Eh già... Ormai i tempi delle morali, delle belle speranze, dell'intelletto e della volontà che, insieme, potevano sottomettere la brutalità della forza e dell'arroganza, stavano giungendo al termine. Non era più come quando, tra l'XI e il X secolo a.C., a Socoh in Giudea, durante il leggendario scontro fra Israeliti e Filistei, Davide uccise il mastodontico Golia armato soltanto di pietre e fionda, no... Grazie alla disillusione regnante nella società sempre più cinica ed opprimente, il nuovo immaginario Golia si muoveva fumando avidamente e pestando a sangue il gracile Davide, infischiandosene di alti valori, senso di giustizia e altre inutili sciocchezze retoriche. Colpiti dalla scia di titaniche sigarette che la moderna incarnazione del gigante era solito lasciarsi dietro durante le sue scorribande, cinque ragazzi inglesi decisero di battezzare la propria band come il monumentale personaggio e di registrare nel 1970, sotto la CBS, un disco che portava ancora una volta il suo nome.

Goliath è un album basato su delle fondamenta blues, dalle quali si innalzano colonne portanti di rock, prog e psych, amalgamate in una sapiente miscela, piuttosto leggera e digeribile, nonostante la complessità insita nei singoli ingredienti. La voce di Linda Rothwell è l'elemento principale dello stile proposto dal gruppo e vi orbitano attorno il flauto e il sax di Joseph Rosbotham, la chitarra di Malcolm Grundy, il basso di John Williamson e la batteria di Eric Eastman. Proprio quest'ultimo dà sfoggio di tutte le sue capacità sin dall'iniziale "Port and Lemon Lady", grazie a numerosi e velocissimi scatti in coppia con l'ispiratissimo flauto di Joseph, anch'egli determinante sia nella risoluzione di complessi ed energici passaggi strumentali ("Maajun" - "A Taste of Tangier"), sia nell'accompagnamento della voce, durante pezzi dalle sonorità considerevolmente più leggere ("No More Trash").

L'aspetto fiatistico delle composizioni non si ferma comunque qui, poiché il nostro Joseph pare conoscere il fatto suo anche con il sax e lo dimostra ampiamente prima duettando con la voce di Linda nella lunga e visionaria "Hunter's Song", poi con la chitarra di Malcolm nella breve e maggiormente accessibile "Men" ed infine con il basso di John nei continui e disparati mutamenti d'andatura di "Prism". Gli strumenti a corde trovano la loro dimensione ideale nei brani più concisi e mentre la chitarra intarsia un trascinante assolo nel cuore di "Festival of Light" per poi rilassarsi tra i toni pacati di "Emerge, Breath, Sunshine, Dandelion", il basso si appresta ad incidere il ritmo evocativo e nostalgico di "I Heard About a Friend", in cui torna il flauto dell'inossidabile Joseph, sotto i riflettori praticamente per tutto lo svolgimento dell'opera.

A dispetto dell'austerità e della riverente apprensione generate dal nome, i Goliath si eclissarono dopo la realizzazione di quello che non verrà rammentato come un manuale sulla complessità intrinseca di intelligibili passaggi o sulla sommaria interpretazione di assurdi azzardi tecnici, ma come un lavoro godibile, originale e piuttosto interessante, degno, se non di essere ricordato come una punta di diamante del panorama musicale mondiale, perlomeno di essere semplicemente ricordato.

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