei magicobandisti e soprattutto John French avrebbe goduto di riconoscimenti adeguati e meritevoli per l'immenso lavoro svolto, così come ne ha goduto la sezione ritmica di Jimi Hendrix – ma, piano piano, il tempo mette le cose al suo posto.
Rimane assodato, però, e questo lo ammette anche il dissidente John French, che Trout Mask Replica attesta la nascita di un prodigio che segna un punto di rottura con tutta la produzione rock di allora, ponendosi quale punto nevralgico possibilista di ciò che avrebbe potuto, da quel momento in poi, accadere in un disco rock. Là dentro vi si esprimeva tutto il radicalismo culturale che legava fra loro i componenti della band, la quale guardava oltre il Flower Power e il trastullo easy generazionale. Captain Beefheart & His Magic Band erano una galassia a parte in quell'America sessantottina.

Il grande Lester Bangs, su Rolling Stone, rintraccia linee vettoriali analoghe alle esperienze free innanzitutto di Ornette Coleman, ma anche di Shepp, Sanders, Ayler e Taylor. Nessuna adesione a un filo preciso che ricalchi uno stilema, l'energia sviluppata da tale aggregato è primo ed essenziale tratto condivisibile su cui spianare la materia sonica, ruvida e fantastica.
L'intellettualizzazione dell'opera può essere vissuta secondariamente, accogliendo i temi affrontati nei testi, ed implicitamente vagliare anche l'intrinseca letterarietà: il surrealismo, l'ironia, l'olocausto, l'ecologia, il non-sense, il blues nero e asciutto, il folk, il jazz, la poesia, i puns (giochi di parole), la accentuata visionarietà, la personale vena compositiva, la potente immaginazione allucinata ed onirica.

Tirando le somme, risaltano alcuni punti straordinari, ad esempio l'amicizia predestinata tra Zappa e Beefheart; come è potuto essere che quei due promettenti ragazzi, per certi versi così affini, si siano ritrovati a sballarsi insieme e a diventare poi personalità senza tempo della musica d'estremo culto e valore? Incredibile!
Straordinario è pure l'amore per l'arte, nutrito fin da piccolo da Don Van Vliet (rinuncerà ad una borsa di studio artistica che lo avrebbe condotto in Europa), che è stato l'elemento cardine di tutta la sua produzione e filtro per ogni concezione vitale.

Qualche altro cenno biografico.
Don abiterà, ma già prima del 1980, con la moglie Jan in una casa trasportabile su strada, stazionando nel deserto del Mojave e in seguito sulla costa oceanica, verso la punta nord della California. Ritiratosi definitivamente nel 1982 dalla scena discografica, si dedicherà esclusivamente all'atto creativo pittorico (che in termini economici gli rese meglio dell'attività musicale, benché la Van Vliet Estate detenga i diritti sulle proprietà intellettuali del Capitano e la Zappa Family Trust quelli della Replica).

L'oggetto disco Trout Mask Replica risulta essere magnifico capolavoro grafico e la musica un commento sonoro per immagini che non ha eguali al mondo.

Suonato in presa diretta nella Trout Home lungo 4 ore e ½ di session ininterrotta, l'albo ha un taglio cinematografico che descrive un universo astratto, dove i reverse, le comparsate e le assenze di elementi della narrazione lineare si mischiano e confondono entrando a fare parte di un discorso filmico interessato dal sensorio pullulare di fattori favolistici, tragici ed ironici, trattati alla stregua di uno sconclusionato intercorrere di accadimenti, che sbucano e si levano da un luogo misterioso, magico, gravoso e spaesato, in cui la realtà si confonde sconcertata e priva di senso.

Si dovrebbe assumere una guida per districarsi tra i contenuti dell'albo, ma quella non esiste; restano, invece, una serie di fiabeschi attori che strepitano, strimpellano, accanendosi sulle astrusità che declamano da pulpiti arzigogolati inaccessibili eppure vicini. Tutto ciò che si ascolta può essere toccato con mano. La mente elabora le suggestioni deviate in immagini deformate stilando trame che ammaliano per fugacità ed imperio innovativo del plot sonico, spaccando ogni classico contesto narrativo.

Si batte il terreno della libertà, pensata quale alternativa parallela e avversa (contraria) alla metodica realtà di pensiero a cui siamo stati abituati e che detta il nostro raziocinio. Il formalismo consequenziale della ragione crolla edificando il nuovo tema avanguardistico, estremo, free, sincero e seducente, un pattern da cui non se ne uscirà mai più. Occhio!


La Replica assurge a divenire un disco di stregoneria che scivola dentro una dimensione temporale anticonvenzionale, laddove si incontrano geni dai nomi sconosciuti, maghi con copricapi stellati a punta, indovini indiani, spiriti maligni, buffoni da circo; e si dà vita ad una iconografia surreale dove scorre il delirio e si sfiora la follia. Ibridati animali parlanti, gesticolanti e bardati, colorati da tinte iridescenti che in tutta coscienza incarnano qualcosa di fatale che è possibile ritrovare nei personaggi di Pinocchio: essi sono i freaks mezzo uomo e mezzo animale incarnati dal Re Cuordibue e dai suoi magicobandisti, forniti di essenziale forza descrittiva, ironica e della marcata insistenza sull'originario ambient blues del Delta - battelli, baracche, campi, paesaggi naturali rivieraschi, roots, disillusione e i grandi spiriti arcani, imi ed irraggiungibili di Howlin' Wolf, Muddy Waters, Son House, Robert Johnson – che partecipa in veste di comprimario alla potente scoperchiante scena. Trabiccoli nomadi di convogli d'antan accolgono assetati, affamati, arrabbiati hobo in cerca di libertà, intrecciandosi lungo lande polverose, secche, apolidi, strazianti, marciando su strade ferrate incantate, laddove le storie fan scalo presso cadenti anticittà. Percorsi complessi da tracciare, fuori sincrono tra pensiero e azione, concorrenti nell'elaborare la dilatazione dello spazio entro la corrispondente compressione del rapporto spazio-tempo, qui teso ad annullare ogni distanza, facendo immaginare di vivere in un unico agglomerato per forza di cose estraneo all'urbanità.

Quando all'improvviso, ecco sbucare a tutta velocità da tale impasse - e ficcarsi in un miraggio di suoni, altri ed alti, innalzanti le sospensioni e le angolosità dei fiati, compreso tutto il lavoro irreale di chitarra/basso/batteria che sbeffeggia, satireggia, provoca e stordisce lasciando attoniti - la mostruosa creatività.
ssa fa letteralmente sbattere il febbrile stato dell'invenzione contro la linearità del mainstream, l'incubo sobilla il sogno illuminandone il dissidio precorritore grazie alla lampada eterna qui originata che emette strabilianti fasci di luce grigio malattia, oro acido e rosa dobermann, in sostanza i colori che ha concepito la mente brillante di Don Van Vliet.

O locomotiva bella
Trota di ferro snella
Anguilla anguilla
sulla rotaia che brilla
Trota presa all'esca
del tempo e dello spazio
Trota, veloce topazio.
Trota o moglie indigesta
o locomotiva petulante,
senza lenza Dio ti pesca
nella rete immensa
di rotaie del firmamento.
Dio stringe la terra
e ne disserra a suo talento
un ironico sugo
d’esilarante velocità.

(da “Locomotive” di F. T. Marinetti)

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