Non cambierà nulla probabilmente, ma solo il fatto che quel borioso presuntuoso omologato personaggio sia stato fottuto sa una fanciulla appena arrivata merita un sorriso di sprezzante goduria
Ahahahahahah
#belisim
Clutch - The Mob Goes Wild

UNA CLUTCHATA AL GIORNO… MAIUSCOLA
Are You Ready for the Mountain?

Altro album meraviglioso dei lampeggianti che non conoscevo
MARSHMALLOW OVERCOAT - Groovy Little Trip

Stradoorsiana, favolosa… riff alla Roadhouse Blues
Nobili dai vi faccio ridere

In diretta dalle votazioni PD - ho portato la Contessa Madre -
Il più giovane è sulla settantina, le varie bandiere hanno al massimo una linea di rosso sbiadito in mezzo a bianco, giallo, verde, blu, la faccia più sveglia sembra quella di un vecchio fan del liga… praticamente un film grottesco

Bruno meno male che sei morto …
Clutch - X-Ray Visions (Official Video)

Una clutchata al giorno… oggi più che mai…
Zio bestiolino … sono entrato e mi sono trovato uno dopo l’altro venditti e baglioni… debaser non è morto, è molto peggio …
MARSHMALLOW OVERCOAT - (We're The) Knights Of Fuzz

Bomba… non trovo The light Show che è l’opposto
MARSHMALLOW OVERCOAT - Santa Fuzz

Decisamente più Paisley e beat-psichedelici che garage, i Marshmallow ci hanno lasciato una ventina di pezzi notevoli…
Lost Crusaders "It Don't Worry Me"

Mike Chandler non ha nemmeno un wikipedia… Mike Chandler, quello degli Outta Place e dei Raunch
Hands… uno di quelli che il garage punk ce l’aveva trapiantato vicino al cuore …

E allora il Reverendo… quinta e ultima puntata… con questo disco diversamente splendido…

Ci sono bands che suonano rock ‘n’ roll. Altre che, molto più semplicemente, SONO il rock ‘n’ roll. È una questione di ESSENZA o di odore se preferite. Già, di odore. Perché i Raunch Hands hanno quel tipico puzzo funky che ogni rock ‘n’ roll band dovrebbe portarsi addosso. Come spiegherà lo stesso Mike Edison sul suo How Punk Rock Ruined My Life il r ‘n r è una droga e una volta preso il vizio, sei fottuto. Una teoria che Feel It!, il disco che riapre la casa di tolleranza dei Raunch Hands quindici anni dopo l’ultima orgia in studio, palesa in pieno, con una carica erotica esplosiva che Edison, Chandler e Mariconda ben conoscono. Accantonati provvisoriamente i loro progetti rieccoli con 11 bombe di frat rock demente e debosciato con picchi di assoluto delirio su The Sophisticated Screw, The Skies Above, You Don‘t Care e sul gospel perverso di Kick Me One Down. Da allora, più nulla si sa di loro anche se in quello stesso anno, nel 2008, esce il disco di quella nuova band di cui parlavo in apertura.

E di cui nessuno sembra accorgersi.

Ma come cazzo è possibile, mi chiedo.

Qua dentro ci sono Mike Chandler, gli Heavy Trash, Keith Streng e Steve Greenfield dei Fleshtones, Laura Cantrell, Brian McBride degli Electric Shadows, Hans Chew, Buffi Agüero dei Tiger! Tiger!, Johnny Vignault dei Woggles e nessuno ne parla?

Miracoli del giornalismo musicale di quest’Italiucola ormai ridotto a pura propaganda per il distributore di turno, in cambio di qualche pagina di pubblicità e una manciata di promo.

Così va il mondo. A proposito, avete sentito riguardo il mondo?

Se non ne avete sentito abbastanza, è ora di ravvedervi. Perché Michael Chandler è diventato Reverendo e vi condurrà verso la luce col suo gospel sporcato dal garage e dal rock ‘n’ roll. Non sono più i Raunch Hands e non sono ancora i Mercy Seat ma sono sulla perfetta via di mezzo. Un biglietto di sola andata per il paradiso, a bordo di una Roush Cobra che sfreccia da Madrid (dove nel frattempo Mike si è trasferito, NdLYS) al New Jersey, guidata dall’organo di Jerome Jackson, organista della Kelly Temple Church Of God In Christ di Harlem.

I dodici sermoni di Have You Heard About the World? sono l’alternativa a tanto rock che puzza di cadavere e che sta atterrendo il mondo.

