Se il sound di Canterbury è caratterizzato da composizioni avanguardistiche, pesantemente contaminate da sonorità jazz e intinte in una buona dose di umorismo allora spiegatemi come non comprendere in questo movimento, formato perlopiù da gentiluomini provenienti dal Sud-Est dell'Inghilterra, anche i francesi Moving Gelatine Plates.

Il suddetto gruppo nasce dall'accordo di due simpatici musicisti: il chitarrista Didier Thibault e il bassista  Gerard Bertram, i quali, dopo aver reclutato l'organista e fiatista Maurice Hemlinger e il batterista Gerard Pons (fratello di Dominique, bassista dei Magma), fanno una cruciale scoperta. Sì perché Didier, in uno slancio di saggezza, si accorge che, se ne avesse la possibilità, preferirebbe suonare il basso, mentre, sorpresa delle sorprese, Gerard già da un po' di tempo stava coltivando questa mezza idea di passare alla chitarra... Detto fatto: i due si scambiano i ruoli e si preparano a suonare in uno dei più begli esordi della Francia progressiva di inizio '70.

Ci troviamo appunto a cavallo tra il 1970 e il 1971 e la band decide finalmente (dopo essersi già rifiutata una volta in passato per paura di dover cambiare l'impostazione della propria musica) di firmare un contratto con la CBS Records, che darà ai quattro ragazzi i mezzi necessari per poter realizzare il loro primo lavoro omonimo.
Veramente arduo cercare di intercettare possibili punti deboli in un album dalle sonorità così fresche e originali, oltretutto suonato con un affiatamento tra le diverse parti davvero invidiabile. Testimoni di queste considerazioni sono i brani, che spingono l'ascoltatore in un vortice di allegrìa e stupore, rapimento e meraviglia, ora grazie al fenomenale sassofono di Maurice, supportato da un reparto ritmico stellare, che avvolge l'assurda riproposizione della filastrocca "Three Blind Mice", eseguita dalle voci effettate di Gerard e Didier (London Cab), ora per mezzo della tromba che si alterna ai pazzeschi cambi di tempo della batteria dell'altro Gerard (Gelatine). Per quanto la chitarra e il basso tornino alla ribalta all'inizio della lunga "Last Song" e la batteria faccia una stupenda divagazione solista al centro della traccia, rimane comunque Maurice il padrone incontrastato di queste terre fertili, spesso bagnate da piogge jazzate, durante le quali i suoi fiati prendono il sopravvento sugli altri strumenti, e non solo per il sax che imperversa in questo episodio, ma anche per la comica tromba sul finale di "X-25" e per il flauto sognante di "Memories".

La cosa che indubbiamente penalizzò maggiormente questa band dalle eccezionali potenzialità fu la scandalosa e praticamente nulla promozione che ricevette ed il modestissimo tour che ne seguì (non che ci si potesse aspettare un diverso epilogo da una situazione gestita in modo così pessimo). Come se questo non bastasse, problemi di tale sorta si ripresenteranno anche dopo l'uscita del successivo "The World of Genius Hans" l'anno seguente; ma questa è un'altra storia.

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