Certa musica parla un linguaggio strano, senza significanti ben definiti e con referenti che è il nostro inconscio a stabilire; certa musica solletica il cervello, lo punta verso una direzione che non possiamo nemmeno identificare, lo tuffa in una vertigine che, ben lungi dall'essere caotica, è in realtà una costruzione architettata al millimetro. Qualcosa che ci arricchisce.

"We'll Talk About It Later" è un esempio di quella certa musica. Musica per i neuroni. Un album che l'ensemble riunito intorno a Carr registra in una manciata di giorni sotto l'influsso della vittoria al Festival Jazz di Montreaux. In quell'occasione i Nucleus avevano suonato un set di venti minuti trascinato da vari temi tutti diversi e concatenati, qualcosa che già era nelle loro corde già dal disco di esordio. E infatti nel loro secondo lavoro (presentato da un'altra bellissima cover, stavolta targata Roger Dean) le composizioni si dilatano, assumono una dinamicità e una spinta nuova e del tutto inaspettata, molto più colorata rispetto alla sobrietà e ai toni dimessi di "Elastic Rock". Cosa più importante, i nostri qui sono una vera band, un gruppo solido (e purtroppo effimero) che ruota soprattutto intorno al pirotecnico asse Jenkins - Spedding. Prendiamo "Song For The Bearded Lady": un inizio che già mette le sinapsi sull'attenti, un pezzo unico, partorito dall'oboista ma partecipato da tutti con un'energia quasi estatica. E' trascinante, riflessivo, metodico, vivo in tutto e per tutto.

La caratteristica di "We'll Talk" è proprio questa sua vitalità cangiante, cerebrale eppure diretta, complessa eppure perfettamente equilibrata: in questo senso i solismi non sono mai fine a sé stessi, ma sono cullati, motivati, come nella solidissima "Sun Child", guidata dall'oboe, che tra l'altro fa emergere la polipesca e raffinata abilità di John Marshall, uno che dietro alle pelli fa quello che vuole. A conferma del fatto che nella categoria del jazz-rock i Nucleus ci stanno proprio stretti c'è il tocco esotico e delicato di "Lullaby For a Lonely Child" : retto dai fiati di Carr e Brian Smith, ciò che lo caratterizza maggiormente è però il sorprendente bouzouki (una specie di banjo alla greca) suonato da Spedding, che ci accarezza la coscienza con ficcante gentilezza. E poi ancora energia pulsante nelle title track, dove in prima linea è ancora Spedding, che non ha l'esplosività tecnica di Allan Holdsworth ma ha un gusto per le cesellature e le finezza ritmiche che ci fa crollare in ginocchio inebriati. I poderosi botta e risposta tra lui e Jenkins cementati da Marshall sono vera manna per le orecchie e per ciò che ci sta in mezzo, e manna sono gli sperimentalismi ritmici e atmosferici di "Oasis", quasi dieci minuti di racconto mentale, ipnosi in cui il suono rotondo della tromba si incrocia con lo strillo dell'oboe. Ma abbiamo anche la freschezza, l'agilità e l'apparente cialtroneria di "Ballad Of Joe Pimp", uno dei pochissimi brani cantati della band, sbalorditivo omaggio e "giù il cappello" per il baffo Frank e il suo pappone di "Hot Rats". Credo che la voce sia di Spedding (già cantante su "Mantle Piece" del progetto Battered Ornaments) che si esibisce anche in "controcanti" con chitarre sovraincise  e wah-wah.

Il finale è corale, figlio maggiore di "Battle of Boogaloo", rutilante e poderoso. "Easter 1916", ispirata ai moti irlandesi di quell'anno, è una vera e propria maratona, e come tale ha la sua vita e la sua progressione: tutti in pista al via, lanciati in un'improvvisazione all'inizio guidata, poi sciolta e fiammante, c'è anche una voce roca e particolare che diviene strumento essa stessa. Poi pian piano si delineano le posizioni, e gli strumenti scivolano lontano; prima lascia la voce, poi la chitarra, il basso, alla fine i duellanti rimangono in due, sax e batteria, a rincorrersi, cercarsi, sfidarsi ed evitarsi. La spunta Marshall, suo il proscenio, quaranta secondi di lucida foga batteristica, rullata e stop.

Questo liquido sonoro è linfa per i cervelli attenti; un disco unico che si riscopre, e vi riscopre, ogni volta. Non posso garantire i miracoli, ma il suo ascolto può essere anche capace di cambiarvi una giornata. In cosa non so dirlo, ma di sicuro in meglio.

Grazie, Ian, e buona notte (25 febbraio 2009).

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