In una discografia come quella dei King Crimson, parlare di "dischi minori" è quanto mai inopportuno; ogni produzione orchestrata da Fripp rappresenta infatti una ben ponderata e calcolata equazione per portare, per così dire, la musica oltre la musica attraverso la musica; la tappa fondamentale di una sorta di mappa ideata dalla mente di un genio sin dal 1969. Eppure questo "Lizard" del 1971 è da molti considerato un lavoro appunto minore, curioso sì, ma decisamente inferiore all'esordio e al precedente "In The Wake Of Poseidon". Sicuramente si tratta di un disco difficilmente assimilabile e comprensibile, spiazzante al primo ascolto, talmente sferzante e improvviso da risultare addirittura a tratti confusionario. In realtà Lizard è una delle massime realizzazioni del Re nonché una vetta progressiva senza precedenti o degni eredi; personalmente lo considero migliore anche del blasonato "In The Court Of Crimson King".

La line up storica ha subito un netto rimpasto; partiti Greg Lake e Mike Giles, i tre membri rimasti, ossia Fripp, Sinfield e Collins, reclutano il canto-bassista Gordon Haskell, solamente ospite nel disco precedente, e l'abilissimo batterista Andy McCulloch. La band si circonda inoltre di ospiti eccellenti, tutti jazzisti di ottima caratura (come il pianista Keith Tippet) che mostrano già chiaramente la nuova impostazione che il despota ha voluto dare alla sua musica, decisamente free-jazz. Ma sono le atmosfere, i toni e l'immaginifico potere che filtra da ogni strumento a rendere quest'album irripetibile; gli arrangiamenti divengono più elaborati, spinti all'estremo, a volte parossistici, il clima è oppressivo, agitato. Fripp si dedica con particolare cura al mellotron, il suo secondo strumento, e nelle sue mani il leggendario campionatore a bobine diviene una sorta di generatore di emozioni, un altare meccanico che evoca visioni deliranti dall'inquietudine profonda e dal sinistro fascino moderno.

Tutto questo lo si può apprezzare già nel brano di apertura, Cirkus, uno dei migliori pezzi in assoluto del Re. Un pianoforte nervoso ma leggiadro accompagna la particolare voce di Haskell per un'intro dai toni romanticamente macabri; l'entrata della batteria accompagna un potente riff di mellotron e un basso carnoso che scava in sottofondo e che inchiodano l'ascoltatore. Fripp arpeggia la chitarra con una maestria e un suono ammalianti, lottando di controtempi con Gordon che canta in modo nevrotico, stralunato, compresso, mentre il perfetto drumming cementa ogni singola nota. Stupendo il drammatico assolo di mellotron incrociato col sax: questi due strumenti si contendo costantemente il proscenio di un brano dall'intensa carica emotiva e dalle ammirevoli striature jazz.

Segue un duo di brani che riprende la lezione "free" di Cat Food sul disco precedente. Indoor Games è un pezzo nervoso, sgusciante nella sua agilità jazzata, introdotto da riff di sax e inserti di VCS3 e sorretto da una batteria raffinata che marcia a sussulti. La chitarra accompagna la voce (sforzata e contorta e con tanto di pazza risata finale) con arpeggi sghembi; il tutto potrebbe far pensare ad una caotica contaminazione, ma la canzone funziona molto bene e presenta una lucidità interpretativa eccezionale. Schitarrate e note riverberate di sintetizzatore aprono la successiva Happy Family, che può risultare di ascolto un po' ostico dato che il piano molto free si inserisce con violenza e apparentemente senza senso su di una parte vocale trattata, singhiozzante e assolutamente non lineare ma comunque coerente con l'impostazione del pezzo. E' forse il brano più difficile del disco, sincopato e sghembo come non mai, dall'arrangiamento un po' sovraccarico e tuttavia ironico e particolare, anche nel testo che tratta i Beatles (nascosti in copertina) con caustica ironia. Di tutt'altro tono è la successiva e stupenda Lady Of The Dancing Water, aperta da un dolcissimo giro di flauto e da sognanti arpeggi minimali; molto bravo Haskell con la sua voce un po' nasale, ma delicata e gentile, stupendi gli inserti fiatistici che intarsiano questo piccolo gioiello di malinconica melodia.

