Guardo fuori dalla finestra. Il cielo è rosso. Non proprio rosso, rossastro, arancione, un colore strano e innaturale per una notte senza stelle. Non se ne vede neanche una, è tutto coperto da nubi. Quello che i comuni mortali chiamano brutto tempo ma allora il cielo sarebbe scuro, e invece no, scuro è solo lo spazio in cui stiamo, se guardiamo verso l'alto si vede quel rossastro innaturale, un colore che non ti aspetteresti, almeno all'aperto, sembra di essere dentro una sorta di cupola artificiale che riproduce un pianeta a noi familiare. Artificiale, questa è la causa. Sono le luci, che dalla città salgono fino a incontrare le nubi ed illuminare la loro opacità per dare questo rosso malato, è il ventunesimo secolo baby.

Ma è davvero così bello il ventunesimo secolo? Dal canto mio, ho sempre disprezzato le persone che parlano male della modernità, che credono che quei 5000 anni di civiltà precedenti alla loro nascita siano migliori (probabilmente senza nemmeno rendersi conto di lasciar trapelare tale tesi dalle loro parole) dell' essere nati in questo periodo e soprattutto nell'occidente industrializzato, con una tecnologia che facilità la nostra vita, con la possibilità di contattare gente a kilometri di distanza, con la possibilità di attingere a un' istruzione e una quantità di informazioni che i nostri nonni potevano solo sognarsi, con la protezione offerta dalle grandi città e così via. Non dico che ciò sia perfetto, anzi, credo che la società umana migliori continuamente ma che lo faccia troppo lentamente, insomma non raccontiamoci fandonie, il ventunesimo secolo è molto meglio dei precedenti ma ciò non lo rende il più bel periodo per vivere. Le città moderne hanno un loro lato oscuro, tanto per dirne una: l'alcolismo è un lascito della rivoluzione industriale.

Poi un senso di alienazione che provo troppo spesso, ma quello forse è un problema mio.

-Hai Facebook?: una delle prime domande tra giovani e giovanissimi che si stanno conoscendo, tra le prime, quelle più importanti, quasi a sentire il dovere di affidare la nascita delle proprie relazioni interpersonali ad un alter-ego virtuale, ecco di cosa parlo, di una cosa che sentirla già una volta è troppo.

-Ma sono qui di fronte a te!

Pure qualcosa di positivo ha le sue ripercussioni: il crollo di pregiudizi e discriminazioni del passato ha portato alla nascita di nuovi preconcetti e di domande la cui risposta ad alcuni potrebbe risultare incomprensibile o addirittura minacciosa. La cosa peggiore è che ciò è una cazzata quasi insignificante:

-Che musica ascolti?

In questi casi che faccio?Parto con un elenco di generi o nomi che il mio interlocutore non capirà mai in molti casi, magari poi scappa e io mi azzannerò il fegato nel caso sia una discreta topa. Ma se fossi sincero? Se potessi parlarne invece che dare una risposta banale, variabile?

-No ma dai!Ma tu ascolti questo?

-Si chiamano City Of Caterpillar, il disco è del 2002, ti pare strano?

-Sì, voglio dire, mette ansia!

-A me piace spesso, molto spesso, la musica decadente, nervosa, incazzata e disperata, disperatamente incazzata insomma. Guardati intorno, questo non è il mondo degli orsetti del cuore, il bisogno di riflettere è molto più intenso del bisogno di sorridere-

I City Of Caterpillar infatti sono decadenti, nervosi, incazzati e disperati, i City Of Caterpillar ti portano l'apocalisse dentro. Nascono da una costola dei Pg.99 nel periodo il cui lo Screamo più emotivamente violento, nevrotico e rabbioso, si mescolava al Post Rock proprio grazie a loro e agli Envy, ma forse gli Envy andavano in direzioni troppo solari e positivamente riflessive. I City Of Caterpillar quel Sole lo hanno oscurato.

Dev' essere stata un' esperienza catartica a portare questi personaggi che avevano già creato clamore nella scena a pensare come sarebbero stati i Godspeed You!Black Emperor se alla loro musica si fosse aggiunta la voce, ma c'era un problema. Su quei crescendo così cupi, epici e catartici non si può cantare, fuori discussione, ci vogliono delle grida dall' oltretomba, unica soluzione. Non uno scream, nè un growl (anche perché siamo in territori screamo) e neanche un cantato pulito, qui la voce può solo essere catalogata come straziante, disperata, martoriata . La voce di chi non ha più fiato per gridare, sangue da perdere dalle ferite, lacrime con cui rigare il volto. Il lamento di chi riesce a tirare fuori energie che non ha quando senza più forze si prepara a percorrere gli ultimi metri realizzando di non poter sopravvivere allo sforzo.

Generi diversi, anni diversi, lo so perfettamente ma 12 anni dopo l' inferno delineato dai Godflesh con "Streetcleaner" si materializza nuovamente, in un lavoro che per quanto vario dipinge la stessa città catapultandoci nello stesso girone infernale, versione terrena dominato da visioni strazianti, monotonia ed il più completo senso di vuoto. Apatia. Abbiamo gridato tutte le parole che avevamo, non abbiamo più fiato, abbiamo perso. La rabbia è svanita, ha lasciato posto alla rassegnazione. A questo ci ha portati questo caos, sempre diverso, questa frenesia di ripetitività che ci ha portati all'alienazione.

Il disagio non è più personale, è il dramma più comune che esista. La vita.

Forse rappresenta questo City Of Caterpillar, un dramma universale che solo l'Arte può rappresentare.

Il lato oscuro dell' Arte.

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