"Rabid Dogs is the new ultraviolent assault born from the ashes of Italian brutal death acts Bestial Devastation and Tools Of Torture".

Ascoltando il self-titled dei Rabid Dogs e seguendo la breve e intensa biografia presente su Facebook, ci si chiede dopo aver premuto play ed essere arrivati (con fatica) alla settima traccia (cioè a metà disco): L'ultraviolenza dov'è?
Probabilmente il trio abruzzese ha sublimato uno status che concettualmente si riferisce alla violenza partorita in sede d'ascolto forzato.
Ascoltarsi un disco del genere per la durata di circa mezz'ora significa essere indubbiamente autolesionisti, l'unica violenza che si scorge è quella provocata dalla noia.

Ma partiamo con ordine. La band composta da Doc, Blade e Thirtytwo nasce dalle ceneri di altre 2 band abruzzesi ormai defunte quali Bestial Devastation e Tools of Torture.
Tra i più attivi della scena grind italiana, i tre ragazzi forti di un esperienza decennale in ambito estremo danno alle stampe questo platter di 14 traccie (compresa intro) che deve molto all'immaginario anni '70 del cinema italiano di genere.
Musicalmente parlando immaginatevi di mettere insieme l'aggressività dei Nasum e la sfrontatezza dei Charged GBH, aggiungere una spruzzata di Brutal Truth e avrete idea di cosa stò parlando. La ricetta a tutti gli effetti sembra essere buona, peccato che manchi di sale e non sappia praticamente di nulla.

Il risultato che ne esce fuori è una mistura di grind e rock'n'roll che se da un lato può incuriosire e divertirvi ad un primo superficiale ascolto (Rabid Dogs, Cop's Blood, Fernet Death Squad) dopo un pò stanca per la cadenza eccessiva nel ripetere sempre le stesse identiche soluzioni.
Soluzioni che riportano a strutture semplici ma che non aggiungono ne tolgono nulla a un lavoro che da l'impressione di pressapochismo e frettolosità con riff di chitarra e partiture ritmiche praticamente identiche le une con le altre. Ad un certo punto mi chiedevo se era spuntata l'opzione repeat sul media player.
 
Il genere di per sé non brilla per originalità, negli ultimi 30 anni non ha mostrato chissà quali evoluzioni e cosi come per il black metal è rimasto abbastanza confinato nei suoi classici stilemi. Ma a questo punto mi chiedo se ancora oggi ci sia bisogno di band-fotocopia come questa. Parlamoci chiaro, le influenze presenti nel grind cosi come in altri generi estremi del metal non si contano neanche più, ma per quale motivo un avventore in crisi economica dovrebbe investire dei soldi per un prodotto del genere se ci sono i seminali pionieri a far bene lo sporco lavoro. Non devo necessariamente scomodare i Napalm Death, ma già nomi del calibro degli italiani Cripple Bastards dicono tutto. L'abuso dei sampler da parte dei R.D. riconduce ancora una volta ai Cripple, che già anni e anni fà mischiavano finemente hardcore, punk e intro rubati dai capolavori di Lucio Fulci (1998 - Pete the Ripper, Lo squartatore di New York). In alcuni episodi (Rabid Dogs, Politicians) sembra di ascoltare una cover band dei Cripple (Misantropo a Senso Unico). Ovviamente cosi com'è spartano il lato musicale è spartano il lato estetico del disco, con un booklet inesistente e una grafica minimale che riconduce alla classica mediocre scuola dell'auto-produzione.

Parlando dei suoni invece si può tranquillamente dire che il lavoro svolto (benchè non faccia gridare al miracolo) è ben calibrato e comprensibile, nonostante le tre voci in alcuni casi siano troppo preponderanti e fastidiose.
Non posso aggiungere altro perchè non c'è altro da poter aggiungere. L'intro di Stelvio Cipriani e i sampler sono l'unica cosa buona presente in questo violentissimo attacco italiano.

Praticamente Mike Tyson che cerca di malmenarvi con una piuma.

Carico i commenti... con calma