Proseguo la rassegna #zot2016 con un disco che avevo in cantiere da tempo (cioè tipo lo volevo ascoltare da quando è uscito).

Hope Sandoval & The Warm Inventions - Until the Hunter (Tendri Tales).

'Until Hunter' è il terzo disco di Hope Sandoval (Mazzy Star) con i Warm Inventions. Uscito su Tendril Tales il 4 novembre 2016, il disco è stato prodotto con la collaborazione di Colm O Ciosoig (batterista dei MBV) nel ruolo di produttore e una special guest importante come Kurt Vile che ha scritto con Hope la canzone 'Let Me Get There', una ballad pop soul dalle atmosfere molto seventies con sound che possono ricordare addirittura giganti come Marvin Gay e Gil-Scott Heron. Il disco è sicuramente un prodotto di qualità, elegante e stiloso come è tipico di Hope e dove si alternano brani più pop come 'The Peasant Ballad', 'Day Disguise', 'Isn't It True' con episodi più minimali e evocativi come le ballate 'A Wonderful Seed' (che ricorda la famosa 'Spanish Caravan' dei Doors), la bluesy 'Salt Of The Sea' e la country western 'I Took A Slip', fino alla conslusiva 'Liquid Lady' che con 'Let Me Get There' (confermo che Kurt Vile oramai mi piace più nelle sue collaborazioni, compresa quella su LP con Courtney Barnett che nei suoi lavori come solista) è probabilmente la canzone più convincente del disco e dove Hope Sandoval mostra tutte le sue capacità di performer. In definitiva un disco di una cantautrice che sa scrivere bene ma che negli arrangiamenti forse manca di forza espressiva così come le stesse performance vocali non sono sempre convincenti come Hope ci ha abituato (forse fin troppo bene) in passato. 3/5

Hope Sandoval & The Warm Inventions - Let Me Get There ft. Kurt Vile
 
Prosegue la rassegna 'Buzzin' Sound' (cerca l'etichetta #buzz per tutti gli episodi della rassegna) dove mi lascio condure da @[ALFAMA] nei meandri più misteriosi e sperimentali del mondo della musica, come se egli fosse Virgilio e io Dante, mentre Beatrice non c'è. Ma ci sono questi franci che vi propongo oggi che, piacciano o no, sono o sono destinati a diventare un vero e proprio oggetto di culto presso gli appassionati di musica progressive o comunque di quella musica più atipica e sperimentale degli anni settanta.

Archaia - Archaia (1977)

I francesi Archaia (Pierrick Le Bras, Michel Munier, Philippe Bersan), devoti al sound dei Magma, misero in piedi questo progetto a metà degli anni settanta reinterpretrando quelle sonorità tipicamente progressive in una chiave più sperimentale e costruendo delle composizioni senza batteria e fondate principalmente sull'uso particolare delle percussioni. Il risultato definitivo fu qualche cosa che ancora oggi è sinceramente difficile da ritrovare anche nelle formazioni sperimentali. Il disco eponimo, prodotto da Dominique Calmel, fu pubblicato nel 1977 e resta ad oggi l'unica testimonianza della loro musica. Il disco, le cui atmosfere misteriose e cariche di contenuti esoterici come alcuni degli episodi progressive di quegli anni, si costruisce attorno al ruolo fondamentale del basso, molto peculiare in qualche modo anticipatore di alcuni utilizzi dello strumento nel decennio successivo e a partire dalla nascita della cosiddetta no-wave. La chitarra ha un ruolo sicuramente secondario, rispetto a quello che è l'utilizzo massivo dei synth, che riprendono certi sound effettivamente tipici di gruppi progressive dell'epoca, e quello caratteristico dei cori. Su tutto spicca un certo teatralismo intellettuale del periodo. I momenti migliori secondo me: 'Soleil Noir', le riverberazioni di 'Sur les Traces du Vieux Roy', il drone di 'Massa Confusa', le visioni di 'Le Grand Secret', 'Vol du Phoenix', la acidità garage di 'Chthonos'.

archaia - chronos (1977)
 
Ritorna la rassegna #zot2016 dopo uno, due giorni di assenza che vi avranno sicuramente tenuto tutti sulle spine.

