“Guarda fuori dalla finestra (del treno che sta andando), questo non ti ricorda quando eri sulla barca? E più tardi quella notte eri sdraiato guardando il soffitto, e l‘ acqua nella tua testa… E hai pensato con te stesso: perchè il paesaggio è in movimento ma la barca è ferma?“ (il macchinista della locomotiva a William Blake-Johnny Depp nell‘ inizio di “Dead Man“ di J. Jarmusch).

“Abbiamo perso la verginità sulla nave durante il viaggio di andata e ci siamo guardati indietro senza alcun rimpianto“ (James Ellroy sul preambolo di American Tabloid).

Queste due citazioni si affiancano perfettamente all‘ indole di questo disco. La Frontiera..

E‘ dura avere a che fare con una terra che ti propone come obbiettivo di arrivare dove il deserto incontra l‘ oceano.

Si affronta l‘ ignoto spingendosi in avanti come posseduti, come per cercare d‘ illuminare i nostri luoghi oscuri, per esorcizzare le paure, ma il più delle volte inesorabilmente si perde il senno. La conquista della frontiera, gli spazi interminabili, indefinibili confini, l‘esperienza insostenibile del divenire, la bellezza rivelata ma anch‘ essa insopportabile, l‘ estensione del tutto è troppo forte, troppo forte! E mentre l‘ Impero Romano ha creato la grandezza, l‘ Impero americano l‘ ha subita trasformandola in potenza derivata, ma subendo inevitabilmente il contraccolpo della perdita della purezza. “L‘ America non è mai stata innocente“, citiamo ancora Ellroy per provare a dimostrare che c‘ è ancora una speranza per i pionieri, “teneri barbari“ bisognosi come tutti d‘ amore, e questo disco ne è la prova.

Questo misconosciuto lavoro autoprodotto del 1988, vuoi perchè è stato stampato in 500 copie + altre 500 della ristampa greca, vuoi perchè ogni etichetta di ogni singolo vinile è stata pitturata a mano, vuoi perchè fa parte della scena denominata “trance californiana“ della seconda metà degli anni ’80, è uno dei migliori di quella trance music (e non solo)“ intesa non tanto nella sua forma pura, minimale, quanto nell‘ elemento o idea di trance come si manifesta in differenti linguaggi musicali e attraverso tutti i tipi di musica, dunque un uso di elementi ipnotici/ripetitivi nel tentativo di porre l‘ ascoltatore e il musicista in uno stato diverso, un uso del suono per evocare una cadenza tipo mantra nella quale i pensieri di ognuno possono viaggiare.“

i Man From Missouri, per riallacciarsi al discorso frontiera-pionieri, riescono mirabilmente a tracciare, lungo l‘ arco del disco, una sotterranea epopea americana andando a toccare delle corde intime e dei sentimenti che i nostri fratelli hanno dovuto necessariamente mettere da parte per poter affrontare la conquista e qui “ascoltiamo“ che non tutta l‘ anima è andata perduta, che la conseguente perdita di essa (vendere l‘ anima al diavolo) equivarrebbe a una disperazione infinita, ma qui no. A caro prezzo è stato pagato il conto ma in un angolo remoto possiamo ancora recuperare le nostre facoltà umane e ricominciare a brillare, l‘ inevitabile corazza si sfalderà piano piano per far posto alla Luce.

La musica è un western mistico: rock, pop, folk, country, surf, psichedelia, ambient convivono all‘ unisono elettrificate e accelerate in un‘ amalgama mantrica che cattura e trasporta. Ipnotici e allucinati questi cow boy in tuta spaziale, accompagnati dalla voce straniante di Jon Jarrett, sono oggettivamente il western personificato.

Iniziamo: il primo pezzo (Cover Taylor) ci getta violentemente nella mischia. Abbandonata la nave del nostro viaggio di sola andata ci fa compagnia l‘ eccitazione e l‘ adrenalina dell‘ ignoto, sul molo “ringhiamo feroci“ (Dino Campana) pronti alla sfida, si parte!

Ma già nel secondo pezzo (il significativo Eat My Iron) iniziano i primi problemi, la spavalderia si dissolve, i sogni si frantumano con la presa in atto della durezza della situazione e la durezza si combatte con la durezza, ma si lotta ancora per conservare un barlume di umanità. Quell‘ umanità che nel terzo pezzo (American Dogs) si deve, costretti dalla sopravvivenza, con cosciente dolore rendere. Si dà l‘ addio ai sentimenti e si mette da parte il cuore, la corsa alla frontiera ha inesorabilmente cominciato a fagocitare il tutto. L‘ armonica a bocca è la nostra perduta purezza, le chitarre ci cullano come una madre per alleviare il distacco dalla nostra anima, la voce del cantante è il Western! Il pezzo è, da un punto di vista emotivo, talmente forte che si fa persino fatica ad ascoltarlo.