Mandate a cagare gli xx e fatevi due salti di autentica gioia.

In quanto a te, Chandler, che tu sia impermeabile alla malattia come lo sei stato a tutto ciò che non puzza di rock ‘n’ roll.

Il mondo, questo e l’altro, te lo deve.

P.S: Billy Miller è morto il 13 novembre del 2016. Mike ha lasciato questo mondo il 22 aprile del 2018, alle 4 di un mattino che non arriverà.
Lost Crusaders "There Used To Be A River"

Mike Chandler non ha nemmeno un wikipedia… Mike Chandler, quello degli Outta Place e dei Raunch
Hands… uno di quelli che il garage punk ce l’aveva trapiantato vicino al cuore …

E allora il Reverendo… in tre, no facciamo quattro puntate, anzi cinque altrimenti non ci sta… con questo splendido disco diversamente splendido…

Sono ancora gli epiteti contro il prog rock lanciati da Tim Warren a farla da padrona nella copertina interna di Have a Swig, nuovo lavoro su grande formato ma a breve circuito dei Raunch Hands con dentro due cover micidiali di Did You No Wrong dei Sex Pistols e della comica Frenzy di Screaming Jay Hawkins a far compagnia a cinque nuove canzonacce della gang newyorkese. Fatta eccezione per il lercio stomp di The Long Crawl Home che sembra svicolato fuori da The Axeman’s Jazz dei Beasts of Bourbon si tratta di una “sorsata” di rock ‘n’ roll deraglianti, farcite di armonica, sassofono e spazzole e oltraggiati dalla voce beffarda di Chandler.

Tim Warren aveva visto giusto: i Raunch Hands sono una band senza tempo, capace di stare in equilibrio sulla storia del rock ‘n’ roll sputando dall’alto. Attenti a quello che bevete, quando aprite la bocca.



Bestie feroci.

Come definire altrimenti i Raunch Hands? Animali che vivono liberi da ogni recinto, abituati ad orinare su ogni rovo di rhythm ‘n blues, su ogni cespuglio di frat-rock, su ogni arbusto rock ‘n’ roll, su ogni cespo di soul music, su ogni germoglio novelty. Facendo tana nelle tane altrui. Come i Blues Brothers al Bob’s Country Bunker portano la loro musica dove sanno che verrà odiata, trasformando quell’ostilità in un frastuono ancora più feroce. Sbavando dalla bocca, non avendo altri orifizi molli da cui sbavare.

Fuck Me Stupid non arretra di un solo centimetro nella ricerca del conflitto che i Raunch Hands portano avanti ormai da otto anni. Alzando ulteriormente il livello di scontro e di tensione. L’arrivo di Mike Edison dietro i tamburi ha avuto l’effetto di un fiammifero lanciato dentro una polveriera. E il risultato è una deflagrazione immane di petardi lascivi di un rock ‘n’ roll che cola di lardo e umori sessuali che neppure dietro e sotto i mantelli di James Brown e Salomon Burke.

Cosa aspetti? Fottimi, stupido.
Lost Crusaders "Have You Heard About The World?."

Mike Chandler non ha nemmeno un wikipedia… Mike Chandler, quello degli Outta Place e dei Raunch
Hands… uno di quelli che il garage punk ce l’aveva trapiantato vicino al cuore …

E allora il Reverendo… in tre, no facciamo quattro puntate con questo splendido disco diversamente splendido…

Ancora prima di loro c’era stato dell’altro: una band in cui Chandler suonava, malamente, il basso e Tim Warren altrettanto male l’organo. Non ne sarebbe rimasta traccia ma avrebbe sancito la nascita di una grande amicizia, anche artistica: Mike avrebbe dato una mano economica all’amico Tim per stampare un disco che avrebbe segnato l’inizio di un’etichetta che diventerà l’emblema di una intera filosofia di vita, la stessa da cui attingeranno proprio gli Outta Place.

La label era la Crypt Records e il disco il primo volume di Back from the Grave.

Le storie di Tim e Mike torneranno ad intrecciarsi, come vedremo.

Il passo successivo furono i Raunch Hands.

All’epoca, non li capisce nessuno.

Dopo, neppure.

