A dar retta ai luoghi comuni, io sono quello con cui vado.

David Berman, quando ha 18 anni, se ne va senza troppo entusiasmo all'università, soprattutto per mettere una bella distanza tra lui e il padre, maneggione al soldo dei commercianti d'armi; la madre ha fatto i bagagli qualche tempo prima.

Lì all'università David entra in combutta con un paio di ragazzetti: uno si chiama Stephen Malkmus, l'altro Bob Nastanovich. Quei tre, chissà perché, si mettono in testa di avere un qualche talento artistico: per dire, David è convinto di scrivere bene, talmente tanto da mettersi a comporre smancerie per la fidanzatina del momento; gli altri due, addirittura, di essere la nuova grande cosa del rock'n'roll. Scontato che finiscano in una banda, la via più facile per tre adolescenti in cerca di sfogo per le proprie ambizioni: si battezzano Silver Jews; David si occupa dei testi, Stephen e Bob della musica. Pubblicano pure un album ed è già finita. Almeno così pare.

Perché Stephen e Bob fanno presto le valigie, salutano David e si accasano sotto un altro tetto. O meglio, su un altro marciapiede. Ecco, i Pavement ci mettono qualche anno ma ci riescono per davvero ad essere la nuova grande cosa e quando esce il loro ellepì d'esordio tutti concordano che, vada come vada il prosieguo della vicenda, dai Pavement e da «Slanted and Enchanted» il rock'n'roll non può prescindere. Scontato, ancora, che ogni volta che Stephen e Bob tornano a suonare con David nelle fila dei sopravvissuti Silver Jews, allora i Silver Jews non possono essere altro che il passatempo di Stephen e Bob o, come dicono quelli bravi, un side project dei Pavement. Poi, se tra Silver Jews e Pavement ci sono poche o nulle affinità, poco importa. L'importante è che la moltitudine che i Pavement proprio non li digerisce lascia nell'anonimato qualche buon album – almeno uno bellissimo, «American Water». Chissà, forse un termine di paragone meno banale – magari Bill Callahan invece dei Pavement – poteva dare un corso diverso alla vicenda Silver Jews.

Vicenda che, invece, finisce nel giro di 6 album licenziati in 15 anni, quando David un pomeriggio si guarda allo specchio, confessa al suo riflesso che dopo «American Water» la vena ha imboccato una china discendente e irreversibile, quindi meglio finirla là: così quel pomeriggio si chiude la vicenda artistica dei Silver Jews.

Visto che anche un artista – definizione quantomai sfuggente – deve campare in un modo o nell'altro, David fa anche un bilancio, nel senso letterale del termine, ragioneria spicciola: 6 album, appunto, in tutto 300.000 copie vendute ma nemmeno, tradotto in soldi fanno all'incirca 70.000 dollari. Con quei soldi, avendo lucidità e determinazione, David potrebbe ripartire – un po' come la madre casalinga, reinventatasi studentessa e infine docente; a lui, però, la lucidità (sicuramente) e la determinazione (forse) in quel momento difettano e quei soldi li “investe” con scarso profitto per liberarsi della presenza di fantasmi indefinibili che lo angosciano fin dall'infanzia: così, per alcuni anni si barcamena tra problemi di salute e ricoveri ospedalieri, abuso di stupefacenti e alcool e ricoveri in centri per la disintossicazione, disagio mentale e ricoveri in ospedali psichiatrici, al culmine un tentativo di suicidio.

Secondo un altro luogo comune, quando tocco il fondo posso sempre iniziare a scavare.

David, al contrario, dopo quel suicidio andato a male trova la lucidità e la determinazione che prima gli difettavano, si innamora ricambiato e si sposa con Cassie, torna a comporre poesie e abbozzi di canzoni e anche l'ispirazione pian piano torna ad assisterlo: insomma, David ricomincia a vivere una vita con una minima parvenza di normalità. Tanto che anche le avversità che si riaffacciano – la morte della madre, la fine prematura del matrimonio con Cassie – sembrano non minare l'equilibrio conquistato a fatica, anzi.

Quello che non mi uccide mi rafforza, per dirne un altro.

E infatti, a luglio 2019, David riappare sulla scena con un nuovo gruppo – i Purple Mountains – e un omonimo album di una bellezza abbagliante e, a parte questo, mi rimane poco da dire.

Ad esempio, che il suono non è più quello dei Silver Jews, un folk con sprazzi di bassa fedeltà, ma solo e soltanto pop: pop nella sua forma più lineare, semplice e pulita, classica insomma, come può esserlo la formula dei Beatles; 10 canzoni che hanno tutto per piacere a chiunque sia dotato di un seppur minimo senso del bello; richiami alla più nobile tradizione del canzoniere statunitense, da Leonard Cohen a Townes Van Zandt, passando per Gram Parson e fino a Frank Sinatra (grazie Venerato Maestro per supplire alla mia ignoranza); melodie che presto mi sono entrate in testa e ci stanno tuttora. In poche parole, mie, col Peter Perrett di «How The West Was Won» l'album più bello e per certi versi sorprendente di questo scorcio di nuovo secolo.

E poi i testi. Ecco, c'era un tempo, direi una trentina d'anni fa o poco di più, in cui mi divertivo a leggere i classici della letteratura – «Delitto e castigo», «Moby Dick», «Anna Karenina», ci siamo capiti – e di tanto in tanto mi divertivo ancora di più a sottolineare col matitone bicolore rosso e blu quelle che mi parevano, allora come ora, delle perle di saggezza, sopra ogni altra la circostanza per cui tutte le famiglie felici si assomigliano ma quelle infelici sono infelici ciascuna a modo suo, le prime 2 righe di «Anna Karenina», insomma. Rare volte mi è capitato di farlo anche con i testi delle canzoni, a memoria tanto Bob Dylan, un bel po' di Lou Reed, abbastanza di Patti Smith. Per dire che, a leggere i testi delle canzoni dentro «Purple Mountains», mi è venuta la nostalgia di quei tempi, del piacere di avere nel cassetto un matitone bicolore rosso e blu e nella libreria un libro con i testi da sottolineare secondo la mia ispirazione del momento. Anche se ci sono cose più urgenti da fare, il lavoro, la spesa, le pulizie; penso che accada a tanti.

Ovvio che anche David ha delle urgenze e così si mette a tavolino e butta giù un bilancio nel senso letterale del termine, ragioneria spicciola, come qualche anno prima; ovvio che le urgenze significano sempre soldi da rimediare; ovvio che, con un album appena pubblicato, la cosa migliore da fare è andare in tour a promuoverlo. Detto fatto, si parte a settembre.

Solo che, qualche giorno prima di mettersi sulla strada, succede qualcosa e David si impicca e stavolta muore. Chi muore sa benissimo quello che sta facendo quando si lascia alle spalle questo mondo, canta David in una canzone dell'album; sicuramente lo sapeva anche lui e non serve che lo sappia nessun altro, penso.

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