Sfrenata gioventù. In genere i fanciulli che si cimentano nella musica iniziano con strade ben tracciate e rodate. Metal, beat-rock e new wave prima di tutto, senza soluzione di continuità. Invece questi cinque ragazzi di Providence con questo lavoro omonimo hanno scelto tutt’altra strada: quella della gioia più sfrenata.

E’ chiaro che a qualche scena si rifanno e, se proprio bisogna etichettarli, la loro musica appartiene a un rock matematico con sfumature corali. Un incrocio tra le polisupercromie dei Battles e le incursioni più tamarre del metal. Ma è riduttivo. In tutte queste definizioni non è contenuta l’allegria e la gioia. Si perché la prima impressione che si ha nel sentire questo lavoro, a iniziare da "Careful Crossers" – a mio avviso uno dei brani più riusciti – è che questi giovanotti si divertano molto.

Quest’album di debutto ha il sapore dell’energia che sprizza da tutti i pori. Sembra quasi di vederli ridere, ridere a più non posso, come può fare un bambino nel gioco che lo diverte di più. Distorsioni spensierate che si rincorrono, armonie solari che si incrociano con cori che raramente formano parole.

In musica, nel formulare giudizi, uso e abuso spesso del metro dell'“ammicco”. Ammiccare è una parola che riassume tutto un atteggiamento ritmico, una maschera che spesso gli artisti indossano per celare la propria insicurezza compositiva. Si appoggiano (strizzando l’occhio appunto) ad un genere ben rodato, ad un classico, con il risultato di produrre qualcosa di piatto, stizzando a più non posso l'ascoltatore che nella maggior parte dei casi ha l'impressione di avere di fronte un presuntuoso. La new wave degli anni '00 ne è il paradigma per antonomasia. I Fang Island non ammiccano, al massimo scintillano (micare: scintillare). Giocano. E non giocano con i suoni, le atmosfere, i sound, i generi. Giocano e basta. Imbracciano la chitarra, partono con i riff e inseguono la batteria con i suoi folli movimenti cromatici. E quello che viene viene. La nota negativa potrebbe essere proprio questa: quella di una fantasia poco ordinata e a tratti ripetitiva. Ma non lo dico. Sarebbe come chiedere maturità a un bambino. Perché non ha senso intavolare discorsi sull'acerbità di un lavoro giovane e inesperto, e nel caso dei Fang Island di inesperienza ce n'è davvero poca.

"Fang Island" non è un album da ascoltare dopo una giornata di lavoro (a meno che non è stata piena di soddisfazioni...), né se si ha voglia di avere una semplice iniezione di adrenalina: per quanto sia istintivo e fanciullino è nello stesso tempo un lavoro cervellotico e pensato. “Dionisiaco!” direbbe Nietzsche.

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