"Il tempo della semina" che apre il disco al quale da il titolo e "La canzone del padre" che lo chiude, sono i due grandi brani che ci lascia il Biglietto per l'Inferno in questo suo secondo disco "che non fu", registrato nel 1975 (produsse Finardi), poi abortito e ripescato e pubblicato solo all'inizio degli anni '90. Questi due pezzi, i più lunghi, rappresentano i due diversi modi di interpretare la "materia prog-rock" della band di Banfi, Canali & co (una quasi interamente strumentale, con un breve recitato enfatico e grottesco di Canali, che diventa una flautata danza pagana, l'altra veste il loro abito concreto, con testi di esplicita e sincera crudezza, dominata dal cantato-recitato di Canali, con la band che esplode in ritmi colmi di groove funky-rock acido, con un grande Banfi ai synth). Sono i due ottimi brani che valgono il confronto con il disco precedente, anche se non raggiungono i suoi risultati migliori ("Confessione" e "Amico suicida"). Peccato che il blocco centrale del disco invece sia nettamente meno riuscito; composto per lo più da canzoni di 3 minuti, pecca nei testi (dove la critica sociale diventa facilona e troppo ingenua) e non solo: "Solo ma Vivo" (6 minuti di ballad) non mi piace proprio, "Mente-sola-mente" è un curioso scherzo, un divertissement che però c'entra davvero troppo un cazzo con tutto il resto. Più riuscita "Vivi, lotta, pensa", un buon pezzo, ma nel complesso nel corpo centrale del disco riesco a salvare poco.