E' un breve momento di leggera gentilezza prima di giungere alla Sinfonia del Re, la grottesca follia che prende forma con un viaggio nell'assurdo della vita umana e nell'epica visionaria. Lizard si compone di cinque magici movimenti perfettamente fusi tra loro che creano un'atmosfera che solo i grandissimi riescono a suggerire. La musica si sdoppia su due piani, uno svelato ed evidente, di primo impatto, ed un secondo più soffuso e nascosto, compenetrato con le note e che però riesce a pescare molto più a fondo. Più che ad un brano musicale si assiste ad una parata di emozioni che inizia con  Prince Rupert Awakes, aperta con riverberi inquietanti di mellotron che accolgono la stupenda voce di un ospite memorabile, un Jon Anderson non ancora lanciato nell'empireo progressivo. La chitarra tesse trame di sogno con un sottile sottofondo oscuro, mentre la batteria è variegata ed eccellente; sembra il canto di un mondo sconosciuto che ci accoglie beffardo nel risveglio della vita. Un'apertura epica di mellotron e l'ipnotico drumming di McCulloch aprono la parte numero due, Bolero, una sorta di marcia funebre dominata dai toni struggenti suonati dall'oboe che disegnano figurazioni suggestionate e paesaggi sonori di amplissimo respiro. Il mellotron cospira nell'ombra di un sottofondo fatto di fugaci note di pianoforte rendendo il Bolero un'emozione pulsante che si dispiega con un crescendo maestoso. La terza sezione, Peackock's Tale, è miscelata con la precedente ed è caratterizzata da vari fiati che si ritagliano assoli sfuggevoli e tesi, anche se la dolorosa melodia dell'oboe riemerge verso il finale. Sorprendente anche The Battle Of The Glass Tears, suddivisa in tre sotto-temi, che viene introdotta da una litania misteriosa, angosciante eppure ammaliante cantata con voce monocorde e estraniata da Haskell. E' un momento di compressione inimitabile che si libera successivamente con un potentissimo fraseggio di fiati sostenuti da una partitura di mellotron angosciante e incalzante come non mai, mentre un flauto sottile e ficcante ricama leggiadro sopra il tumulto. Big Top vede i fiati ammutolirsi per lasciare posto ad una chitarra distante che riecheggia sui colpi dei timpani e crea una corrente sonora da Giorno del Giudizio; sembra approssimarsi una definitiva, cacofonica esplosione, ma ecco emergere dalle ombre il suono sghembo, caricaturale e parossistico di una marcia da circo, meno di un minuto di inaspettata follia che ci lascia esterrefatti e solitari nel silenzio della conclusione. La parata assurda della vita, dal risveglio, alla battaglia fino alla notte, rimane in sospeso come il destino dell'anima, nel pazzo abbandono ad un'incognita inestricabile e irrisolta; una rappresentazione dell'esistenza umana trasformata in una vera opera d'arte con una performance memorabile.

Lizard è un lavoro secondo me molto sottovalutato, che porta a chiaro compimento l'osmosi tra il lirismo sognante del primo album con le disturbate suggestioni jazzistiche del disco precedente e che per questo mi è sempre parso il miglior attestato artistico dei King Crimson parte 1. E' il frutto di una formazione durata poco e dimenticata, ma anche di un momento di ispirazione e di coesione irripetibile tra Fripp e Sinfiled. Se cercate le suggestive visioni di sogni elegiaci e fantasiosi, questo disco non fa per voi; ma se non avete paura di ascoltare l'angoscia della vita, tuffatevi pure senza timore.

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