Dio salvi la Rough Trade, non la regina.

Perché, mettiamolo nero su bianco, con le chitarre tutto e più è stato fatto negli ultimi 50 anni.

Lo sviluppo e la sperimentazione hanno abituato alla ricerca costante del "nuovo"; ma per i vecchia scuola come me esiste ancora una speranza di ascoltare crudo rock n roll come mamma l'ha fatto.

Ecco dalla zona sud di Londra apparire le Goat Girl (nome tratto da Goat Boy, personaggio ricorrente in alcuni sketch del leggendario Bill Hicks).

Le ragazze si sono fatte le ossa al Windmill prima di firmare il loro contratto nel giorno della Brexit (glielo ricordano tutti costantemente).

Dopo i primi singoli, ben accolti (soprattutto Scream) è l'ora dell'album.

Corposo, omogeneo e trascinante.

Mi viene in mente Pete Doherty nel periodo dei primi Babyshambles, quelli di Down In Albion. Ma anche Walk Like An Egyptian stranamente.
Bizzarra accoppiata, lo capisco.

Uno stile scarno che riesce a camuffarsi in etereo, paradossalmente.

Qualche effetto elettronico leggero qua e la, come nella breve inquietante intro del disco è stato aggiunto cautamente nel lotto, e considerata la già citata omogeneità delle canzoni, trovo pressoché superfluo soffermarmi sulle impressioni della tracklist.

Consiglio di ascoltare la fortunata The Man e la ritmata e dinamica Country Sleaze per farsi un'idea di queste giovani Goat Girl.

Lunga vita alle produzioni che lasciano agli strumenti ordinari ancora il loro sporco compito.

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