A Jules il mondo andava stretto. Fin da giovane; fugge da casa più volte, approda a Parigi dove mena l'esistenza di un improbabile bohemien sfigato, scrive insulse commedie teatrali snobbate, fa il librettista e campa coi soldi che arrivano da casa. Ma anche Parigi è troppo piccola; la fantasia corre, nella Biblioteca Nazionale, sui libri di geografia, i trattati scientifici antichi e moderni. E l'incontro con Nadar gli dà un impulso nuovo: Jules "inventa" la fantascienza, e lo fa talmente bene che ne ricava soldi a palate, tre panfili, onori internazionali e un esercito di fan e seguaci, tra i quali H.G. Wells. Forse è questo che lo bolla come scrittore di intrattenimento, ricco di introiti ma povero di idee, un rozzo e approssimativo imprenditore della fantasia che ha tanto da scrivere e poco da dire. In parte è un giudizio se non corretto almeno sensato; la vasta produzione di Verne è fatta in gran parte di opere scritte per contratto, la cui unica ispirazione è la routine. Ma vi è dell'altro nel mondo velocissimo e straordinario di Jules, che va dalla Luna fin nel cuore degli abissi.

"20.000 Leghe Sotto I Mari" è forse il suo romanzo più famoso. Scritto nel 1868, narra una storia dolente e profonda come l'Oceano, una storia di vendetta e annientamento. Il suo protagonista indiscusso non è il mare, ma il suo re, Nemo, isolato nel suo imbattibile castello d'acciaio, circondato dai suoi libri come Jules lo era nello studio di casa sua, capsula inaccessibile dove lo scrittore creava i suoi mostri e i suoi prodigi. Il libro inizia con una caccia, con una rivolta contro una natura che si crede capace di sfidare l'umanità e affondarne i bastimenti più poderosi; ma la bellicosità e la rabbia degli uomini di terra crolla sotto lo sperone del Nautilus, il miracolo tecnologico di Nemo, il suo pugno di ferro e la sua prigione. Nemo e il suo sottomarino sono tra le invenzioni più epocali della fantasia umana; Nemo è nessuno, è l'uomo delle acque. E questa sua natura paradossale lo compenetra: è lui stesso un paradosso, lacerato e scisso tra due mondi. Da una parte lo scienziato, l'ingegnere, il genio, colui in grado di scoprire i segreti più intimi dell'abisso, l'Ulisse (il Nessuno) assetato di conoscenza e di spregiudicata curiosità. Dall'altra il vendicatore, il cacciatore indomito, l'Ahab torturato dal rimpianto e dall'odio, la cui Moby Dick ha i colori della Union Jack, dell'impero che gli ha tolto amore, patria e figli. Nemo ha così colpito l'immaginario collettivo perché, lungi dall'essere "nessuno", egli è l'uomo stesso, colto nella sua più tragica e favolosa grandezza (Verne parla di «odio mostruoso o sublime»), l'uomo che ama il mondo, lo rispetta, lo vuole scoprire, ma che lo vuole anche dominare (si pensi all'episodio del massacro dei capodogli), piegarlo ai suoi voleri, purgarlo dai suoi mali, tutto tramite il Nautilus. E' in perenne tensione tra freddezza scientifica e livore infuocato, sfugge le tempeste dei mari immergendosi sotto gli elementi in battaglia, ma i suoi tormenti non affogano mai.

Jules era ossessionato dalle isole deserte, dalla lontananza dalla civiltà che tanto lo affascinava e lo cullava. E Nemo è forse il più isolato e totale dei suoi personaggi. Il mondo andava stretto a Jules, che si riversava così nel suo eroe, percorreva inarrestabile insieme a lui gli oceani della fantasia, nella sontuosa solitudine del suo salone sottomarino. Però il capitano è ancora, e dopotutto, un essere umano. Non ha la pelle d'acciaio del Nautilus, non ha il suo cuore dinamico spinto dalla liquida potenza dell'energia elettrica. E cede. L'odio vince, e lo fagocita. Non può essere altrimenti, perché odiare e vivere per odiare, che si tratti di un idea, un nome, un Paese, rende come dei parassiti, un sottoprodotto del nostro nemico nel quale e per il quale viviamo, e contro il quale l'identità si annulla. Nemo sarà schiantato da questo sentimento, e porterà lui, la sua fedelissima e muta ciurma e il suo formidabile battello alla sepoltura nei gorghi della Norvegia. Non morirà, né muore il Nautilus suo figlio, protagonisti entrambi de L'Isola Misteriosa, che li vedrà entrambi vecchi, stanchi di odiare, finalmente pronti a aiutare gli uomini e a riposare in pace.

Dal punto di vista letterario "20000 Leghe Sotto I Mari" è un romanzo agilissimo sebbene appesantito dalla miriade di descrizioni naturalistiche che possono alla lunga distrarre il lettore non specializzato. La potenza evocativa delle descrizioni, la freschezza dei dialoghi, che Jules eredita direttamente dalla sua esperienza teatrale, e soprattutto il clima opprimente, grigio e teso della parte finale sono solo esempi del suo stile asciutto e coinvolgente, preciso ma intenso, che forse merita una rivalutazione. Jules Verne è un personaggio curioso e bizzarro, che ha vissuto di successi ma che ha anche sempre avuto bisogno di fuggire. Si impegnava con precisione maniacale nella stesura dei suoi libri, ed era aggiornatissimo sulla ultime trovate tecnologiche e costruzioni navali. Per esempio, il design del Nautilus richiama quello della corazzata unionista Monitor, protagonista nel 1862 di un selvaggio duello navale ad Hampton Roads; allo stesso modo, se osserviamo il sottomarino francese Gymnote, del 1888, non vedremo altro che una realizzazione pratica del battello di Verne.

Forse Jules non ha allargato il suo mondo, e nemmeno lo ha cambiato, anche se ci ha provato per tutta la vita. Ma è stato il precursore e il narratore, ottimista e positivo, di quello che è la nostra complessa e contorta condizione. Se i suoi scritti ci affascinano ancora, se il capitano Nemo naviga ancora a bordo del suo Nautilus, forse è perché noi, come lui, abbiamo ancora qualcosa da scoprire, e non siamo che minuscoli testimoni della nostra realtà.

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