In questi giorni in cui si spracano i commenti (positivi e negativi) su Roberto Benigni riguardo alla sua partecipazione al Festival di Sanremo, torna alla mente il regista di medio-alto rango che si era affermato in Italia prima del 1998, prima che "La vita è bella" ne consacrasse il genio a livello mondiale per chi non aveva saputo approfittare di film come "Taxisti di notte" e "Il figlio della Pantera Rosa" (entrambe produzioni U.S.A.).

E' un Benigni molto più casereccio e ridimensionato quello de "Il mostro", successone ai botteghini nel 1994/95, a guardalo oggi sembra un ragazzino acerbo rispetto al colosso che se ne è voluto fare negli anni a seguire, un po' per meriti (ne ha davvero tanti), un po' per orgoglio nazionale. In questo film Roberto Benigni interpreta Loris, un nullafacente e disadattato sociale che vive da solo e tira avanti come può con piccoli furti ed abili trovate che gli consentono di mantenere un'abitazione a discapito dell'amministratore del condominio (Jean Claude Brialy), che tanto godrebbe nel vederlo sfrattato. L'unica persona con cui talvolta si confida è Pascucci (Ivano Marescotti), un conoscente che di tanto in tanto gli rimedia qualche lavoretto e al quale in realtà poco importa del malcapitato Loris. Nel frattempo, la polizia indaga su un serial killer che dissemina terrore in città violentando ed uccidendo donne da diversi anni e caso vuole che per una serie di sfortunati eventi proprio Loris si troverà ad essere il principale indiziato di questa serie di crimini, così che gli verrà messa alle costole l'agente Jessica Rossetti (Nicoletta Braschi) per cercare di indurlo in tentazione e coglierlo con le mani nel sacco (o meglio, "nella marmellata").

Così come il precedente "Johnny Stecchino", questo film si basa su quel meccanismo base della commedia che consiste nello scambio di persona, da cui scaturiscono una serie di episodi che faranno comparire lo sfortunato protagonista sempre più nell'elenco degli indiziati. Benigni qui è costantemente a ritmo, le trovate comiche si susseguono in modo incalzante senza dare allo spettatore la possibilità di rifiatare nè allo stesso tempo di ricredersi circa l'equivoco di cui Loris si è trovato vittima fin dal principio; sono memorabili alcune gag fra cui la camminata accovacciata, i discorsi sull'inflazione per distrarsi dalle provocazioni di Jessica o gli stratagemmi ideati dal protagonista per allontanare gli inquilini che vogliono prendere possesso del suo appartamento. Benigni tuttavia fa andare a braccetto, come al solito, la comicità con l'analisi sociale e in particolare qui, oltre all'opzionale collegamento con il mostro di Firenze, viene affrontato il tema del diverso, dello sfigato, di quella figura rifiutata dalla società solo perchè non conforme agli schemi da essa imposti: Loris è sì un mostro, ma visto in quanto tale da chi aderisce alle regole di comportamento preimpostate, da chi dice sempre "sissignore", da chi segue bovinamente la maggioranza. Chi si allontana dalla linea guida tracciata dalla società diventa automaticamente un rifiuto deriso ed allontanato. Una piccola commedia dell'orrore, in cui l'istrionico Benigni dimostra di sapere perfettamente come non oltrepassare mai quel limite oltre il quale si cade nel retorico e nel banale; qui non c'è nulla di veramente nuovo ma si ride lo stesso, e tanto.

Dopo "Il mostro" verrà "La vita è bella" e Roberto Benigni diraderà sempre di più la propria produzione cinematografica, consapevole di essere ormai arrivato all'apice della propria esperienza ed espressione in questo ambito. Un Benigni ormai lontano, che desta molti meno malumori di quello attuale. Ad ogni modo, stando all'attualità, mi schiero dalla parte di chi ne ha apprezzato l'intervento a Sanremo.

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