Energia primordiale che si alimenta fino alla saturazione: i Killing Joke rinascono dalle ceneri sotto una veste per certi versi commerciale, a partire dalla presenza alla batteria di Dave Grohl, coagulando a tratti paradossalmente generi e gruppi parallelemente in voga, nonostante siano proprio questi ultimi ad aver tratto probabilmente ispirazione da Jaz Coleman e soci.
Dieci canzoni che calcano lo stesso ritmo claustrofobico e martellante, intrappolandoci in una stanza terrorizzati, con le mani sanguinanti sulle orecchie a sbattere la testa contro un muro del suono che ci travolge.
I primi passi sono micidiali: in "The Death & Resurrection Show" fremiti di chitarra si propagano per tutta la canzone e la caricano fino all'implosione vocale e strumentale; la voce è una supplica che sale dal profondo per sfogarsi. "Total Invasion" e "Asteroid" ricordano la follia psicotica dei Coal Chamber, mentre new wave e metal vengono condensati in "Implant" e in "You'll Never Get To Me", in quest'ultima basso alla Cure e ritmo coinvolgente la rendono il punto più alto dell'album. "Dark Forces" è lugubre, oscura, poi si illumina in un ritornello stile Faith No More, i quali si possono intravedere anche nella finale "The House That Paint Built", che già dal titolo ricorda i Led Zeppelin e vagamente ripercorre le note di "Kashmir"; l'interludio è un coro aggressivo da stadio e anche qui i Killing Joke si dimostrano energicamente estenuanti. "Blood On Your Hands" calca molto i Queens Of The Stone Age, come "Seing Red"; quando la parte new wave viene sovrastata dalla grinta di Jaz Coleman l'atmosfera si fa codigna, un'apcalisse trapana le nostre orecchie e il tutto viene condensato in "Loose Cannon", tecnologica e paranoica, con un ritornello rivestito da cori e un interludio soft tipico del new metal.
Se serve la carica e in casa non c'è l'orzo bimbo, questo è l'album adatto, basta non abusarne o almeno non guidare durante l'ascolto.
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