A parte Tim ovviamente, il quale non solo se li mette in casa e nel suo furgone per portarli in tour ovunque capiti, ma suggerisce pure a Mike tutta una serie di oscurissime cose che lui sta reperendo in giro per l’America per riempire i suoi volumi di musica improbabile. Inoltre, facendo uno strappo alla regola, li infila pure dentro il terzo volume delle sue Back from the Grave, accanto a bestie come Murphy and The Mob, Montells e Little Willie and The Adolescents, aprendo per la seconda volta (nella primissima tiratura del primo volume della serie aveva in realtà permesso all’amico Monoman di chiudere la scaletta con una versione di The Witch che verrà rimossa nelle successive ristampe, NdLYS) le segrete della sua cripta ad una band contemporanea.

Ma prima di finire nella cripta di Warren i ragazzi firmano per la Relativity, un’etichetta metal messa su da Barry Kobrin ma che lavora pure con Robyn Hitchcock e Cocteau Twins, tra gli altri. Hanno soldi da investire, e li buttano così.

Tutto il materiale inciso per la Relativity (El Rauncho Grande del 1985 e Learn to Whap-a-Dang dell’anno successivo) verrà ristampato in digitale nel 1990 da un’etichetta di Tokyo, la 1+2 Records di Barn Homes ed è un po’ da qui che parte la storia del rock ‘n’ roll a bassissima fedeltà degli anni Novanta. Quella di bands come Bassholes, ’68 Comeback, Gibson Bros. e Gories, per intenderci. Che non solo registrano male, anzi malissimo, ma suonano con quell’identico modo sgraziato, insolente e sfrontato recuperando dalle frattaglie che la storia del rock ha rimosso e messo tra gli scarti di produzione. Country, hillbilly e blues scassati, legati con lo spago e attaccati con mastice da falegname. Un po’ fuoriposto ovunque, all’epoca.

Ripudiati dagli oltranzisti devoti al garage punk degli Outta Place, derisi dai fedeli al suono roots, accusati di essere una band di fantocci che si fa beffe della tradizione. E invece…se i Long Ryder
Lost Crusaders "Wasted On The Wind"

Mike Chandler non ha nemmeno un wikipedia… Mike Chandler, quello degli Outta Place e dei Raunch
Hands… uno di quelli che il garage punk ce l’aveva trapiantato vicino al cuore …

E allora il Reverendo… in tre, no facciamo quattro puntate con questo splendido disco diversamente splendido…
Pezzo da piangere, bellissimo …

Quando la band che lo aveva registrato si era già autodistrutta da un po’ la Midnight pubblica Outta Too!, un altro massacrante mini album di devastante garage-punk. Anche se pure stavolta la cosa che impressiona di più è la voce sguaiata di Mike Chandler. È suo, all’epoca, il miglior latrato da caveman. Robert Jelinek è Eric Burdon, Greg Prevost è Mick Jagger, Eric Bacher è Phil May e Leighton, ai tempi, è Alan Rowe (al quale ruberà pure tante altre cose, NdLYS). Ma Mike Chandler è Mike Chandler.

Canta col ghigno beffardo di un punk. Ed è l’unico che riesce a cantare Little Girl dei Syndicate of Sound con un tono più marcio e depravato di quello dello stesso Don Baskin anche se Chrissie Amphlett lo farà mettendosi le dita nella fica, proprio un annetto dopo l’uscita di Outta Too!!, facendone un hit da porno-rock.

Little Girl è chiusa qui dentro assieme ad altre sei cover: una versione speculare del precedente mini. Altre oscure reliquie sixties deturpate da questa manica di punkers che non serbano rispetto manco per i genitori, figurarsi per le canzoncine di bands sconosciute del Delaware o di Burlingame. Così arrivano, e sfasciano tutto.

È con loro che la definizione garage assume quella di garage-punk.

Non c’è adesione ai canoni, ma abrasione.

Gli Outta Place suonano con una foga da dodicenni alla prima foia.

Come se suonare in uno scantinato della Bowery equivalesse a suonare al CBGB‘s.

Chissà cosa avrebbero potuto fare se non avessero scelto di bruciarsi nel giro di sei mesi.
Lost Crusaders "Whose Name Will I Call?"

Mike Chandler non ha nemmeno un wikipedia… Mike Chandler, quello degli Outta Place e dei Raunch
Hands… uno di quelli che il garage punk ce l’aveva trapiantato vicino al cuore …

E allora il Reverendo… in tre puntate con questo splendido disco diversamente splendido…

MIKE CHANDLER – NYC Real R ‘n’ R Motherfucker
Pubblicato su aprile 17, 2022 da reverendolys

2016: Mike Chandler ha il cancro. E lo sanno in pochi.

