Ziggy Stardust è un’invenzione, un personaggio di fantasia, Jobriath è la dimostrazione di quanto la realtà sia molto più prosaica e spietata dell’immaginazione, di come il rock ‘n’ roll e tutto ciò che gli ruota intorno si riveli spesso una trappola infida e beffarda... è una storia di splendore e miseria quella di questo talentuoso e dimenticato artista, che toccò il cielo con un dito per poi esserne brutalmente scaraventato via, senza un suicidio rock ‘n’ roll che lo rendesse immortale ai posteri. Bruce Campbell, l’uomo dietro il trucco e gli stravaganti costumi di Jobriath ha avuto tre grandi sfortune, una consequenziale all’altra: essere nato sulla sponda sbagliata dell’oceano Atlantico, non essere stato abbastanza scaltro e calcolatore da capirlo ed essere incappato nel cinismo dell’ambiente discografico che, visto l’insuccesso (assai scontato e prevedibile) dell’operazione di marketing su di lui organizzata, decise di buttarlo metaforicamente nella spazzatura.
Creare un clone di David Bowie, del David Bowie di “Hunky Dory” e “Ziggy Stardust” nel 1973, negli USA, sperando di ottenere il medesimo successo e riscontro commerciale. Operazione stupida, inevitabilmente votata al fallimento, ed infatti Jobriath si rivelò il più grande fiasco del marketing a stelle e strisce dai tempi della Edsel. Mi chiedo se alla Elektra Records del vampiro David Geffen si fossero posti una semplicissima domanda sui gusti musicali dell’americano medio prima di investire vagonate di soldi nella creazione del fenomeno Jobriath; l’americano medio di quegli anni ama il country della Grand Ole Opry, vota Nixon, crede nel dogma WASP e a volte ostenta con orgoglio la bandiera della Confederazione sudista. Un personaggio come Jobriath, noto anche per essere il primo musicista rock dichiaratamente gay a firmare un contratto per una major, con i suoi testi espliciti ed il suo look androgino era qualcosa di totalmente alieno ed improponibile, almeno come fenomeno di massa.
Lanciato da un’imponente e sontuosissima campagna stampa e d’immagine, un hype per utilizzare un termine tecnico, il primo album di Jobriath si presenta come un impasto sonoro tra il già citato Bowie ed i T-Rex di Marc Bolan, in Inghilterra il genere è all’apice dello splendore, nello stesso anno anche Donovan ci si butta a capofitto con “Cosmic Wheels”, ed è veramente un bel disco, il disco di un artista di talento, e fa male pensare a come sia stato bruciato malamente. Jobriath è un ottimo compositore pop, fa affidamento tanto sulle chitarre quanto sul piano, una voce non eccezionale in senso stretto ma graffiante, espressiva e dotata di un grande carisma recitativo e il suo glam rock è raffinato ed elegante anche se orecchiabile e di facile presa. Vale su tutti l’esempio dell’inno S&M “Take Me I’m Yours”, arricchito da cori soul e forse il brano stilisticamente più rappresentativo e di punta dell’album, ma il piatto è ricco e gustosissimo. Tra gli highlits spiccano la maestosa ballad “Be Still”, il riff e il basso pulsante di una coinvolgente cavalcata come “World Without End”, la raffinatezza quasi neoclassica di “I’maman”, il rock ‘n’ roll galoppante di “Rock Of Ages”, la “Hang Onto Youself” dell’album per fare un paragone con “Ziggy”, i lievi accenni folk di "Morning Star Ship" (Come Marc Bolan anche il Nostro iniziò la sua carriera nei primi anni ’70 in un’oscura folk band, i Pidgeon) ed il breve ed affascinante intermezzo pianistico di “Movie Queen”.
Il successo riscosso dall’album, a dispetto delle previsioni dei famelici dirigenti della Elektra, che già pregustavano la creazione di un nuovo fenomeno mondiale, fu come ampiamente prevedibile irrisorio e Jobriath, dopo un altrettanto valido “Creatures Of The Street” abbandonò il music-biz, tentando senza successo di riciclarsi come attore ed infine come cabarettista e gigolò, nell’anonimato più totale; essere gettato in questo modo in pasto ai pescecani e poi ostracizzato come un appestato, questo è stato il destino che il mitologico mondo del rock, che è tutto tranne che dorato, ha riservato a questo ragazzo tanto talentuoso quanto fragile, che morì di AIDS nel 1983, esattamente dieci anni dopo la pubblicazione di questo album, proprio quando Morrissey gli offrì di tornare sulle scene per aprire i concerti dei suoi Smiths, lo stesso Morrissey che successivamente si occupò della ristampa dei suoi due album, assicurando così quantomeno un degno tributo a questa vittima del music-business.
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