Una rassicurante e mellifua chitarra acustica accompagnata da un motivetto di un organo apre “Un pasto al giorno” prima che arrivi una fragorosa esplosione sonora...

Sembra l'alba di un nuovo disco post-rock e invece sono italiani, non suonano post-rock e si chiamano Fast Animals And Slow Kids (il monicker trae ispirazione dai Griffin) e arrivano da Perugia.

Il progetto nasce del 2007 dall'incontro di quattro giovanissimi ragazzi Aimone, Alessandro, Alessio e Jacopo che dopo un primo ep “Questo è un cioccolattino” esordiscono sulla lunga distanza nel 2011 sotto l'ala protettrice di Appino e Giulio Favero (Il Teatro Degli Orrori) con “Cavalli” per la Iceforeveryone di proprietà proprio degli Zen Circus.
Con “Hybris” (per significato, spiegazione e lezione di greco vi rimando altrove) la band decide di recidere il cordone ombelicale dai propri numi tutelari e di fare da sé registrando tutto nella casa di vacanze dalla famiglia Aimone facendosi dare una mano da Andrea Marmorini chitarrista dei La Quiete e facendo uscire il disco per la Woodwoorm records.

Come suona “Hybris”? La loro ricetta sintetizzandola brutalmente potrebbe essere descritta in maniera stravagante come progressiverockpostpunkmelodico.
Trovo fuori luogo gli accostamenti fatti da qualcuno con i Fine Before You Came con cui davvero non hanno niente in comune se non il fatto che “Hybris” è stato reso disponibile anche in free download, e se non insensati un po' depistanti sono quelli con i Ministri, con cui i perugini hanno fatto da spalla in alcune date durante il loro tour, ma essendo quest'ultimi molto più canonici e attaccati ad una formula più classica di rock. E allora se proprio tirare fuori il nome di una band italiana diciamo Gazebo Penguins.

Qui invece ci sono forti dosi punk rock melodico di quello genuino, ma ci sono anche molte chitarre belle grosse, violini, trombe, organi, che sembra un orgia festante a dispetto dei testi molto in linea con i tempi e mica tanto felici specchio della nostra generazione figlia di instabilità, dubbi e domande e poche certezze: “le speranze a vent'anni essere fermi ma sentirsi distanti le speranze a vent'anni dico: ti chiudono gli occhi ma tu pensi ai tramonti” (“Farse”).

Credo di non aver sentito facilmente così tanti stop & go e cambi di scenario all'interno delle singole canzoni che hanno spesso un andamento tutto particolare e poco incline alla forma.

Un disco sentito scritto con l'esuberanza e la freschezza di ventenni per ventenni e non solo, all'apparenza semplice e orecchiabile ma che dimostra a tratti una classe e idee da fare invidia.

Tre titoli? “Un pasto al giorno” - “A cosa ci serve” (l'inno) - “Troia” (il crescendo finale da sing-along da applausi).

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