Parlare del debutto degli Iced Earth equivale a parlare della transizione tra gli anni ottanta ed i successivi anni novanta, di un gruppo che voleva suonare heavy metal e si è trovato a nascere nel bel mezzo del botto del thrash ed in seguito a registrare ai Morrisound Recording Studios di Tampa, in Florida, chi è appassionato di metal sa cosa vuol dire, non perderò tempo a spiegarlo.

Partendo dal principio, il noto padre-padrone del gruppo, Jon Schaffer, fondò i Purgatory nel ruolo di chitarrista ritmico e sviluppò i suoi caratteristici riff ad effetto grattugia-trivella per cui è famoso, ispirandosi, a quanto narrano le leggende, alle linee di basso di Mr. Steve Harris. Quindi l’intenzione dei Purgatory si presume fosse quella di suonare heavy metal, come si faceva al principio, peccato che la venuta del thrash sia stata talmente esplosiva che certe influenze le assorbi per osmosi senza volerlo, o per via aerea come un qualunque cittadino che si aggira senza mascherina protettiva. In più se i tuoi conterranei si chiamano Death o Morbid Angel non so come finisca la faccenda del cercar di suonare come un gruppo US power tra i tanti.

Fu così che i Purgatory si fecero strada tra una demo e l’altra, cambiarono nome in Iced Earth, pubblicarono un’ultima demo e poi debuttarono sulla lunga distanza. Alla voce c’era un tale di nome Gene Adam, sconosciuto ai più, rinnegato dai restanti, d’altronde vuoi mettere Matthew Barlow? Matthew Barlow qui, la voce di Matthew Barlow lì, l’epicità di Matthew Barlow là. E’ innegabile che la band abbia fatto successo col bravissimo cantante rosso crinito, con il suo senso di teatralità nei ritornelli trascinanti, ma sta proprio qui il punto: tutto ciò è molto anni novanta.

Il povero Gene Adam invece urlava e gracchiava a volontà, con quella voce acidella e abrasiva, che ogni tanto fa venire in mente Tim Baker e l’apocalittica oscurità dei Cirith Ungol, un cantante appartenente ad un’epoca morente, dove si privilegiava l’atmosfera oscura e diretta rispetto ai solenni cori gregoriani che appesteranno il power anni novanta come nemmeno farebbe il corona virus. E le canzoni stanno lì, sospese a metà tra stile rivoluzionario di power metal thrasheggiante ed heavy metal da mutandoni di pelle collezione by Joey DeMaio, con la produzione che privilegia il lato più grezzo, criticata in molte recensioni, ma dico io, non lamentatevi, dove lo trovate un album heavy/thrash nato nella culla del death metal? Il risultato, visto a trent’anni di distanza, è quasi sorprendente, un ponte tra due concezioni di heavy metal che all’epoca stava mutando pelle in maniera irreversibile. E non ci si lagni, come si fa spesso con le opere prime, di quanto le stesse risultino acerbe, perché i pezzi ed i riffoni di Schaffer sono già lì: l’omonima Iced Earth, Written on the Walls e la stupenda When the Night Falls posta in chiusura, una canzone che nulla ha da invidiare alla più conosciuta Dante’s Inferno, parlano di un album di alta qualità.

Che fine fece Adam in seguito? Venne licenziato da Schaffer per essersi rifiutato di prendere lezioni di canto, il chitarrista infatti ci vide lungo e capì che gli anni novanta non sarebbero stati teneri con i cantanti stile cornacchia furibonda e che cori e coretti l’avrebbero fatta da padrone. Chissà se intuì la cosa durante il tour con i Blind Guardian, in ogni caso la storia gli diede ragione. Però quel fascino ruvido ed oscuro andò a morire lentamente.

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