"Tentò la fuga in tram
...
un pettirosso da combattimento".

La canzone inizia con la descrizione di un uomo anziano che fugge da una Milano avvolta dalla nebbia, un’immagine volutamente stereotipata e banale. La “Baggina” è il nome gergale del Pio Albergo Trivulzio, grande ricovero per anziani da sempre al centro di polemiche (anche oggi). Il nomignolo deriva dalla sua posizione, lungo la strada che da Milano va a Baggio (un tempo era un paese a sé, ora è un quartiere della città). L’uomo è diretto a Trento, ma non riesce ad arrivarci, perché viene ucciso barbaramente.

Faber aveva immaginato per l'anziano poeta una fine orribile, bruciato nel sonno, come purtroppo sarebbe accaduto ad alcuni senzatetto.

All’università di Trento studiò Renato Curcio, fondatore delle Brigate Rosse, che ritorna più avanti nella canzone. Dalla sua barba spicca il volo un uccellino, piccolo ma non per questo indifeso…

"Nell'assolata galera patria
...
il carbonaro".

Renato Curcio è stato uno dei fondatori delle Brigate Rosse, ha passato più di 20 anni in prigione senza dissociarsi mai dalla lotta armata. I secondini che si mettono d'accordo per "l'amputazione della gamba" annunciata con tutti i mezzi potrebbero in realtà essere incaricati a fare di peggio. L'amputazione di una gamba può essere una terapia estrema o una feroce mutilazione, a seconda delle circostanze. Il fatto che Faber consideri Curcio un "carbonaro" lascia vedere una certa benevolenza nei suoi confronti.

"il ministro dei temporali
...
e le mani sui coglioni".

Niente di più inutile di un ministro dei temporali, o dei terremoti, cose che non si possono prevedere o
controllare, il ministro lo sa e mentre parla di democrazia, di nascosto fa gli scongiuri perché la
situazione resti quella che è.

"voglio vivere in una città
...
o di detersivo".

Questa frase alludeva alla foto di una vittima della mafia assassinata a Palermo, in una foto di cronaca
si vedeva una donna lavare il sangue della vittima con una secchiata di acqua e detersivo. Me la ricordo
vagamente anch’io ma non sono riuscito a rintracciarla.

"a tarda sera io e il mio illustre cugino De Andrade
...
perché avevamo un cannone nel cortile".

Oswald De Andrade era un poeta brasiliano molto amato da De Andrè, morto nel 1954. Nella realtà non
erano parenti, anche se probabilmente a Faber sarebbe piaciuto. Il “cannone nel cortile” che garantisce
la libertà a entrambi è probabilmente il fatto di essere poeti e profeti. Come dire che il loro status
assicura la libertà.

"voi che avete cantato sui trampoli e in ginocchio
...
adatte per il vaffanculo."

Questa parte mi colpì molto perché a quanto disse Pagani, De Andrè era rimasto molto deluso dai
colleghi cantautori, ai quali riconosceva una “voce potente” (oggi la chiameremmo visibilità) che avrebbe potuto essere usata per
cambiare la società, invece era stata “sprecata” per cause che lui non condivideva e per riempire gli
stadi e i palasport. Pagani si auspicò che a ".
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