Dopo una bella botta di recensioni Metal, è giunta l’ora di mettermi a recensire qualcosa di più impegnativo e serio…E lo faccio scegliendo il mio disco Jazz Fusion preferito, l'omonimo debutto del più gran bassista che abbia mai camminato su questo mondo.
Incredibile, magnifico, sensazionale, dolce, cullante, ipnotico, ipnotico, ipnotico…Perdermi tra le sublimi note di quest’alieno (il termine “bassista” sarebbe quantomai riduttivo) è stata, è ancora e sarà per sempre una delle emozioni più forti che abbia mai provato e, credetemi, nemmeno un disco Metal riesce a farmi venire la pelle d’oca come riesce a fare questo maestro delle quattro corde freetless.


Il disco, oltre ad essere assolutamente un acquisto obbligato per qualsiasi persona che abbia mai preso in mano o visto un basso (e non solo) è il fulminante debutto, avvenuto nel 1976, non di un bassista qualsiasi, ma di Jaco Pastorius, forse l’ultimo, vero, grande, geniale ed innovativo musicista del secolo, quel Jaco che, attraverso al sua personalissima interpretazione del termine musicale “Jazz”, è riuscito ad influenzare tutti, e dico tutti, i bassisti di tutti i generi in cui la musica è intesa come forma d’Arte, da Les Claypool a Steve Digiorgio, da Michael Manring ad Alex Webster.
La sua grande innovazione consisteva nel porre il basso, che fino a quel momento era considerato la classica “chitarra aggiunta” che doveva ricalcare perfettamente le linee delle sei corde, in assoluto rilievo, dando così un risalto inaudito alla completezza e alla corposità dei suoni spesso arricchiti, che arrivavano così ad avere uno spessore da lasciare chiunque a bocca aperta.


Qui dentro si può trovare di tutto, dalla jamming dell’opener “Donna Lee”, che sorprende per le mostruose capacità tecnico-improvvisative del geniaccio, al funky-jazz di “Come On, Come Over”, il classico in cui i Double Dinamite Sam Moore e Dave Pratter si riunirono alle parti vocali dopo il precedente scioglimento offrendo così una prestazione fantastica, alla tranquillità rilassante di “Continuum”, al Jazz con elementi di Classica di “Kuru/Speak Like A Child”, all’ipnotismo estasiante di “Portrait Of Tracy”, alle caraibiche “Opus Pocus” e “Okonkole Y Trompa”, che ci aprono di fronte agli occhi visioni paradisiache e scenari vivissimi ed estasianti di mari e palme, allo swing velocizzato di “ (Used To Be A) Cha-Cha”, alla classica “Forgotten Love” che chiude in bellezza questo lavoro immortale, infinito, immenso, che sa darmi emozioni come solo pochi altri dischi sanno darmi.
I musicisti che accompagnano Jaco nella sua personalissima ed emozionante escursione musicale sono nomi del calibro di Herbie Hancock e Lenny White, ma è Jaco il protagonista assoluto, lasciandosi andare ad assoli improvvisati che d’umano hanno ben poco.


Niente da dire: qui dentro c’è l’essenza del sound di Jaco, bassista-terremoto che, intorno alla metà degli Anni ’70, rivoluzionò totalmente la scena musicale Jazz e non solo, avvalendosi di collaborazioni con musicisti fantastici, ed andando incontro, dopo abusi tutt’altro che rassicuranti d’alcool e droghe, ad una fine tutt’altro che meritata, che chiudeva il capitolo più importante della musica quando tutto sembrava appena cominciato, cioè troppo presto, lasciando a collaboratori musicali, amici personali, bassisti e musicisti in genere un forte amaro in bocca, un gran rimpianto ma anche un ricordo immortale, che contribuì fortemente a far entrare il grande Jaco, che aveva per fortuna già lanciato il suo messaggio, nell’Olimpo dei musicisti e delle leggende dure a morire, anche se solo nella mente degli uomini, che ancora oggi, dopo tanto tempo, adorano ancora perdersi tra i grooves di quest’Opera d’Arte.

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