Dreamtime - Strange Pleasures (Sky Lantern Records/Cardinal Fuzz).

Da Brisbane, Australia, ecco i Dreamtime (Zac Anderson, Cat Maddin, Tara Wardrop, Fergus Smith), formazione psichedelica votata a ambientazioni a metà tra la psichedelia e l'immaginario fiabesco. Il disco 'Strange Pleasures', registrato da Darek Mudge presso gli Shed Recording Studio e da George Bennett presso gli Unicorn Planet, ripropone effettivamente questo immaginario onirico e fantastico che peraltro è storicamente tipico di una certa musica progressive degli anni settanta e derivati. Il tentativo è di conseguenza quello di mettere assieme questa tradizione con la musica cosmica e la space ambient con risultati che però sono alterni e che probabilmente piaceranno solo a chi è abituato a costruzioni sonore complesse. Un disco dalle sonorità molto acide e con un certo gusto per le sonorità mediorientali che ricordano quelle atmosfere delle novelle orientali da 'Le mille e una notte' che rende sicuramente il sound dei Dreamtine qualche cosa di molto particolare, ma che per quanto riguarda i miei gusti si rivela essere ostico e troppo strutturato. Ogni canzone sembra quasi non finire mai e arrivare alla fine appare quasi una impresa eroica tipica dei protagonisti di quelle suite oniriche raccontate dalla bella Sherazad. 2/5

Dreamtime - Golden Altar
 
Procedo con la rassegna #buzz dedicata ai suoni più sperimentali e all'avanguardia suggeriti da Mr Buzz aka @[ALFAMA] e riproponendo un artista già presentato precedentemente all'interno di questa stessa rassegna.

Alameda 5 - Duch Tornada (2015)

Dopo la pubblicazione di 'Pozn krolestwo' a nome Alameda 3, Kuba Ziolek allarga il suo progetto con una formazione questa volta di cinque elementi e completata dal solito Mikolaj Zielinski al basso e i nuovi innesti Lukasz Jedrzejczak alle tastiere, Jacek Buhl alle percussioni e Rafael Iwanski alla batteria. La scelta di aggiungere un percussionista non è casuale ma praticamente una scelta precisa in quello che è il concept sviluppato in questo disco pubblicato nel 2015 e intitolato 'Duch tornada'. Anche in questa occasione Kuba Ziolek si rivela un compositore e un musicista brillante e pieno di intuizioni. Il disco si sviluppa in maniera completamente diversa da 'Pozne krolestwo'. Intanto è frammentato in più composizioni (13 in totale) comunque tutte dalla durata abbastanza lunga. Ma secondariamente, quello che più conta, le sonorità divergono dal disco precedente e invece che guardare allo spazio, sembrano quasi farci sprofondare sotto terra o sul fondo degli abissi in un processo che tuttavia non è distruttivo, ma che invece riprende temi della prima fantascienza di Jules Verne, le sperimentazioni alchemiche di Arne Saknussemm e in uno spazio senza tempo che corrisponde a una fornace ideale dove suoni dronici si uniscono a suggestioni sottomarine, sensazioni claustrofobiche, percussioni primitive che si ripetono in maniera ossessiva dalla prima traccia fino all'ultima e jazz notturni metropolitani, psichedelia acida e barriti di elefanti, processioni di monaci tibetani. Come se una forza creativa ancestrale non riuscisse a trattenersi e si scatenasse tutta assieme con la forza di un tornado. Per quanto possano contare le classifiche, difficile stabilire quale album sia migliore tra questo e 'Pozne krolestwo' perché del resto i due appaiono come due facce della stessa medaglia.

