Il termine “hair metal” è un dispregiativo coniato da qualche giornalista burlone per descrivere tutte quelle bands metal che, in un periodo storico collocabile con gli eighties, portavano chiome (appunto hair) voluminose e cotonate. Siccome era la moda imperante dell’epoca, in tale categoria finirono per rientrare la stragrande maggioranza degli artisti metal, anche magari con sonorità non proprio accostabili al genere. Difatti, a voler essere puntigliosi, per hair metal si dovrebbe intendere una sottospecie tendente ad un hard rock molto melodico, ai confini con il rock adulto statunitense, facilmente passabile in radio e sui networks televisivi, caratterizzato da cifre di vendita con sei zeri e, naturalmente, da tanti e tanti capelli.
Bon Jovi, Cinderella, Whitesnake, Ratt, Dokken, Quiet Riot, Great White, Winger, Warrant e, sul versante europeo, TNT e Europe impazzavano con i loro video su MTV, riempivano gli stadi e, tenendo sempre presente l’epoca, avevano un effetto mediatico che oggi compete, chessò, a Cristina Aguilera o Anastacia. Di tale fenomeno gli House of Lords rappresenteranno l’aspetto più raffinato.
La band non era composta da perfetti sconosciuti, in quanto come leader aveva quel Gregg Giuffria che con il suo progetto omonimo aveva regalato due perle dell’ hard melodico statunitense, l’album omonimo e "Seek And Steel". Giuffria era una sorta di anomalia in ambito metal, sia perché tastierista, ma soprattutto perché poco seguace degli insegnamenti dei grandi virtuosi come John Lord, Rick Wakeman o Keith Emerson: a lui non interessava suonare centinaia di note ma solo di creare dei tappeti tastieristici che conferivano al sound un suono pieno e corposo o “pomp”, come si suol dire. Assoldato dalla casa discografia di Gene Simmons, per la nuova avventura si avvarrà della collaborazione del chitarrista Lanny Cordola, dal suono ottantiano che più non si può, di una sezione ritmica composta da due ottimi e noti turnisti, il bassista Chuck Writh e alla drums Ken Mary. A completare la band uno sconosciuto James Christian, una sorta di clone vocale del grande “Serpente Bianco” David Coverdale.
L’omonimo House of Lords vedrà la luce nel 1988 e, pur proseguendo il discorso musicale iniziato dai Giuffria, vedrà delle notevoli novità stilistiche. Soprattutto il leader, Gregg, opterà per un sound meno “tastieroso”, lasciando più spazio alla sapiente chitarra di Cordola. L’opener "Pleasure Dome", tuttavia ricalca ancora lo stile pomposo dei Giuffria. "Love Don’t Lie" (a questo indirizzo per il video http://www.youtube.com/watch?v=060_072NPMg) è un classico anthem AOR, tra le migliori espressioni del genere, scritta dall’autore statunitense Stan Bush. Ancora le tastiere di Gregg ci introducono all’arena rock di "Under Blue Skies", mentre "Lookin’ For Strange" ci dimostra anche le notevoli doti tecniche della band, in primis di Lanny Cordola. La band si avvale spesso di songs scritte da altri, come nel caso dell’hard rock di "I Wanna Be Loved" (di Mandy Meyer). Impossibile restare fermi alla travolgente "Hearts Of The World", da far crollare gli stadi durante i concerti. Ma è l’intero disco, un classico del genere, a non scendere mai al di sotto dell’ottimo, regalando momenti di rock melodico unici.
La band riuscirà anche con i successivi lavori ad entusiasmare il pubblico, per poi finire inghiottita, come la stragrande maggioranza dei colleghi, dal grunge e dai suoi derivati. Recentemente, con una formazione completamente rivoluzionata, sono tornati, decisamente in forma, ma non spettacolari come qualche anno fa.
Molte di queste band, per l’aspetto, potevano risultare ridicole, ma quel suono trascinante, potente e zuccheroso allo stesso tempo, ha fatto scuola. Quella era l’epoca in cui l’hard rock conquistava le classifiche di vendita mondiali e mi resta il rammarico di essere stato troppo piccolo per poter apprezzarne e vivere quel fermento musicale. Sarò un nostalgico, ma nonostante abbia poi ascoltato altri generi, ma quelle sonorità avranno sempre un posto particolare nel mio cuore.
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