Dislocation

DeRango : 22,33 • DeEtà™ : 3007 giorni

Voto:
Allora, inizio col maledire te e @[Conteverde] che, in due giorni, mi avete bruciato due, dico due, dischi su cui avevo molte idee da proporre in due recensioni.
Maledetti.
Siccome nutro e coltivo l'insanabile vizio di collegare musica e dischi a fatti miei od a eventi accaduti, a me o ad altri, cercavo il modo migliore di proporli, insieme ad altri tre dischetti che sballottavano la loro esistenza tra le mie fragili meningi.
Maledetti.
Resta da dirti solo che, a completamento visivo di quanto da te solertemente riportato, esiste un bellissimo dvd, 'Live at the Apollo', contenente quasi tutta la scaletta del doppio cd da te citato, a dir poco entusiasmante...
Ah, dimenticavo, con la Wilkins non hai alcuna speranza, ella è inconfutabilmente innamorata di me, inutile provarci.
Voto:
Non conoscevo, me ne interesserò senz'altro, data la passionaccia ormai più che quarantennale per l'elettronica ed il parallelo amore per la bossa e la "vecchia" MPB...
Voto:
Non crederò ad una parola di quanto hai vergato poco sopra finché non avrò visionato, attentamente ed a lungo, una tua fotografia dove ti si ritrae nel sembiante da te descritto e che ti vede abbigliara succintamente
Voto:
Premetto che ascolto i DM da quando comprai il loro primo disco nell'81, e li considero dei veri Big in ogni senso, sopravvissuti a tutto, mode, usanze e generi e via così... Furono, loro e John Foxx, i colpevoli della mia temporana conversione dalla batteria alle tastiera, durata un decennio, beh, m'imbarazzo solo a pensarci...
Vidi per la prima volta i DM allo "stadio" di Pietra Ligure nell'estate dell'86, agosto, mi sa... poi moltre altre volte, ma quel concerto raccolto, con un'acustica così così, col mare che ogni tanto si faceva sentire sullo sfondo, con loro che erano al primo stadio di quelle che sarebbero state le loro sperimentazioni, giovanissimi, voce e tre synth, con le basi di batteria registrate su un Revox a nastro posizionato dietro di loro... repertorio fino ai primissimi brani di Black Celebration ancora acerbi... tecnicamente non lo fu, ma lo ricordo come un concerto bello e intimo, loro non erano ancora esattamente famosi né seguitissimi, e la svolta dark-electro stava ancora avvenendo, grazie a Wilder...
E ora a te... già ti dissi quanto mi piacciono le recensioni in cui si parla di ricordi ('sti cazzo di vecchi...) o comunque che parlano di fatti nostri ed usano la musica come colonna sonora della recensione stessa, o ancora la musica come scusa per parlare di fatti di vita... qui però, amica mia, mi sa che di tuo, a parte i ricordi, non ci sia nulla, né una sensazione particolare, né uno spicchio di vita da descrivere con lo sfondo della musica, che so... ho dovuto leggere i commenti per trovare il tuo scampolo di emozione nel fatto della tua amica/sorella che ti porta le birre, l'ho capita solo leggendo i commenti, non sul testo della recensione... non so come dire, ecco, didascalica, la trovo una recensione didascalica.. che di per sé non è né illegale né brutto, ma la rende povera e scarna, e tu ci hai abituato, nelle tue vite precedenti sul DeB, a ben altri livelli.
Ah, poi, non dar confidenza a @[IlConte] , ha una fedina penale lunga come un rotolo di scottex, e son tutte condanne che hanno a che fare con fatti di sangue e sesso, adescamento e lordure varie, spesso contro natura. Te l'ho detto.
Voto:
Ho sempre amato, diciamo così, il GLF, dai cicciccippì in poi, ed i tre album dei ciesseì sono davvero pietre miliari, ossissì...
Lui, gielleeffe, a livello personale, a naso, non mi ha mai ispirato nessuna simpatia, la sua ricerca "del vero" mi è sempre sembrata qualcosa d'artefatto, anche, ma sghemba e povera, non so come dirti.
Il paroliere gielleeffe, au contraire, mi ha a volte stupito, altre irritato, altre ancora deliziato, insomma, m'appiaciato. Una delle summae in quel poco di letteratura per tulemòn che si possa trovare nell'oggi asfittico panorama della canzone d'autore italiana.
E quanto mi aggrada il parlar di fatti propri in relazione alla musica...
Voto:
Oh, è tornato @[IlConte] , deve aver finito uno dei suoi tanti soggiorni presso le patrie case circondariali, a spese nostre, chiaro...
Caro Roby, l'analisi tecnica e strumentale del disco è ineccepibule, a dir poco, compreso il momento in cui ti addentri nell'universo dei chitarristi e ne indaghi i moti mentali che li portavano a preferire la Fender Stratocaster alla Gibson Les Paul, notoriamente una chitarra da veri uomini, la prima, e da fighette imburrate male, la seconda.