Alameda 5 - Duch Tornada
 
Continuo la rassegna #buzz con la quale mi propongo di riuscire a recuperare tutti i suggerimenti incredibili e interessantissimi del nostro @[ALFAMA]. Questa è, come dire, la seconda 'puntata'.

Alameda 3 - Pozne krolestwo (2013)

Gli Alameda 3 sono un progetto del multistrumentista polacco Kuba Ziolek con il batterista Tomek Popowski e il bassista Mikolaj Zielinski. Ci troviamo davanti a un disco, 'Pozne krolestwo' (2013), che potrebbe apparire come monolitico o comunque un episodio di heavy-psychedelia come quelli cui ci hanno abituato diverse band del panorama psichedelico tipo i Cosmic Dead oppure i Mugstar. Roba di cui tutto sommato si può dire che ne abbiamo abbastanza. E invece no. Perché questo disco è invece una specie di space-opera che si configura sostanzialmente in due lunghe sessioni di musica ambient dronica, dove regna una specie di sacralità liturgica nella contemplazione del creato e che alla fine esplode in mille schegge impazzite di furore avanguardistico noise. Che poi sono sostanzialmente il contenuto della ultima traccia dell'album che rievoca certe sonorità sperimentali della musica psichedelica giapponese celebrata dall'arcidruido Julian Cope tanto quanto episodi contemporanei come le sperimentazioni di Colin Stetson e Mats Gustafsson. Nel mezzo non mancano tre piccoli abbozzi di psichedelia folk che ripropongono quello stesso atteggiamento di religioso avvicinamento a altre forme di vita del nostro universo in un percorso di ricerca nello spazio tanto quanto di analisi interiore. Sonorità nel complesso dove il drone regna sovrano e cariche di riverberi e a tratti suggestioni classiche della psichedelia. Un lavoro che ci riconcilia prima di tutto con il genere umano e che idealmente rilancia l'immaginario classico della fantascienza e condensa in trenta-quaranta minuti tutto un immaginario che va da '2001: Odissea nello spazio' a 'Solaris' e poi a quella che è la scienza vera e propria, l'uomo sulla Luna, Spirit e Opportunity, il lungo interminabile viaggio della sonda Galileo.

Qui la recensione scritta da Buzz il primo marzo 2015: POZNE KROLESTWO - ALAMEDA 3 - Recensione di Buzzin' Fly

Alameda 3 - Teraz widzę już tylko rzekę...
 
Ogni tanto anche la mitica rassegna #zot2016 inciampa in qualche cosa di completamente inutile. Almeno secondo il mio parere. Tipo oggi.

Pictish Trail - Future Echoes (Fire Records).

Dischetto pubblicato l'anno scorso dalla storica Fire Records. Pictish Trail è il moniker dello scozzese Johnny Lynch, uno dei nomi più interessanti della scena britannica per quello che riguarda una certa sonorità folk mescolata con una elettronica indie. Roba che nelle sue espressioni minimali può andare benissimo per situazioni tipo il Green Man Festival. Il disco si intitola 'Future Echoes' ed è prodotto dallo storico collaboratore di Johnny, cioè Adam Ihan, che collabora anche alla realizzazione del disco. in 'Future Echoes' si alternano momenti più dub-step con atmosfere radioheadiane tipo 'Far Gone (Don't Leave', per lo più tipiche espressioni di estetica indie pop come 'Dead Connection', 'Lionhead', 'After Life' e momenti 'ambient' che fanno il verso a Bonobo tipo 'Rhombus'. Nel complesso non sono riuscito a digerirlo, ma più che altro mi sembra un disco anche fuori tempo massimo relativamente certi patterns e schemi che sono oramai belli che superati anche all'interno del panorama indie. 1/5

Pictish Trail - 'Far Gone (Don't Leave)' Official Video
 
La rassegna #zot2016 è lieta di presentarvi ecc. ecc.

Stay - Mean Solar Times (Picture In My Ear Records).

