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...Ebbene, avevo torto. FINALMENTE un disco dei Kiss degno d'essere ascoltato più d'una volta, un disco in grado di scuotere anche me! Un disco con uno spessore emotivo non comune per la band. E' vero, questi non sono i "classici" Kiss. Questo è il bello.
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Ho un amico che è un entusiasta sfegatato dei Kiss fin da quanto avevamo 16 anni (TANTI anni fa, ora ne abbiamo 50 a testa). E' stato lui a propormi, uno ad uno, TUTTI i dischi del gruppo, e li ho trovati pressoché nella totalità piuttosto "sciacquati". Un giorno, una decina d'anni fa, non mi arriva con questo "Carnival of Souls"? Tra me e me ho pensato: "Ci risiamo! Un'altra sciacquatura di piatti". Ebbene, avevo torto. FINALMENTE un disco dei Kiss degno d'essere ascoltato più d'una volta, un disco in grado di scuotere anche me! Un disco con uno spessore emotivo non comune per la band. E' vero, questi non sono i "classici" Kiss. Questo è il bello.
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Bel disco! Ho il vinile in versione originale... :) Concordo su QUASI tutto quello che hai scritto, ad eccezione dell'ammirazione per il sassofono ed il suo ruolo. Secondo me il sassofono è una cosa che eliminerei volentieri dall'insieme: trovo che c'entri come i cavoli a merenda. E' stupefacente come questo monumento ai '70 riesca a rimanere tale NONOSTANTE la sua presenza.
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(il mio commento precedente, per quanto aperto a chiunque possa interessare, era rivolto particolarmente ad Alexander)
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Lo spirito del "faccio quello che mi pare" in musica è senza dubbio un'attitudine pregevole (mi ci ritrovo in pieno). Basta che chi lo pratica sappia ammettere che il risultato delle sue fatiche potrebbe essere rigettato senza pietà dal pubblico che, invece, è di solito molto più "tradizionalista" ed ha pieno titolo a scegliere quel che vuole e quel che non vuole ascoltare. Spesso chi "fa quel che gli pare" in musica finisce per doversi trovare anche un altro lavoro per potere avere almeno uno stipendio, anche se a volte è un vero genio. Molto più facile la vita "artistica" dei conformisti da botteghino.
Voto:
Pat Metheny... senza dubbio un musicista preparato. Però... però... personalmente l'ho sempre trovato TREMENDAMENTE noioso e, come si usa dire in questi casi, "poco ispirato". In effetti, quel che intendo è che la sua musica non ispira ME, lasciandomi indifferente quando non addirittura annoiato e desideroso di passare ad altro. L'effetto che ricavo dai suoi brani è quello di trovarmi di fronte a una sorta di ambient da piano bar confezionata con grande maestria ma con la stessa partecipazione che mette Nino D'Angelo nelle sue canzoni. La tecnica sopraffina non basta a farmi dimenticare questa brutta impressione. Ma magari è un mio limite.
Sukora Tower
22 ott 09
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Che idea stantia! Già Cage nel 1952 aveva fatto qualcosa del genere. La recensione, per converso, la trovo ottima.
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Non so fino a che punto possa interessare, ma vi propongo la mia opinione. In una società di pari, il comunismo conviene a tutti. Il problema nasce quando nascono le diseguaglianze, quando i più "forti" si ritrovano a "rimetterci". Lì nasce il loro desiderio di sottrarsi alla condivisione, di fare da sé. Anche le diversità tra pari possono essere un ostacolo. Per realizzare una società comunista occorre una uniformità culturale a prova di bomba. Paradossalmente, i politici di "sinistra" (ha, ha, ha) nostrani invece insistono sulla "accoglienza" ad ogni costo del diverso; anzi, più diverso è, più si vorrebbe imporne l'accoglienza riservando proprio al diverso una sorta di "piedistallo sociale". Ciò mina alla base la realizzabilità stessa di una società comunista, o anche solo socialista; in effetti, mina alla base la stabilità sociale, scavando solchi profondi tra le persone. E ancora, mentre il comunismo è adatto per le piccolissime comunità, non potrà mai funzionare se applicato a migliaia, o peggio, a milioni di persone riunite in un unico "organismo". I "tinti di rosso" nostrani (che comunisti non sono mai stati) invece blaterano di una società comunista globale: una improponibile assurdità. Per realizzare il comunismo, è indispensabile che ciascun membro della comunità conosca gli altri e in essi si riconosca. Diversamente, come è stato giustamente osservato, il comunismo può solo essere imposto dall'alto; ma un "comunismo" imposto dall'alto non è più comunismo, è qualcosa di diametralmente opposto.
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Non so fino a che punto possa interessare, ma vi propongo la mia opinione. In una società di pari, il comunismo conviene a tutti. Il problema nasce quando nascono le diseguaglianze, quando i più "forti" si ritrovano a "rimetterci". Lì nasce il loro desiderio di sottrarsi alla condivisione, di fare da sé. Anche le diversità tra pari possono essere un ostacolo. Per realizzare una società comunista occorre una uniformità culturale a prova di bomba. Paradossalmente, i politici di "sinistra" (ha, ha, ha) nostrani invece insistono sulla "accoglienza" ad ogni costo del diverso; anzi, più diverso è, più si vorrebbe imporne l'accoglienza riservando proprio al diverso una sorta di "piedistallo sociale". Ciò mina alla base la realizzabilità stessa di una società comunista, o anche solo socialista; in effetti, mina alla base la stabilità sociale, scavando solchi profondi tra le persone. E ancora, mentre il comunismo è adatto per le piccolissime comunità, non potrà mai funzionare se applicato a migliaia, o peggio, a milioni di persone riunite in un unico "organismo". I "tinti di rosso" nostrani (che comunisti non sono mai stati) invece blaterano di una società comunista globale: una improponibile assurdità. Per realizzare il comunismo, è indispensabile che ciascun membro della comunità conosca gli altri e in essi si riconosca. Diversamente, come è stato giustamente osservato, il comunismo può solo essere imposto dall'alto; ma un "comunismo" imposto dall'alto non è più comunismo, è qualcosa di diametralmente opposto.
Voto:
Thonk New Age? Siamo sicuri? Mmm...
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