Anno Domini 1977. E’ in atto una rivoluzione nel mondo della musica. Il cosidetto rock “intellettuale” è in secca creativa e fagocitato dai propri eccessi. Nell’aria la necessità di un cambiamento di rotta, che sfocia nei primi vagiti della New Wave e soprattutto nell’esplosione del fenomeno punk. Ma anche l’hard rock sta cambiando pelle e, in antitesi a quest’ultimo, è orientato verso la melodia e la cura del suono.

I Foreigner seguono la via indicata da gruppi come i Boston e i Journey, insieme ai quali gettano le basi del futuro AOR. La mente del gruppo è l’ex Spooky Tooth Mick Jones, discreto chitarrista e pregevole compositore, affiancato dal polistrumentista Ian Mc Donald, cresciuto alla corte del Re Cremisi. Alla voce il talentuoso Lou Grammatico (non è il fratello letterato di Archimede Pitagorico), singer dalla meravigliosa pasta vocale, decisamente a suo agio nei registri più alti. La musica proposta dal gruppo è un hard rock raffinato e dalle accattivanti aperture melodiche, che presenta ancora alcune scorie delle sonorità seventies. Siamo lontani dall’eleganza formale e dagli arrangiamenti smaltati dei lavori che verranno, ma l’omonimo disco di debutto è un concentrato di classe e di senso armonico.

Canzoni dalle strutture semplici, ma versatili, e dal ricercato impatto radiofonico. Le chitarre ad alternare riff cesellati ed ispirati fraseggi, senza strafare. Gli altrettanto misurati interventi delle tastiere a creare una perfetta amalgama, sempre alla ricerca della giusta atmosfera. Il rischio di questo genere è sempre stato quello di incespicare nella ripetitività, o ancora peggio nella banalità, ma non è assolutamente il caso di questo disco. La formula risulta vincente ed il gruppo ottiene da subito ampi riscontri sia commerciali che di critica. Il ritmo incalzante del singolo “Feels Like the First Time” è un eccellente biglietto da visita, che viene confermato dalle ariose melodie del successivo “Cold As Ice”. Ma tutte le dieci tracce del disco hanno una propria identità, a partire dagli echi progressivi della ballad “Starrider”, impreziosita dai pregevoli chorus. I Foreigner riescono a spaziare con incredibile maestria dai brani più heavy come “Long, Long Way from Home” (splendido qui l’assolo di sax di Mc Donald) al pop-rock di “Woman Oh Woman” e “The Damage is Done”.

Nonostante con le successive uscite la band riesca anche a migliorare gli ottimi risultati ottenuti con questo esordio, personalmente continuo a ritenerlo il loro lavoro più riuscito. Certo i Foreigner riusciranno successivamente a creare un suono più rifinito e distintivo, condito da arrangiamenti anche più professionali, ma senza raggiungere la medesima freschezza compositiva e varietà. Chiudo con una citazione che rimanda al nome del gruppo e alla sensazione di libertà che mi lascia l’ascolto di questo disco.

Amo le nuvole... le nuvole che passano... laggiù... meravigliose” da “Lo Straniero” di Charles Baudelaire

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