Cruccio eterno di ogni vero appassionato di musica è quello di non aver vissuto in presa diretta i favolosi anni sessanta. Il sentore, l'opinione e la sensazione più diffusa si può riassumere nel fatto che il tempo in cui stiamo vivendo, o il passato più o meno recente, ci riservi, o ci abbia riservato, soltanto delle sbiadite copie degli originali toccati in sorte ai privilegiati di quel periodo. Eccetto rare eccezioni, per indole personale non sono di natura un nostalgico - per intendersi quelli che dicono ‘Ah! Che tempi !'- e ritengo che ogni epoca abbia il suo lato solare così come quello oscuro, dacché detto in soldoni posso semplicemente teorizzare che ogni decade ha i suoi capolavori così come ha le sue nefandezze.

I Fleet Foxes sono un quintetto proveniente da Seattle e nel giugno appena trascorso, di poco preceduto da un promettente ep, licenziano il loro primo disco sulla lunga distanza dal titolo omonimo.

Dopo anni di musica e di ascolti dei più disparati è veramente difficile che i miei padiglioni auricolari provino così tanto entusiasmo per un disco contemporaneo. Non che i dischi attuali siano tutti da buttare, altrimenti rinnegherei quanto scritto sopra, però è fuor di dubbio che sempre più raramente mi capita di sobbalzare dalla sedia in preda ad emozioni paragonabili ad un bambino di fronte a Babbo Natale.

Madonna che disco! Un fluttuare etereo in preda ad un soffio di vento primaverile. Una fresca rugiada mattutina che ricopre un verde prato fiorito nell'attesa di un tiepido sole cristallino che ne faccia risplendere l'iridescenza.

Inevitabili e numerosi sono i richiami che questi undici episodi mandano alla memoria. Si va dalla leggerezza dei Fairport Convention, agli intrecci vocali di Simon & Garfunkel, da certa psichedelìa pop di Crosby Stills Nash & Young alla gioiosità divertita degli Housemartins, dal folk rurale della Incredibile String Band alla solarità tipica dei Beach Boys. Il tutto cosparso da una velatura di progressive per l'andamento spesso asimettrico delle tracce. Musica costruita prevalentemente sui più svariati strumenti a corda, resa dolce e idilliaca da canti in stile simil-pastorale che ricordano certe comunità agresti degli anni sessanta. Ogni tanto il ritmo viene scandito da una grancassa o da leggere percussioni, in verità mai invadenti, che intervengono a spezzare o ad accompagnare l'aurea trasognata che si respira in tutto il disco.

Musica per orecchie gentili e palati sopraffini abituati a lasciarsi cullare e accarezzare da tanta dolcezza e melodiosità. Non è però un filare zucchero fine a se stesso. Tutto è garbato, misurato e pieno di fervida creatività. Qui non troverete chitarre elettriche, organi, decibel in eccesso o diavolerie elettroniche, ma un semplice, e complicato al tempo stesso, pop-folk artigiano innervato di un leggero candore barocco.

Non capita spesso, ma per una volta possiamo dire ai nostri padri (nonni?) che gli anni sessanta - sì d'accordo resteranno irripetibili - possono anche rivivere in dischi magici e fatati come questo dei Fleet Foxes.

Un po' per cronaca un po' per curiosità mi preme segnalare che questo cd non è distribuito in Italia (solita lungimiranza nostrana sic!), mentre in America e ancor più nel Regno Unito ha fatto registrare un buon successo, avallato da ottimi riscontri commerciali.

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