Questo disco è assurdo, e  chi l'ha fatto non sta proprio bene. Di certo ne ho ascoltata di roba assurda, di capolavori assurdi. Dischi non definibili, dischi inascoltabili, o ascoltabili dopo il trentesimo giro. Questo è per me uno di quelli. Non saprei proprio come definirlo. La prima volta che l'ho messo in stereo ho subito percepito il senso di qualcosa di compiuto, la seconda volta mi sembrava un'accozzaglia di suoni fuori posto. Mi sono intestardito perché non riuscivo a giudicarlo. Dopo aver ammazzato le casse dello stereo con questo esordio dei Pyramids sono arrivato alla conclusione. Non sono riuscito a giudicarlo. Questo è un disco che va preso con le pinze, roba fuori dallo spazio e dal tempo, non etichettabile, non classificabile e non da generalizzare.

I Pyramids sono dei mattacchioni. O hanno una rotella fuori posto, oppure, hanno una rotella fuori posto. Direi che potrebbero essere nati da un'orgia collettiva tra i My Bloody Valentine, il batterista dei Burzum, i Cocteau Twins, passando per i Dead Kennedys e per il coro gregoriano.

Lo so, detta così sembrerebbe una presa per il culo, sembrerebbe una boiata da sinossi di "Nonciclopedia", ma ascoltatelo, poi mi direte.

L'effetto che inizialmente da può essere piacevole, ma piano piano diventa sgradevole all' orecchio. Questa musica scavalca il filo spinato e va oltre il limite. Mettiamola così. Se la musica di massa rappresentasse il centro, i Pyramids sarebbero di sicuro le Brigate Rosse. La loro musica è estrema, non di facile orecchio. Può avere un filo logico per qualcuno di voi, o non stare né in cielo né in terra per altri di voi.

Descriverlo è praticamente impossibile. Si va dal fissarsi le scarpe, o meglio, i distorsori, a scatenare l'ira di Dio. Inevitabile vedere frammenti di shoegaze in "Sleds", prima traccia dell'album, così delicata, visionaria, con quella voce sussurrata e a tratti corale. La musica fluttua nel nulla, è distaccata da tutto, non è appoggiata alla ritmica. L'ispirazione è chiaramente data da Shields per gli effetti e  Bilinda Butcher  per la voce eterea.  Gli influssi black metal della batteria pulsante, scarna, potente, spaccatutto, si sentono nella violenza quasi hardcore di "Hillary", "Monks" e "1,2,3", ultima traccia dell' album, in cui i pittorici e onirici affreschi di chitarra in feedback e distorsioni lasciano spazio alla brutalità del metal estremo.

La melodia raggiunge il picco più alto in "The Echo of Something Lovely", che musicalmente parlando, è anche la più orecchiabile di tutto il disco. Un sogno acido che richiama la natura, la purezza. E' forse il riassunto della copertina dell' album. Due cervi con due aquiloni colorati in testa nel bel mezzo della natura incontaminata. L'idea questa volta è abbastanza chiara.

Se "The Echo of..." richiamava la natura, "Hellmonk" è il caos celestiale. Sembra un disordine totale, che copre anche la base della traccia. E' questo il bello. E' il caos.

Insomma, tirando le somme, questo album dovete provarlo tutti. Non tanto per il fatto che è inascoltabile, ma perché è un'esperienza. E' roba che può deliziare il vostro palato, ma può anche farvi vomitare. Non c'è una spiegazione scientifica a tutto questo disordine e putiferio musicale, gli si può dare al massimo un filo logico metafisico (io l'avrei pure trovato, ma voglio sentire le vostre opininioni al riguardo e vedere se corrisponde alla mia ipotesi).

Acoltatelo, vediamo poi se crederete o meno alla storia dell' orgia.

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