Gli Stay sono un gruppo catalano composto dal frontman, vocalist e chitarrista Jordi Bel, il bassista Ivan Lopez, il tastierista Israel Palacio e il batterista Jordi Casal. Il loro ultimo disco, 'The Mean Solar Times', è uscito per l'etichetta di Minneapolis, Minnesota, Picture In My Ear Records il nove febbraio 2016. Prodotto da Owen Morris, collaboratore di Oasis e Verve negli anni novanta, il disco effettivamente riprende tutta una serie di sonorità tipiche del pop-rock britannico di quel decennio. A partire dai riferimenti ai Ride ('Pinkman', 'Smiling Faces', 'Dirt and Alone') dovuti anche alla collaborazione attiva di Andy Bell nella registrazione del disco; quindi
agli Oasis ('Dirty and Alone', 'Shake the Sun'); infine ai Kula Shaker ('Mind Blowing (Extended Version'). Sicuramente trascurabili episodi come le ballate 'Always', 'You Know It's Right', ' Hide Away'; 'Smiling Faces' ricorda i Dandy Warhols, 'All In Your Eyes (Extended Version)' le sonorità di Jacco Gardner e gli ultimi Temples. Degno di menzione l'ipnotico groove del remix di 'Pinkman' ad opera di Andy Bell. Non male. Se ti piacciono le sonorità brit-pop degli anni novanta e venate da un buon gusto della psichedelia vai a colpo sicuro. 3/5

Stay - Pinkman
 
Comincio oggi una nuova rassegna dedicata a chi su queste pagine propone così tante cose interessanti (che mi interessano) che è difficile stargli dietro, cioè @[Buzzin' Fly] aka @[ALFAMA]. La rassegna ha lo scopo di cercare di essere metodico di seguire il mio amico nei suoi tanti suggerimenti e si intitola 'Buzzin' Sound', l'etichetta di riferimento è #buzz e questo qui è il primo capitolo di una serie che si preannuncia essere potenzialmente interminabile. Grazie Buzz per le mille 'chicche' che mi (ci) regali ogni giorno.

International Harvester - Sov gott Rose-Marie (1968).

Gli International Harvester sono la reincarnazione della cult band svedese Parson Sound (la cui unica pubblicazione è effettivamente un vero e proprio oggetto di culto in quanto recuperata e ritornata alla luce solo nel 2001 dopo praticamente oltre trent'anni) e che con questo nome ha pubblicato un LP nel 1968 intitolato 'Sov gott Rose-Marie' altrettanto degno di essere considerato quanto il primo LP. Se non di più. Mentre infatti 'Parson Sound' guardava in qualche modo ad alcune sonorità del rock sperimentale dei Velvet Underground oppure ai Rolling Stones, qui il gruppo filtra queste sonorità attraverso quelle che sono da una parte le tradizioni folk del loro background culturale e dall'altro proponendo un certo suono d'avanguardia, espressione di dissenso totale alle forze e al pensiero capitalistico e in particolare dedicandosi alla causa naturalista. Il risultato è uno dei dischi migliori di quegli anni. Nel lato A si alternano sonorità più garage e ossessive ('There Is No Other Place', 'Ho Chi Mihn') con momenti più sperimentali come la introduttiva 'Dies Irae', una specie di trionfante fanfara nello stile del film 'peplum' di quegli anni; la ipnotica e quasi assordante 'Klocan Ar Mychet Nu (It's Getting Late Now)'; la ballad psichedelica con rimandi orientalieggianti 'Sommarlaten (The Summer Song)'; le diffuse atmosfere del panorama scandinavo e che trovano la massima espressione nella title-track, la evocativa 'Sov Gott Rose-Marie (Sleep Tight Rose-Marie)'. Il lato B apre invece al puro sperimentalismo più selvaggio. 'I Mourn You' azzera tutto quello che fanno i VU in 'White Light/White Heat'; 'How To Survive' è come avrebbe suonato 'Tomorrow Never Knows' se fosse stata scritta dai Tinariwen; i venticinque minuti di 'Skordetider (Harvest Times)' anticipano gruppi come i Dead Skeletons di quarant'anni. Carico di contenuti ideali e allo stesso tempo selvaggio come il profumo delle foreste di conifere della taiga russa e scandinava, ecco qui un disco che ci mostra come gli svedesi abbiano sempre costituito storicamente una specie di avanguardia sul piano culturale e nella specie musicale anche in anni in cui le attenzioni erano chiaramente tutte concentrate sugli USA e il Regno Unito. Fondamentale.

