I Queen rappresentano un caso abbastanza particolare nell'ambito della storia del rock: da sempre snobbati da una certa critica "con la puzza sotto il naso", in un certo si sono "vendicati" vendendo vagonate di dischi e occupando stabilmente le vette delle classifiche in tutto il mondo, raggiungendo una popolarità che, a dodici anni dalla morte di Freddie Mercury, non accenna minimamente ad affievolirsi. Merito innanzitutto della carismatica personalità del loro leader, autentico animale da palcoscenico, ma anche di una immagine (almeno agli esordi) furbescamente in bilico tra kitsch e trasgressione, abile mix di paccottiglia glam, Mick Jagger e Liza Minelli. Ma soprattutto di una camaleontica capacità di cambiare pelle secondo le mode del momento, che ha permesso alla band di rimanere sulla cresta dell'onda per un ventennio abbondante, superando in maniera indenne il terremoto punk, la disco-music, la new wave, e di conquistare negli anni'80 i mega concerti e le grandi arene di mezzo mondo, candidandosi seriamente al titolo di più grande live-band di tutti i tempi.
Cosa non da poco, se si considera la contemporanea caduta in disgrazia della quasi totalità degli altri grandi gruppi hard rock degli anni'70 (basti pensare ai Deep Purple o ai Black Sabbath), divenuti ormai la caricatura di se stessi. Pubblicato nell'ottobre del 1973, quest'album rappresenta il debutto discografico della band, già attiva da circa un biennio nei circuiti underground londinesi. Alla sua uscita fu accolto in maniera piuttosto fredda dalla critica, che liquidò la band, un pò troppo ingenerosamente, come una "pallida imitazione dei Led Zeppelin"; anche il riscontro di pubblico non fu tra i più calorosi, tanto che alla fine risulterà l'unico del gruppo a non entrare nella top ten britannica. Tuttavia, pur non essendo in effetti privo di comprensibili pecche ed ingenuità varie, l'album presenta "in nuce" già tutte le peculiarità del "Queen-sound": arrangiamenti magniloquenti, gusto per la melodia, una straordinaria abilità nello sfornare motivi immediati e di facile presa sull'ascoltatore. Ne è dimostrazione lampante il brano di apertura, "Keep yourself alive", un "hard-pop" che non vuol essere né troppo hard né troppo pop, dal testo ruffianamente adolescenziale: perfetto per le radio. La successiva "Doing all right" inizia invece come una dolce ballata pianistica, ma è solo il preludio per una furibonda "schitarrata" ad opera di Brian May, un artista spesso relegato, a torto o ragione, nel limbo degli artisti pacchiani ed eccessivi, ma sicuramente da rivalutare; nelle note di copertina il brano è acceditato, oltre che al chitarrista, a Tim Staffel, basso e voce del gruppo (quando ancora si chiamava Smile) prima dell'avvento di Mercury.Chitarre ancora sugli scudi nell'apocalittica e convulsa cavalcata di "Great King Rat", in assoluto il brano più "heavy" di tutto l'album , caratterizzato da una ritmica incalzante e dai toni ieratici di Mercury. Ma è nella bizzarra "My Fairy Queen" che emerge prepotentemente la superba e sontuosa vocalità del leader, in uno schizofrenico alternarsi di acuti impossibili, vocalizzi eterei, fughe pianistiche, ghirigori di chitarra. "Liar" è un maestoso hard-rock, dal testo invero piuttosto banale (ma il versante testi, per ammissioni degli stessi Queen, non è mai stato il pezzo forte del gruppo), ma dall'arrangiamento strabordante e dall'andamento continuamente mutevole. A tal proposito val la pena ricordare come il sound sovrarrangiato e ricercato di questi primi lavori della band sia stato spesso e volentieri accostato alla contemporanea scena progressive britannica, allora in pieno acme di consenso della critica e successo di pubblico; a mio parere invece i Queen degli esordi hanno ben poco a che vedere con il progressive, risultando più paragonabili come stile ed attitudine alle band pomp rock americane, quali Kansas e Styx. Un mirabile intreccio di basso e chitarra classica introduce la ballata "The night comes down": peccato però che il brano non confermi le premesse, scadendo in una melodia tra le più scontate e prevedibili. "Modern Times Rock'n'Roll" è invece un rockabilly al fulmicotone che vede alla voce Brian May: un brano che vuol forse fare il verso alla quasi omonima zeppeliniana "Rock and Roll". Ma l'influenza dei Led Zeppelin si fa ancora più evidente nella successiva "Son and Daughter", un torrido hard-blues dal testo volutamente provocatorio che traccia vaghe e scandalose storie d'incesto tra fratello e sorella. Le parole dell'estesa "Jesus" rievocano invece passi ed immagini tratte dal Vangelo (è proprio il caso di dire: dal profano al sacro); si tratta a mio avviso del miglior brano dell'album, un inedito mix di hard rock e gospel con un lungo e furibondo intermezzo chitarristico in cui May fa abbondante ricorso a sovraincisioni di chitarre, tecniche di overdub, echi, riverberi, diavolerie ed ammenicoli vari: il tutto rivela un certosino e maniacale lavoro di post-produzione in studio, che sarà una costante in tutte le produzioni future del gruppo. Chiude il disco "Seven seas of Rhye", frammento strumentale dell'omonimo brano che comparirà sul secondo lavoro dei Queen e che si rivelerà il primo hit da classifica della band, spalancando le porte del successo.

Carico i commenti... con calma