Come Billy Miller, un altro monumento del rock ‘n’ roll newyorkese, sta appassendo piano piano ma con grandissima dignità.

Ha anche una nuova band ma nessuno lo sa.

Del resto pochi ricordano anche quelle che ha avuto prima: una band di degenerati chiamati Outta Place che si divertivano a tirare fuori vecchie carcasse dalle pozze di lerciume del rock ‘n’ roll, metterci sopra qualche cencio ed esibirle come spaventapasseri nel circuito garage che contava. Erano i migliori del giro.

Sboccati e senza alcuna speranza di poter piacere ad alcuno, se non a me: all’uscita del secondo mini-Lp, non esistevano già più.

Ma nel 1983, mentre Rudi Protrudi fatica a trovare una etichetta per stampare il primo album dei Fuzztones, loro stanno però già registrando il loro primo disco. Si chiamano Mike Chandler, Orin Portnoy, Jordan Tarlow, Shari Mirojnik e Andrea Kusten e con i Fuzztones hanno (e avranno) moltissime cose in comune: Orin è il fratello del loro chitarrista Elan Portnoy (con cui incide già a nome Twisted e con cui fonderà poi due band straordinarie come Headless Horsemen e Bohemian Bedrocks) suonare i tamburi nel 2000, Shari finirà nel letto di Elan e Rudi, mentre Mike, oltre a flirtare con Deb O’Nair, scriverà (cosa che forse in pochi sanno o dimenticano con facilità ancora oggi, NdLYS) alcune fra le più belle canzoni dei Fuzztones: Bad News Travels Fast, She’s Wicked, Highway 69, It Came in the Mail, Me Tarzan You Jane, What You Don’t Know, Brand New Man, Heathen Set.

Ma all’epoca gli Outta Place sono “soltanto” tre ragazzi e due ragazze che si fanno carico di stampare il primo disco garage-punk dell’area newyorkese.

Sono arrivati alla corte della Midnight Records grazie ad una demo autoprodotta che il boss J.D. Martignon si fa carico di pubblicare quasi per intero su disco. Il risultato viene stampato su un dodici pollici che gira a 45 giri ed è il secondo disco del catalogo Midnight che di lì a qualche mese pubblicherà pure gli esordi delle altre due garage band della città: i Fuzztones e i Vipers (prodotto fra l’altro proprio da Jordan Tarlow). Ma We’re Outta Place, in termini di violenza beat/punk aveva già detto tutto, urlandolo col tono sguaiato, incalzante e provocatorio di Mike Chandler. Quelle sei cover erano il certificato di battesimo della scena garage della Grande Mela. E gli scarti strumentali (con le urla di Chandler registrate nel suo appartamento ed aggiunte nella masterizzazione successiva) che verranno pubblicati tre anni più tardi a band ormai sciolta, il suo certifi
In My Time of Dying (1990 Remaster)

E allora prima di tutto omaggiamo questo Signore di disco…
Clutch - Emily Dickinson

Una clutchata al giorno… Emilidichinsooooonnn
Attila & The Huns - Hard To Find

Nel sottobosco del già poco conosciuto mondo garage … cercherò altri video ma c’è poco, l’album l’ho preso è ottimo…

La prima cosa che puzzava di marcio era che avessero cambiato nome: gli Unclaimed diventavano gli Unni e Attila il loro tiranno.

La seconda era che il loro disco usciva con quindici pezzi su CD e tredici soltanto su vinile. Orfano quindi, e non di due pezzi minori ma di una cosa assolutamente pregevole come It‘s Raining Now e lo stravagante surf di The Gull. Del resto niente è prescindibile degli Unclaimed, è quindi è un doppio sfregio.

Ma come, caro Shelley (Ganz, Kidd o come diavolo vuoi farti chiamare), vivi chiuso nella tua gabbia dorata rinnovando il culto perpetuo degli anni Sessanta, aborrisci la tecnologia e decidi di delegittimare il vinile?

La terza cosa era la copertina decisamente orribile.

La quarta, il nome di Lee Joseph scritto a rovescio.

Niente di satanico ma comunque un presagio di sventura.

Però chi se ne frega. Quando esce Under the Bodhi Tree, dopo cinque lunghi anni di attesa, gli Unni sono già polverizzati, come i loro antenati nei pressi del fiume Nedao più di un secolo e mezzo prima.

Uccisi da loro stessi, stavolta.