International Harvester - Skördetider (Harvest Times)
 
Stavolta la proposta per la rassegna #zot2016 è veramente molto particolare

Eternal Tapestry - Sleeping On A Dandelion (Sky Lantern Records)

Questo disco diviso in due lunghe tracce è in realtà fondamentalmente una unica lunghissima jam session dalla durata di mezz'ora registrata dal vivo presso i Mississippi Studios di Portland, Oregon il 28 aprile 2014 e pubblicata presso la Sky Lantern Records solo l'anno scorso con il titolo 'Sleeping On A Dandelion' con un chiaro rimando a un verso dei Pink Floyd del primo disco. Conoscendo gli Eternal Tapestry chiaramente qui ci possiamo aspettare di tutto e effettivamente i nostri eroi danno praticamente tutto, creando in mezz'ora vere e proprie palizzate di suono drone basate su un imperioso giro di basso e il wah delle chitarre e con un utilizzo del sassofono che colloca le due composizioni a metà tra la no-wave e il kraut-rock e che fa chiaramente pensare tanto a band del passato come Can o Amon Duul II quanto a realtà contemporanee come i Kikagaku Moyo più acidi. Particolare l'uso della voce nella prima traccia, praticamente un lungo agghiacciante lamento dall'inizio alla fine della canzone. Una roba che neanche Damo Suzuki. Per quanto mi riguarda: imperdibile. 5/5

Eternal Tapestry - Sleeping On A Dandelion (2016) Full Album
 
Poiché questa è la rassegna #zot2016 vi proponiamo oggi un solito disco uscito nel corso dell'anno 2016 che non abbiamo ascoltato l'anno scorso ma che abbiamo ripreso adesso con più o meno giovamento.

Kyle Craft, classe 1989, è uno dei nomi emergenti nel roster della popolare etichetta Sub Pop Records. Prossimo alla pubblicazione del suo secondo disco (stanno già circolando le prime canzoni), per la rassegna vi propongo il suo disco di esordio ('Dolls of Highland') uscito nell'aprile 2016. Chiaramente ispiratosi a sonorità degli anni sessanta-settanta e in particolare dal glam rock di Marc Bolan, un certo Elton John, David Bowie e ad alcune sfumature del Lou Reed più ruffiano e derivati (tipo New York Dolls), senza considerare alcune sfumature southern rock (è americano) e alcune pretese Bob Dylan... Kyle Craft è senza dubbio una delle novità più catchy e convincenti nel panorama pop-rock e forse potrebbe con il prossimo disco diventare così 'hype' da scalzare definitivamente il revival garage di Ty Segall come mood più considerato nel panorama indie che evidentemente adesso vuole della musica diversa da masticare. Per quanto mi riguarda il fatto di questo ragazzo è che è forse troppo bravo e per questo motivo mi sta un po' sul cazzo, ma le sue canzoni sono indubbiamente troppo ascoltabili per non poter piacere.

3.5-4/5 per principio.

Kyle Craft - Full Performance (Live on KEXP)
 
La rassegna #zot2016 bla bla bla...