Si sa.
Bello anche il periodo che tu dedichi all'invito all'ascolto della parte dell'album più sperimentale, quella in cui i Nostri si dedicano spartanamente, ma con grande efficacia, al sapiente uso del sintetizzatore Korg polifonico nei registri degli archi e dei fiati, perfettamente imitati tanto da sembrare vere e proprie sezioni orchestrali.
E che dire dei brani, i restanti, in cui i nostri beniamini si ergono a strenui difensori della musica bandistica islandese più pura e meno contaminata dai nuovi suoni norvegesi?
Di costoro, giovani birbaccioni dai gusti sopraffini (in fatto di cultura linguistica, savasandir, oggigiorno meglio saperla, una lingua in più...) non conoscevo alcunché. Mi son fatto una parvenza di cultura, ora, e li gradisco alquanto, anche se di loro non acquisterei neanche un ciddì usato, certo...
Per la serie "Copertine, che passione..." io voto senz'altro per la signorina, o signora, forse, alla destra nell'illustrazione, senza se e senza ma.
E poi tu sai che mi piacciono le recensioni in cui si comincia da una parte e si va a parare da tutt'un'altra, quelle che parlano dei cazzacci nostri ed in cui i dischi sono spesso una scusa per parlarne, dei cazzacci nostri.
Ecco.
Voto:
Non si ripete inutilmente nulla se si afferma che qui come in nessun altro disco ristà la Bibbia del prog, contenendo esso i fondamentali della materia, tutti, che provengono d'ogni parte dell'universo creato: dal jazz, nelle sue più varie accezioni, dal rock'n'roll, dalla melodia più vera e meno abbietta, dalla musica classica di tutte le estrazioni, ivi comprese le sperimentazioni, ardite e meno e, signore e signori, dalla Poesia, sissì, proprio lei, eterna fidanzata di Pietro Campodelpeccato, sissì, paroliere considerato parte della formazione della band, fischio.
Gli strumentisti, tutti eccelsi o sulla via dell'eccellenza, primo tra tutti il compianto polifiatista di cui sopra, capace di melodie, singulti, sincopi, sempre in bilico tra swing e free, tra rock puro e rumori metafisici, degnamente seguito da un Fripp in paziente attesa d'uno stato di grazia prossimo a venire e già seicordista di profilo altissimo, che assimilò le lezioni hendrixiane miscelandole a ricerche di suoni parzialmente inedite, creando un genere chirarristico di cui, da lì in poi, sarebbe divenuto profeta e portabandiera.
Greg Lake? Cantante celebrato per la sua versatilità, che gli permetteva di mostrarsi credibile in stacchi puramente rock e di esibirsi in ghorgheggi melodici quasi angelici, tanto da votarsi a maestro del canto in ambito prog. Il bassista Lake, poi, lungi dall'essere un virtuoso dello strumento, era un esecutore infallibile e fantasioso, preciso e puntuale a divere. Il chitarrista acustico Lake, ecco, riscuoteva l'ammirazione dello stesso Fripp...
Il Giles batterista, ecco, un metronomo votato ai tempi dispari, sempre, qualità che, forse, ha spinto il Recensore a definire il suo drumming "confusionario", ahimè.
Infine... Discone, ecco, è meglio definirlo, quest'album, come usiamo fare noi DeBaseriani, tutto in una parola sola.
E ci sarà qualcuno che, comunque, argomenterà, ed a ragion veduta, che no, non era il primo disco a potersi dire propriamente prog.
Evabbè.
Voto:
Il primo che mi rompe i coglioni dicendomi che nelle recensioni mi dilungo troppo...
Voto:
Ora, io sarò estremamente ed eccessivamente lungo e descrittivo, ma così poche e così povere righette per illustrare una pietra miliare di siffatta specie mi paiono, invero, un'ingiustizia insopportabile.
Viva la brevità e l'asciuttezza quando non limitano la veduta obiettiva dell'oggetto del contendere, tanto che, rischiando di risultare fini a se stesse, citano così pochi e così poveri elementi da esplicarsi in riduttività che finiscono per non invogliare alla conoscenza del prodotto coloro che ne ignorano l'esistenza e lasciano l'amaro in bocca a chi lo conosce, lo ama o lo odia, perfino.
Certo il nostro nuovo sodale sa far di meglio, certo ne ha i mezzi e le possibilità... Dilungati quanto ti pare, non è segno di debolezza né di incapacità, ma non ridurre tutto ai minimi termini come hai fatto qui. E continua.
Ah, non far caso a quel vecchio brontolone montanaro di @[De...Marga...] , non è mai inutile riparlare di un capolavoro più e più volte, se lo si fa introducendo novità e, perché no, riconducendo , che so, fatti personali ad un disco o ad un'opera, rendendo lo scritto più interessante e perfino avvincente.