La vergine di ferro era una famosa e temuta macchina da tortura che consisteva in una bara completamente piena di lame che attraversavano il corpo in più punti vitali, senza causarne la morte, ma un'agonia terribile. "Se un gruppo rock del XX secolo ha deciso di chiamarsi Iron Maiden (Vergine di ferro, appunto), ha deciso di non passare inosservato", dice Maurizio De Paola nel suo libor sugli Iron Maiden. E questo è sacrosantaemente vero.

Il mondo della musica è ancora scosso dal tifone punk, un uragano senza precedenti che ha sconvolto il rock, crollando però quasi subito. Ma non resterà senza eredi. Infatti questo gruppo di ragazzi poveri della East London che la storia incoronerà come una delle migliori rock band di tutti i tempi ne ha subito le influenze; ma da cosa deriva la carica punk? Il punk è il frutto di una rabbia incontrollabile, ma proprio per questo distruttiva, soprattutto per sè stessi. Gli Iron Maiden furono il pirmo gruppo rock a tradurre quella rabbia in musica senza disfarsi cadendo per strada e raggiungendo traguardi inimmaginabili. La loro rabbia deriva dalla loro condizione sociale, dal fatto che se non fosse per la musica diventerebbero hooligans, dalle nuove riforme di Margareth Thatcher che penalizzano lo strato sociale in cui vivono, ma la genialità fu nella capacità di generare un nuovo (sotto)genere musica, la New Wave Of British Heavy Metal, un metal dalle spiccate influenze punk, ma che nel loro caso si trasformò in un metal trasgressivo, travolgente, ma non privo di inflessioni letterarie e indiscusse capacità artistiche.

La band è composta da Paul Di'Anno (voce), Steve Harris (bassista e mente del gruppo), dai chitarristi Dannis Stratton e Dave Murray (padre invalido e madre che lavora come donne delle pulizie ad ore, tanto per far capire le sue condizioni) e dal batterista Clive Burr, talento sprecato, furibondo e incontrollabile, che lasciò il mondo della musica troppo presto per le sue potenzialità. Sulla copertina campeggia un'immagine di un mostro: è Eddie, il simbolo della band, diventato oggigiorno un segno di riconoscimento tra i metallari, data la sua presenza su tutte le loro copertine (anche dei bootlegs). Eddie ha un'espressione stupita, un po' come lo stato d'animo della band, ancora giovani e alle prime armi. Un'immagine grandiosa di Eddie è quella del singolo "Sanctuary" della versione che verrà poi cambiata: infatti c'è a terra sgozzata nientepopodimeno che la loro acerrima nemica Margareth Thatcher, e Eddie è pronto alla fuga, con il coltello sanguinante in mano. E ora, le canzoni.
Si parte con "Prowler" (traduzione: maniaco), che con un riff immediato e tagliente scrive i primi quattro minuti della più grande heavy metal band di sempre. Il testo non lascia fraintendimenti: il maniaco è un personaggio molto frequente nella periferia di Londra, non ha pietà e popola le strade soprattutto di notte. La musica in sè è perfetta; dopo il primo ritornello si ferma per quasi un secondo per poi ripartire con un giro di chitarra formidabile ed un assolo strepitoso per poi confluire nel ritornello conclusivo. "Sanctuary" è la canzone che risente di più delle influenze punk. In origine non era in scaletta, venne integrato nell'album solo nelle ristampe successive, quando ormai era un super-classico. La versione in studio è quella più grezza e veloce, ma non è forse all'altezza delle versioni live, dal vivo riesce sempre molto più selvaggia e feroce; il testo parla di omicidio e fuga dalla polizia alla ricerca di un rifugio (sanctuary, appunto). "Remember Tomorrow" è una semiballad intensa e dolente, che ha delle improvvise schitarrate sulla melodia iniziale dolce e soffusa. La voce di Di'Anno è perfetta, il suo urlo viene dal più profondo del cuore, un urlo di rabbia, rancore e sofferenza verso il mondo intero.

"Running Free" è un divino inno alla libertà, anche qui con temi "di strada", ribellione. Perfetti gli assoli a due chitarre, nei live diventa spesso canzone di chiusura, con il pubblico che canta all'infinito l'urlo liberatorio e ribelle "I'm running free yeah, I'm running free!". "Phantom Of The Opera" è una digressone prog, composta da Harris, che qui fa intravedere il tipo di composizione che caratterizzerà i dischi degli Irons negli ultimi dieci anni. Canzone popolarissima, rimase in scalette fino al "Somewhere on Tour" (1986-1987) ed è considerata uno dei massimi punti artistici raggiunti dalla band. "Transylvania" è uno degli strumentali più belli della storia del rock, semplicemente strepitoso nelle sue geometrie, nelle sue accellarazioni, con un assolo fantastico e la capacità di poter figurare bene sia come intro nei concerti sia come conclusione. "Strange World" è l'episodio più curioso del disco, con un'atmosfera vagamente pinkfloydiana, dove Di'Anno ci parla da un mondo di eroina e di confusione (strange world, appunto). "Charlotte The Harlot", a volte ingiustamente ritenuta un semi-riempitivo, è invece una splendida traccia punkeggiante che narra di una donna di strada (Carlotta la mignotta), con un coro formidabile. Fu soprattutto la canzone di Dave Murray, come spesso ammise Harris, ed è una delle pochissime canzoni d'amore del gruppo.

La conclusiva "Iron Maiden" raccoglie tutto l'album in tre minuti e rotti di violenza, rabbia e un po' di amarezza. Il riff, storico, di questo capolavoro pare che lo si debba ad un semisconosciuto membro della band, tale Dave Sullivan, dei tempi del locale in cui suonavano prima di firmare per la EMI.
Il tour che i ragazzi fecero con i Kiss fu semplicemente strepitoso: infatti i molto più blasonati rocker mascherati furono spesso fischiati per le nuovi canzoni proposte (dall'album "Unmasked") molto più pop e meno accattivanti della furia travolgente di Di'Anno e compagni.

Il disco è senza dubbio un capolavoro, uno di quelli da avere comunque, di quelli che può cambiarti la vita. Nel mio caso, c'è riuscito in pieno. Lunga vita ai maestri. UP THE IRONS!!!

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