L'Australia è una terra infinita, nella quale si può rapidamente passare dalle avveniristiche metropoli, alla natura più selvaggia e al deserto, il tutto circondato da ben due Oceani. Tutti questi elementi trovano ampio spazio nella musica dei Dirty Three, fin dall'album d'esordio (Sad & Dangerous). La scena musicale australiana, di fine anni '80 e inizio anni '90, mostrava finalmente alcuni elementi di forte autonomia, che spezzavano la consueta rielaborazione (per non dire scopiazzatura) degl'input provenienti dall'Europa e dagli States. Personaggi come Nick Cave avevano contribuito alla formulazione di un gergo musicale autonomo , basato su registri che definiremo alternative, e sulla scia del quale si inserirono anche i tre ragazzi di Melbourne.

La proposta musicale degli "Sporchi tre" è assolutamente avveniristica, a tal punto, che la critica mondiale (specie quella che puntava l'orecchio ai suoni più alternativi) ha immediatamente inserito l'ensamble australiano nel calderone post-rock (e su questo si potrebbe aprire un discorso che durerebbe settimane). Non a caso la prima etichetta ad accorgersi di Ellis e compagni, fu l'americana Touch & Go (che già aveva prodotto i monumentali "Tweez" e "Spiderland" degli Slint e aveva sotto contratto Don Caballero e June of '44) con sede a Chicago (ed anche questo non è un caso), insieme a Lousville, focolare assai caldo della scena post-rock statunitense. Questi però sono solo dati che servono a rassicurare l'ascoltatore, a dare ad una band una connotazione che, a parere di chi scrive, suona talvolta fuorviante, ed in ogni caso non rende merito alla proposta musicale di un gruppo, che non ha precedenti.

"Dirty Three" si apre con "Indian Summer", una jam psichedelica che si dipana su un tema ipnotico di sfondo, sul quale Ellis mette in mostra le distorsioni del  suo violino. La  mirabile "Better go Home Now" è un crescendo durante il quale il violino di  Warren Ellis viene portato agli estremi, fino alla deflagrazione ultima. "Odd Couple" è una ballata al limite del lisergico, quasi un viaggio sulla linea di confine tra l'oceano e il deserto, nel quale si insinua il suono della fisarmonica di Tony Wyzenbeek. La soffusa "Kim's Dirt" (già edita su Sad & Dangerous) e la delicata "Everything's Fucked" sono ballate crepuscolari. "The Last Night", con quell'armonica che s'intreccia alla chitarra di Mick Turner e al violino di Warren Ellis, sembra raccontare un ultima notte accampati nel deserto davanti ad un fuoco. Con l'ultima traccia "Dirty Equation" viene a galla tutta la furia noise del terzetto. Chitarra e violino si violentano a vicenda sul ritmo incalzante e le potenti rullate di Jim White.

In conclusione, "Dirty Three", è già un disco compiuto, ricco di spunti che aiutano a comprendere le atmosfere aperte di "Horse Stories", diviso tra ballate romantiche e furia noise, e il soffuso e ammaliante "post" del capolavoro "Ocean Songs".

Carico i commenti... con calma