Voto:
Se ho capito bene e i lavori alla facciata del palazzo cominciati alle 8 di stamattina non mi hanno ulteriormente rincoglionito, direi che io e il recensore siamo sulla stessa lunghezza d'onda. Nel dubbio, dico la mia parafrasando De Crescenzo, il quale una volta diceva che sia l'ateo che il credente sono in sostanza due presuntuosi, in quanto è impossibile affermare con sicurezza che Dio esista o meno. A mio avviso, un conto è la critica nei confronti della religione (sia essa di matrice cristiana, musulmana o politeista) come istituzione umana che, autolegittimata dalla sete di potere o da qualche disturbo mentale fatto passare per una sorta di "illuminazione", influenza milioni di persone e la vita politica e sociale di un Paese; un conto è addurre quale prova inconfutabile dell'inesistenza di un Dio tutto il fanatismo e la serie di contraddizioni che vi gravitano intorno alla religione. Non penso che l'idea di divinità sia un qualcosa di biologicamente determinato, ma credo che faccia comunque parte, in qualche modo, della natura umana. Giusto per rimanere in "superficie", potrebbe essere proprio la natura mortale dell'uomo, la sua vulnerabilità, l'ineluttabilità del suo destino, a rendere necessaria o comunque giustificabile l'esigenza di rivolgersi in preghiera ad un'entità soprannaturale, o la speranza (cito ancora De Crescenzo) che davvero possa esserci una condizione che ci riscatti dalle sofferenze patite in vita, e non un semplice riposo eterno, per quanto quest'ultima conclusione sia la più razionale. Uscirsene con frasi come "Nel 2010 c'è ancora gente che crede in Dio" come se colui che crede, o quantomeno "spera", non fosse altro che un credulone, un ingenuo e un ignorante (a dispetto del non credente che invece è un illuminato, ha capito tutto della vita, e può dimostrare empiricamente la veridicità delle sue affermazioni) è un modo sterile e spocchioso di ridurre tutta la questione ad un qualcosa di intrinsecamente anti-intellettuale, di cui non varrebbe nemmeno la pena discuterne. Per cui né il libro né la recensione avrebbero senso. Ripeto, se proprio c'è qualcosa di deprecabile è la religione con tutti i suoi fanatismi e la sua nefasta capacità di incidere sul libero arbitrio delle persone, non la spiritualità, sia essa una forma di ascetismo o di rettitudine morale, che è un qualcosa che l'uomo può e dovrebbe (se lo vuole, ovviamente) coltivare come meglio ritiene opportuno. Vissuta in questo modo potrebbe essere perfino appagante. In fondo cosa abbiamo da perdere?