Divorati dal loro stesso capitano.

Questo disco resta quindi a testamento della più enigmatica garage band degli anni Ottanta, in grado di mettere su un circo dove uno psicotico beat come Hard to Find riesce a convivere fianco a fianco con gli arabeschi sognanti di Well It‘s True, i serpenti a sonagli di The Creep con l’eccezionale cavalcata country di Bodhi Tree, il gentile scampanellio di Betty Crooper con il passo ciclopico di Valley of the Giants, la copia carbone di Teeny Bopper, Teeny Bopper con la mortifera Haunted. Un disco totalmente avvolto nelle maglie degli anni Sessanta (il dark-folk dei Music Machine, la musica strumentale e cinematografica, la cruda energia dei Count Five, il suono ribelle degli Standells, il jangle-beat dei Syndicate of Sound, il punk psichedelico della Chocolate Watch Band) ma capace di sprigionare un aroma tutto suo, l’aroma della più stilosa retro-band di tutto l’underground garage.
The (Count) Bishops - I Want Candy - TOTP 1978

Il Rev - parte III

Nel marzo del 1978 i Count Bishops diventano, semplicemente, Bishops. Lo annunciano pubblicamente l’ultimo giorno del mese, su un singolo con una cover di I Take What I Want sul lato A e un originale intitolato No Lies sull’altro.

L’ultima esibizione col vecchio nome, al Blast Furnace di Londra, era stata però registrata per un disco collettivo che la scuderia Chiswick ha in programma di pubblicare. Invece, non se ne fa nulla. L’etichetta decide però di pubblicare per intero il set dei (Count) Bishops, pubblicandolo col semplice titolo di Live! il 28 aprile del ’78, in due formati differenti per due pollici uno dall’altro.

Dentro resta imprigionata tutta l’energia pub-rock della band e, per l’ultima volta, la chitarra di Zenon De Fleur che morirà per un incidente automobilistico il 18 marzo dell’anno seguente su un tavolo operatorio portando per sempre con sé una parte dell’anima dei Bishops. Per questo Live! assume un valore ancora più grande, nel già grande merito della formazione inglese che per prima pisciò sui dischi dei Genesis.



Dopo un EP di esordio nel ’75 con la migliore cover di Route 66 mai incisa, una coppia di album nel ’77 arriva, una volta accorciato il nome, un ultimo disco intitolato Cross Cuts ancora pregno di energia, diviso tra covers feroci calibro-Good Times/I Want Candy (Easybeats e Strangeloves, per gradire) e Somebody’s Gonna Get Their Head Kicked Tonight dei Fleetwood Mac e pirotecnici originali come What‘s Your Number (un’autentica zannata boogie che ti lacera la pelle, NdLYS), No Lies o Rolling Man, ultimo brano scritto da Zenon che la band si fa carico di completare ed incidere come ultimo omaggio all’amico. Il rientro in Australia di Paul Balbi per la scadenza del permesso di soggiorno è però il colpo definitivo per i Bishops, quello che mette definitivamente in ginocchio una delle band dalle schiene dritte come poche. Genuflettendosi al destino.



Il carrarmato punk era già passato.

Il motore, lo sapete, erano altri.

Ma loro di certo ne erano stati i cingoli.
CLUTCH - You Can't Stop Progress

Una clutchata al giorno…
The Bishops - I take what I want (1979)

Che band ! Rev parte 2

Dave Tice era stato, dal 1971 al 1977, il talentuoso cantante dei Buffalo, una delle tante meraviglie del continente australiano. Da quella stessa progenie di bovini era fuoriuscito all’indomani del fantastico album di debutto Paul Balbi, trasferitosi ormai da tempo a Londra dove, rispondendo ad un annuncio sulle pagine del Melody Maker, aveva unito la sua sorte a quella di altri due bighelloni della City ponendo le basi per la nascita dei Count Bishops. Abbandonati dal cantante, i Bishops avevano dovuto incidere il primo omonimo album affidando ai due chitarristi l’onere di alternarsi al microfono, senza grossi risultati. Ma al momento di registrare il seguito, Paul decide di “offrire” un’opportunità di lavoro al vecchio amico Dave. Che fa fagotto e arriva a Londra proprio in tempo per entrare negli studi Jackson di Vic Maile che la band ha prenotato per le sessions di registrazione di quello che dovrebbe essere, e la mancanza di titolo lo indica chiaramente, un nuovo inizio per la band inglese. La voce ruspante di Dave Tice calza a pennello per il suono morbosamente vintage dei Bishops, una portentosa miscela basica di rock ‘n’ roll, beat e blues in grado di gareggiare con la Magic Band di Safe as Milk, i Troggs e i Kinks dei primi tre album in pressapochismo elevato a scelta di vita, con cover come Don’t Start Crying Now, I Need You e Down in the Bottom a marcare il territorio, facendo arretrare gli altri cani randagi della città.



