Beh, a loro modo anche gli area fecero qualcosa di simile, quando nel 1977 al famoso concerto nell'aula magna dell'università di Milano suonarono "caos".
Cito da
ERRP | Expired Registration Recovery Policy "Nel 1976, al tempo della registrazione di "Maledetti", ricevemmo una proposta di concerto da tenersi nell'aula magna dell'Università Statale di Milano.
Demetrio, Paolo ed io, approfittammo della presenza di Steve Lacy e Paul Litton, da noi invitati per una collaborazione nel disco, per sperimentare dal vivo "CAOS (parte seconda)".
Ci ispirammo a un aneddoto raccontato da Cage in "Per gli uccelli, conversazioni con Daniel Charles", che ci aveva colpito e divertito allo stesso tempo; raccontava di un gruppo di jazzisti di Chicago che un giorno gli si presentarono chiedendogli un consiglio per "...farli andare nella direzione giusta."
Quello che Cage suggerì loro fu semplice e allo stesso tempo difficile: suonare improvvisando liberamente ma... senza che ognuno ascoltasse quello che faceva l'altro. Era esattamente il contrario di quanto essi praticavano normalmente, infatti era prerogativa delle improvvisazioni collettive "free" di quegli anni, cercare una comunione di intenti; nonostante la dissoluzione delle forme convenzionali (soprattutto ritmiche) rimaneva la volontà dei musicisti di fondersi in un insieme organico, faceva parte del lessico di quella musica.
In questo caso dunque, seguendo l'indicazione di Cage, ogni musicista avrebbe dovuto portare avanti il proprio discorso non curandosi di quanto gli accadeva attorno. Potevano dire di no, e invece accettarono!
Cage raccontò che la sera del concerto, all'inizio le cose andarono molto bene, poi, piano piano, l'abitudine prese il sopravvento, cominciarono ad ascoltarsi, a rispondersi e la serata finì nel loro modo solito di intendere la musica, costruendo qualcosa collettivamente.
Commentò così: "E' molto difficile liberarsi!"
Ecco, noi invece volevamo esserlo davvero liberi e, nel concerto alla Statale, realizzare la proposta di Cage (alla nostra maniera s'intende).
Imbastimmo il progetto: preparammo una quantità di bigliettini su ognuno dei quali era segnata un'indicazione, un suggerimento da interpretare liberamente. Erano cinque, come i musicisti in scena: "Ipnosi, Silenzio, Violenza, Ironia e Sesso".
I biglietti vennero mischiati come un mazzo di carte e distribuiti a caso. Una dozzina circa, a testa.
Avevamo assegnato un tempo di tre minuti per ogni suggestione e quando il direttore d'orchestra (mio fratello munito di cronometro) segnava il tempo, ogni musicista passava al biglietto successivo interpretando l'indicazione come meglio riteneva e, comunque, indipendentemente da quanto gli altri facessero.
Fin qui nulla di particolare, sarebbe stato un concerto di musica contemporanea come tanti se ne fanno, se non che, tanto per cambiare, si ingenerò un equivoco che fece diventare il concerto una specie di trappola per molti dei convenuti quella sera.
La gente si aspettava un concerto "classico" degli Area; i ragazzi dell'università avrebbero voluto ascoltare i pezzi che già conoscevano: "Luglio, agosto, settembre, (nero)", "L'Internazionale", persino "Lobotomia" gli sarebbe andata bene.
Invece gli ammannimmo "CAOS (parte seconda)" e, nella seconda parte della serata "Event 76", variazione sul tema di "Scum", un brano che avevamo appena registrato in "Maledetti".
Forse sarebbe stato più corretto annunciare la particolarità della serata spiegando quanto si sarebbe eseguito, invece fu programmato un concerto "Area" senza specificare altro. In sala c'era anche mia madre (non mi perdonò mai di averla invitata).
Gran presenza di pubblico e di critica, (come si suol dire in questi casi) compreso, cosa insolita, un nutrito stuolo di critici e di appassionati di jazz; evidentemente incuriositi dalla presenza di Lacy e Litton.
Non se ne vedevano spesso ai concerti Area; nonostante il nostro legame con il jazz fosse sempre stato molto stretto, eravamo stati