"Mi fermai presso la riva e mi strappai dalla pelle alcune grosse lumache grigie. Rimasi impressionato dal modo in cui il loro grande piede ruvido mi rimaneva tenacemente attaccato. Nel mollare la presa producevano un dolce schiocco. Sarà così un bacio?"

Prima di iniziare, mi sono chiesto cosa sarebbe giusto fare in un caso simile. Di fronte ad un'opera così autosufficiente, che pulsa del proprio sangue, che odora di morto e che al tempo stesso è così meravigliosamente distante dal genuflettersi all'artista che l'ha creata, così meravigliosamente "opera". Sarebbe stato giusto, nei confronti dell'opera, cercare di fare considerazioni razionali? Verificare quanto sia di stampo naturalista? Magari cercando con goffo cinismo quanto queste - all'incirca quattrocento - pagine debbano qualcosa al concetto di grande "gotico sudista"?... ovviamente no, sarebbe un'orribile, mediocre mancanza di gusto nei confronti del romanzo su cui mi accingo a riflettere.

Ricordo di una scrittrice che sosteneva che qualora si volesse scrivere un romanzo in prima persona, bisognava prima d'ogni cosa accertarsi che il raccontatore sia un personaggio irresistibile...

Disturbante, pornografico, naturalista, sentimentale.

Tutto è così terribilmente veemente, stupido ed ostinato nel tragitto. Ogni cosa, nella più meticolosa e disperata descrizione trasuda di sangue e cattiveria. Un uomo è iniziato alla vita. E' una larva, gli occhi neanche gli si aprono, il fiato è ovattato da uno spesso strato di gelatina, perde ciò che ama senza neanche conoscerlo. Da quel momento incomincia senza accorgersene a morire. Una volta che incomincia ad indossare i pantaloni e a camminare facendo conto su se stesso, inevitabilmente si scontra in un viale di smorfie e sputi - stupri e colluttazioni - spreco e mancanza di entusiasmo - malformazione; non riesce a trovare spiegazione alcuna di questo fatto. Si guarda il corpo e vede il tappeto raggrinzito della sua pelle lattiginosa. Vede poi le dune delle sue ossa sotto il suo malato manto cutaneo, la catena cadaverica delle sue costole - capisce che la gente è cattiva. Gli occhi cominciano a bruciargli e avverte in lontananza il richiamo del sangue - vogliono il suo sangue. Inciampa, viene violato, comincia ad odore di scarti, merda e piscio, ha ferite ogni dove. Il suo corpo cresce deforme, perde interesse nella pratica di accapigliarsi del perché ci sia tanto odio verso di lui e diventa il martire della folta ed implacabile collettività che lo disgusta.

Mentre affonda nella melma in cui lamenta al cielo le sue nenie disperate, Euchrid ci trasporta nell'allucinato viaggio della sua vita. Quando comincerete a leggere queste pagine, sarà più che probabile che la maggior parte dei lettori si metterà le mani fra i capelli incapace di concepire la crudeltà di cui è pervaso l'intero plot. Si rimane inorriditi per quanto non ci sia speranza alcuna nei volti degli abitanti della valle di Ukulore e per quanto ostinatamente le loro vite sembrino rotare senza alcun risentimento intorno all'inumanità. Una madre alcolizzata e violenta; un padre che fabbrica trappole e tagliole orrende per cani selvaggi con l'intento poi di buttarli ancora vivi in una cisterna per poi infine vederli scannarsi a vicenda; una comunità divisa in selvaggi picchiatori, stupratori, lordi, ipocriti, deformi, timorati di Dio; una divina prostituta; animali innocenti; escrementi; paura; pietà mancata; orge; cattedrali; l'asino.

Ed infine l'angelo (Beth), così improvviso, così candido e protetto dalla stessa crudeltà che odia. La pietà, l'amore per il martire della valle (Euchrid). Devo riprendermi, scusatemi.
Il problema è che è dannatamente difficile cercare un modo per spiegare razionalmente il tutto. Si, si potrà convenire sul fatto che ogni qualvolta che incontrerete un lasso fugace, raro, di grazia, questo sarà destinato a morire poco dopo, per farvi di nuovo sprofondare nella lordura e nell'infinita crudeltà che avvolge l'intera storia di Euchrid. Se non altro è struggente cercare di intravedere nella storia i riferimenti biblici che la costellano. Attraverso citazioni sacre ci si ritroverà inevitabilmente di fronte alla storia di un martire deforme, di un angelo disperato e di una comunità distante oltre l'immaginabile da tutto ciò che sia umanità e pietà. Ogni capitolo, ogni parte del libro, ha una voce propria e racconta di un abominio in costante evoluzione, descrivendo aneddoti trucidi oltre la sopportazione attraverso gli occhi affaticati di Euchrid bambino - inerme, Euchrid ragazzo - iniziato al dramma, Euchrid adulto - deforme.

Quando poi tutto sfocerà in un finale tragico quanto sanguinolento, ci si accorgerà di quanto sia munita di identità propria l'intera parabola. "E l'asina vide l'angelo" si vive per il sangue che pulsa attraverso le pagine che lo compongono, senza avvertire mai il bisogno di sprecarsi in ridondanti odi nei confronti dell'enorme autore che le ha stese, immedesimandosi come non mai nel personaggio di Euchrid che racconta gli orribili fatti a cui va incontro in ogni episodio, respirando l'odore malsano della valle, l'angoscia ed il presentimento di morte ogni qualvolta il viso di un abitante apparirà come una sagoma deforme attraverso i canneti, commuovendosi dolorosamente per il sogno di redenzione ed il disperato amore di un abietto per la vita.

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