Moaning Cities - Dr. Klein (Exag' Records')

Pare che 'Dr. Klein' sia una serie televisiva di successo, ma perché i Moaning Cities abbiano deciso di intitolare così il loro ultimo album per me è un mistero. Direttamente da Bruxelles una delle band più rilevanti nel panorama neo-psichedelico belga e una delle band principali dell'etichetta belga Exag' Records e organizzatori diretti dello psychedelic festival della loro città, lo Stellar Swamp. 'Dr. Klein' è uscito lo scorso anno ed è un disco di neo-psichedelia veramente particolare, nel senso che nonostante alcuni rimandi ai Black Angels oppure ai BRMC, resta secondo me un lavoro abbastanza originale in un mondo dove effettivamente ci sono un sacco di 'doppioni' (qualcuno direbbe 'copioni' ma secondo me non è che si facciano delle copie, semplicemente se uno fa una cosa che ti piace e tu suoni, allora cerchi di ricreare lo stesso tipo di sonorità, mi pare una cosa normale...). Garage, acido e ricco di alcune venature blues e di performance canore convincenti da parte dei due vocalist, i fratelli Valerian e Juliette Meunier, 'Dr. Klein' è uno dei dischetti più interessanti io abbia ripescato dallo scorso anno 2016 e ve lo suggerisco qui su di un piatto d'argento come se fosse la testa di Giovanni Battista martire.

Moaning Cities - Vertigo Rising (OFFICIAL)
 
@[Pinhead] come sai del tuo mito Billy Bragg so molto poco. Comunque sto ascoltando con grande godimento questo ultimo EP. Concettualmente mi ha fatto pensare a un disco di un artista che è sicuramente lontano da lui per mille ragioni, ma che anche era orientato sullo stesso concept ('Bridges not Walls') cioè 'Peace Trail' di zio Neil Young uscito lo scorso anno.
 
Mi ero dimenticato di aggiornare la imperdibile rassegna #zot2016 che tanto appassiona tutti gli utenti di DeBaser. Eccomi qui.

The Asteroid Belt - Do Whats Right.

Gli Asteroid Belt sono un collettivo aperto di musica psichedelica di Adelaida, South Australia. Sono in giro credo da una decina di anni e da allora hanno praticamente sempre riproposto la stessa formula: tutte le canzoni sono praticamente jam psichedeliche registrate per lo più in presa diretta e senza sovraincisioni. Il risultato che ne derivava era una specie di garage psichedelico con venature blues. In questo caso qui però la cura del suono mi sembra più accorta e questo risulta anche essere più pulito e meno grezzo che negli altri dischi, probabilmente per un lavoro successivo di mastering abbastanza riuscito. Che altro dire? 'Do Whats Right', cinque composizioni acidissime di space rock, motorik beat 4/4 e un sacco di phaser più una specie di intermezzo, 'Radiation Mutation', dalle sonorità più meditative e sfumate e sperimentali. Tutte cose buone e giuste cui vale sempre la pena di dedicare un ascolto.

The Asteroid Belt "Bulkhead"
 
@[imasoulman] Jim White lo conosci? Non mi dire che qui ti colgo impreparato.

JIM WHITE - Sweet Bird Of Mystery
 
Prima di scappare a vedere l'Inter, rinnovo la rassegna #zot2016 con una proposta tutta Made in Italy.

1997EV - Love Symposium Alien Spider (Boring Machines)

Questa volta propongo un disco italiano. L'artista in questione è 1997EV, moniker di Andrea Ev, artista e musicista sardo che con questo disco intitolato 'Love Symposium Alien Spider' uscito lo scorso anno per l'etichetta trevigiana Boring Machines, propone un omaggio alla propria terra attraverso una serie di vigorose composizioni drone psichedeliche. Passiamo dalle riverberazioni Sonic Boom miste a allucinazioni Suicide degli undici minuti di 'DrySun Acid' alla elettronica Amorphous Androgynosus di 'Post-Organic Lullaby' e 'Sleepstone', la ballad psichedelica 'Oceanic' e il drone rituale di 'Magnetospleen' e 'Ologramatic', fino a 'Black Christine' che effettivamente ricorda quel thrilling cinematico della 'Christine' di John Carpenter. Veramente un bel disco. Consigliatissimo.

1997EV - Love Symposium Alien Spider | Boring Machines