"Siete pronti a volare attraverso nuvole quantistiche?
Solcare mari di equazioni psichedeliche in tempesta?
Giocare con grappoli di bit?"
Flyng Saucer Attack, ovvero come reinventare lo shoegaze e la psichedelia. I Flying Saucer è un progetto di David Pearce (tra i membri anche Matt Elliott, Kate Wright, Richard King & Sam Jones e nelle prime registrazioni Rachel Brook) proveniente da Bristol, quella stessa Bristol della cultura trip-hop delle atmosfere dilatate dal downbeat che qui invece sono dilaniate, strappate con ferocia inaudita da un muro distorto di chitarre. Dagli sperimentalismi di matrice kraut-rock nei primi singoli i Flyng approdano al primo disco nel 1993 nell'album omonimo noto anche come "Rural Psychedelia" (FSA Records), vinile divenuto ben presto oggetto di culto tra gli appassionati del genere, l'album sarà poi rilasciato e distribuito anche negli Stati Uniti dalla VHF Records.
50 minuti, 50 fottutissimi minuti di pura follia psichedelica immersa in un oceano di feedback strappa orecchie, una follia vellutata accarezzata dai bisbigli della voce di David Pearce, registrazioni casalinghe riportate su disco che trasudano acido, My Blood Valentine e The Jesus and Mary Chain. Jam psichedeliche squarciate dagli urli metallici delle chitarre in un vortice alcolico di disperazione e perdizione nel nulla più assoluto, un disco deviato, deviante che accompagna in un viaggio irripetibile.
"My Dreaming Hill" vuoti, ogni pensiero è inutile, ritarda l'azione, un'azione lenta inesorabile che si fa strada in quel muro intricato di feedback mentre parole come sussulti lontani ti lanciano addosso il nulla, "A Silent Tide" ora nel nulla si cerca un appiglio a cui aggrapparsi ma quella voce lontana ricoperta dalle distorsioni ci ricaccia giù dove eravamo finiti stravolti senza forze, "Moonset" lo sguardo attonito immersi in un ritmo di percussioni ancestrale mentre lontana la nostra anima urla e si dimena. In "Make me dream" e in "Wish" la lotta si fa più serrata e in quel inferno di feedback non si intravede riposo ma solo pazzia, solo dolore, poi "Popol Vuh 2" dove le atmosfere si placano si fanno soffuse, confuse ma delicate quasi che qualcuno tendesse una mano amica verso di te per salvarti da quel baratro, ma è solo una dolce illusione perché quella mano non esiste non c'è, siamo nel nulla della nostra mente, le distorsioni continuano a fare male e "The Drowners" (tra l'altro cover schizzatissima dei Suede) e la breve "Still" allungano sadicamente la nostra agonia. Sfiniti, distrutti forse morti ci svegliamo nella calma di "Popul Vuh 1", echi e riverberi di un suono caldo e rassicurante sui quali si riaffaccia quel ritmo ancestrale che ora ci abbraccia e ci porta con se verso la luce, verso la fine del baratro verso l'arpeggio di "The Seasons is Ours" dove finalmente riapriamo gli occhi.
Un disco marcio, umorale, unico nel suo essere sperimentale e nel suo trarre da movimenti più affermati come lo shoegaze nuova linfa vitale per creare atmosfere lisergiche avvolgenti e affascinanti. Un post rock alienante distante anni luce dagli schemi imposti dalle band successive ma capace di rapire l'ascoltatore come poche altre cose in questo lercio mondo, se amate perdervi nei meandri del vostro cervello, sempre ammesso che ne abbiate uno, bene allora questo è il DISCO che dovete ascoltare.
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