Trasformati in “canacci americani“ cadiamo inebriati (in Accident) sul richiamo delle sirene, forze misteriose e sconosciute ci ammaliano, iniziamo a sentire il silenzio dopo le allucinazioni che ci indirizzano verso la nuova religione dell‘ adorazione della materia. Resettati, nell‘ ultimo pezzo della prima facciata (No Title), si deve cominciare a viaggiare ad una velocità sempre più sostenuta, si va avanti e sempre più si diventa insensibili, si va avanti per dove non si sa, ma si va avanti.

Un colpo di tosse, dopo una colazione da campioni a base di whisky e via! Così si apre il secondo lato con Hygiene: la nuova dura realtà ci lancia nell‘ azione, nulla è precluso, tutto è permesso al fine di ariivare alla mèta. Sempre più travolgenti, le nefandezze e le azioni più abiette sono omologate, la violenza è giustificata perchè la si inizierà a chiamare “Storia“. “Quando un esercito dei bianchi combatte i nativi americani e vince, questa è considerata una grande vittoria ma se sono i bianchi ad essere sconfitti , allora è chiamato massacro.“ (Chiksika). L‘ epica westerniana si crea dai suoi misfatti, “In God We Trust“ (scritto sulle banconote): “Dio lo vuole!“.

In Labor Day i nuovi barbari legittimano la distruzione nel recupero ipocrita di quei valori accantonati all‘ inizio dell‘ avventura, ma la Liberté, Égalité, Fraternité a stelle e strisce è macchiata di tanto sangue. Chitarre aperte, stiamo arrivando! Ed ecco, col pezzo Bwayer Tatalingus Debase (si, DEBASEr), che c’è il tempo adesso di riformare un pò di quell’ anima perduta all’ inizio, vabbè abbiamo fatto ”qualcosina” contro le leggi degli uomini e di Dio, ma sono state le circostanze, abbiamo obbedito agli ordini della sopravvivenza, non avevamo scelta.

Ed è di fatto un “Epitaph“ il pezzo che chiude il disco e risulta come un vero e proprio inno nazionale allo spirito americano, e riassume la saga pionieristica per la conquista della frontiera: “Abbiamo accettato la sfida, ci siamo spaccati il culo, abbiamo patito privazioni sia fisiche che psichiche incredibili ma siamo andati avanti, è stata dura ma ce l‘ abbiamo fatta e ce la faremo sempre.“ Sembra riassumere il nostro buttero sulle note di questo meraviglioso country elettrificato e la voce del cantante racchiude tutte le pene dell‘ inferno che si è dovuti soffrire ma esposte, come solo un vero bardo sa fare, favolisticamente.

La copertina della ristampa greca (che rititola l’LP “BWanger TaTalingus debase“), che immortala una famiglia di pionieri in sosta dal viaggio per un non so dove, rispecchia direttamente la musica ma è la copertina originale che coglie nel profondo lo stato finale raggiunto dal pioniere a compimento della conquista: un‘ imminente personale abluzione battesimale, consona al luogo e alla circostanza, insieme alla follia e a un non casuale visitatore, un lucertolone già menzionato dal primo presidente degli Stati Uniti, G. Washington: “Sono entrati“, constatava già al tempo George, intendendo proprio quella specie con sembianze umane che tutt’ ora comandano e influenzano il tutto, ma questa è un‘ altra storia…

Usufruite dell‘ apporto dei butteri spaziali e immergetevi in un liquido amniotico a stelle e strisce, da far accapponare la pelle, c’è tutto qui dentro: le porte a spinta del saloon, la diligenza, i bisonti, la tua colt, i cactus, i serpenti a sonagli, il deserto, l‘ oro, nordisti e sudisti, il whisky, mamma e papà?, il deserto, le immense distese, gli interminabili fiumi, l‘ insopportabile calore, l‘ impensabile gelo, Smith & Wesson, il generale Custer, Cavallo Pazzo, Toro Seduto, la superficie pietrificata, la polvere…

E poi dalla polvere loro, immobili, mentre tutto il resto è in movimento: i MAN FROM MISSOURI!

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