Qualcuno me lo levi dal lettore, dannazione!
Non capisco come diavolo sia successo. Qualche settimana fa mi fiondo dal mio spacciatore musicale di fiducia con un nome in mente: "Northpole". In internet ne parlavano bene, benissimo anzi. Ho fatto il diffidente e nonostante il prezzo ridotto ho voluto ascoltare. In cuffia si sentivano canzoni pop con archi ad "impreziosire". Boh, mi sono detto, mi ricordano anche un po’ i Perturbazione, magari li prendo e li metabolizzo e mi piacciono pure.
Ho pagato (nella dose quotidiana c’era anche l’ultimo delle Sleater Kinney) e sono corso a casa.
Il resto si fa nebuloso. La sequenza delle azioni è sempre la stessa: io che guardo i cd sparsi, il dito che indica quale prendere, scorre e si ferma sul maledetto bambino che nuota nella materia pittorica marrone chiaro. Apro e guardo il libretto con la foto dei quattro su sfondo del Piave. Intanto la mano, da sola, ha inserito il dischetto nel lettore.
Partono le note, attendo e poi esplodo nell’iniziale “Fanculo lo stile”. Fanculo, cazzo, che le ho comprate a fare le SK? Le avrò sentite si e no quattro volte, da allora.

Beh, insomma, questi Northpole sono un combo veneto in attività da molto tempo (sul sito dicono dal 1992), ma solo di recente approdato alla "fatica" del primo album sulla lunga distanza. Paolo Beraldo, cantante ed autore dei testi: un mio amico ha commentato che canta come se parlasse. Ha una voce molto limpida, che stende come un violino sulle canzoni, segue con semplice bellezza e una certa classicità retrò le dinamiche dei pezzi. Lo accompagnano Alessandro Ceron alla chitarra, Federica Colella al basso ed Erica Piol alla batteria (oltre ad ospiti vari agli archi).

Le canzoni sono semplici, veloci, fluide, ti ci immergi e ti si attaccano addosso. I testi raccontano di cose piccole, di momenti, di attimi. Rifuggono la soluzione ad effetto, affidandosi alla misura, ma comunque ti si stampano in mente. Mentre ti chiedi come è possibile che parole così elementari, così classicamente disposte e costruite (esempio notevole: La Distanza) , riescano comunque a colpire il cuore che credevi cinicamente abituato a tutto.
E ti ritrovi per strada, soprappensiero, a canticchiare come uno zombie "e niente mi ricorda di te, vengo a casa tua, preparami un caffè" mentre i passanti si chiedono quanti anni di terapia ti ci vorranno. Quanti anni? Me lo chiedo anch’io.
Voi intanto prestate orecchio, e ditemi come cavolo faccio a staccare sti disgraziati dal mio stereo di casa.

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