Che band portentosa i Count Bishops!

Praticamente, i Rolling Stones della stagione punk, pur senza vestire i vestiti al glitter dei primi ne’ quelli straccioni degli altri. Rimasti in quattro dopo la defezione del cantante Mike Spenser non si danno per vinti e, facendosi carico del ruolo lasciato vacante, registrano un fottutissimo album che viene stampato solo in Olanda.

I punk londinesi, se lo vogliono, lo dovranno comprare d’importazione. Tutti gli altri, pure. Anche perché quando Good Gear verrà finalmente ristampato, a curare la riedizione (peraltro scadente, visto che Jacques Leblanc non potendo reperire i master si vedrà costretto a utilizzare come matrice la propria copia in vinile, NdLYS) sarà ancora una volta un’etichetta continentale: la francese Lolita. Piano di evacuazione riuscito.

Cosa c’è dentro? Dentro c’è un repertorio per metà sovrapponibile a quello degli Stones (Confessin’ the Blues, Little by Little, Walkin’ the Dog, Dust My Blues, Carol), suonato con l’asciutto vigore che è tipico del pub-rock, il rock ‘n’ roll sbruffone e volgare che serve per scaldare gli animi già su di giri nei locali dove birra e superalcolici sono le vere star della serata. Rock ‘n’ roll alcolico senza fronzoli come piace a Lemmy che infatti quell’anno li vuole come band di supporto nel tour inglese dei Motörhead, cattivi fra i cattivi, outsiders tra gli outsiders.
Clutch - Freakonomics

Una clutchata al giorno…
The Count Bishops - Train, Train

Che band, prima parte - thank Rev

THE COUNT BISHOPS – Schiuma punk nei pub di Londra

Volete dunque sapere qual era la band più cazzuta del breve e effimero fenomeno pub-rock, sul calare degli anni ’70?

Be’ ragazzi, veniva da Londra e si chiamava Count Bishops. Il loro era un suono torrido, impastato nel soul, nel blues e nel beat duro di Kinks e Who, un po’ l’equivalente inglese di bands come Real Kids o Hysptrz, ma su loro in anticipo.

Speedball è il famoso SW1.

Ovvero il Penny Black della musica indipendente britannica.

La nascita dei Count Bishops e della Chiswick è contestuale ed è databile nell’estate del 1975 quando, dalle ceneri dei Chrome londinesi e dopo aver reclutato un paio di nuovi musicisti attraverso un annuncio sul Melody Maker, Mike Spenser e Zenon Hierowski danno fuoco alle polveri pub-rock della vecchia band dentro i serbatoi dei Count Bishops. A portarli in studio per registrare una dozzina di cover è Roger Armstrong, che decide di pubblicare i pezzi che possono starci dentro un sette pollici tenendo da parte gli altri e mette in piedi a tal proposito un’etichetta da cui da lì ad un paio d’anni si troveranno a transitare band come Damned e Motörhead. Speedball esce il 28 novembre di quell’anno, “distribuito” e venduto nel cofano della Peugeot del socio di Armstrong, fino ad esaurimento delle mille copie. Dentro ci sono quattro cover rock ‘n’ roll asciutte come non si sentiva dai tempi dei Downliners Sect di cui i Bishops si legittimano da subito come gli eredi perfetti.

Gli “scarti” di quelle sedute verranno poi finalmente pubblicati nella versione “estesa” di quel fantastico singolo e a due documenti dell’unica registrazione in studio dei Chrome fra cui una cover di quella I Want Candy che qualche anno dopo, con Mike Spenser ormai sceso dall’auto per dare vita ai Cannibals, porterà al gruppo inglese una discreta visibilità in madre patria. Il resto del mondo continuerà invece ad ignorare una delle meraviglie del pre-punk inglese, una di quelle che con arroganza e spregiudicatezza teppista si permetterà di sfrondare i rami dell’intricata foresta prog per riportare l’orto botanico inglese all’incontaminata essenzialità dei primi anni Sessanta.
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