Coldwave.

L'ondata fredda. La doccia ghiacciata. Il gelo.

Quando vi capita (ma certo vi sarà già capitato) di leggere frasi della serie: "il ritmo gelido del synth-pop anni '80", "pulsazioni artificiali", "freddo battito elettronico"... bene, in quel momento tenete conto del fatto che POCHE cose di quegli anni coincidono ESATTAMENTE con tutte quelle definizioni. E fra quelle poche cose c'è un filone dell'alternativismo francese che a ragione - inevitabile anglofilia a parte - va considerato qualcosa a sé. Alla NEW Wave (a certa, almeno) si è portati d'istinto ad associare la freddezza, il buio, l'oscurità. Creature come il Robert Smith di "Faith" e "Pornography", Peter Murphy, Siouxsie Sioux, Andrew Eldritch, quando le immaginiamo, non le immaginiamo MAI alla luce del sole. Ma sempre dentro il cono d'ombra di una notte che non conosce alba. Simon Reynolds parlò di "Coldwave" nel far riferimento a un disco come "The Scream", Ma sempre lui, il buon vecchio Simon, ebbe a dire che il post-punk d'oltralpe fu fatto per lo più da "musicisti più vicini a Jean Michel Jarre che agli Human League".

Ne siamo proprio sicuri?

Nancy, nei primi anni '80, doveva essere una sorta di piccola Sheffield. O almeno, così ce la possiamo immaginare - a legger la vicenda di Spatsz e Mona Soyoc. Alle chitarre si preferivano le tastiere, a formazioni più classiche di 4/5 elementi si preferivano anche soluzioni a due, quanto alla batteria... che farsene, della batteria? Se ne poteva fare a meno. I KaS Product (maiuscola, la ESSE) sono figli del minimalismo e di quell'elettronica che, sulla scia dei patriarchi Suicide, doveva annunciare la morte del rock. Sparargli alla tempia il colpo di grazia. Ma lo spirito del punk c'è, dentro la musica dei Product. Eccome, se c'è. Solo, è ibernato. Come se le chitarre si fossero rialzate da sotto le macerie di un disastro nucleare, e per effetto delle radiazioni avessero preso le sembianze di altri suoni.

Nell'elettro-dance agghiacciante e alienata dei KaS Product dei primi due LP (non gli unici, ma i successivi concederanno qualcosa in più all'arrangiamento) si sentono Alan Vega, i D.A.F., i Cocteau Twins, ma sotto il rumore della "macchina" si percepisce anche un approccio jazz - retaggio dei precedenti trascorsi della Soyoc - che non può essere ignorato. Mona è un'improvvisatrice della voce. Una che dal vivo è anche capace d'avventurarsi a cappella sulle scale, senza bisogno della melodia. Le basi le compone Spatsz, ma le evoluzioni vocali le disegna lei. E' una jazzista sotto ogni aspetto. RAGIONA da jazzista. Ma al "mood" della vocalist, a quell'attitudine che non disdegna di farsi cabarettistica a tratti, o d'incontrare l'universo della "spoken word", la Soyoc sposa il delirio e la libertà fuori-controllo della punk-rocker. La spregiudicatezza, l'esagerazione, il gusto di flirtare col torbido e di farsi regina di un mondo perverso fatto di sola notte e illuminato da poche insegne al neon. Non è il reame gotico di Siouxsie, con la sua mitologia dark e le sue bambole voodoo, ma una galassia urbana de-umanizzata e senza coordinate. In bianco e nero (andatevi a guardare il video di "Never Come Back" - manifesto totale di questa realtà). Artificiale, appunto, come i suoni che le fanno da colonna sonora.

Un mondo in cui c'è la luna, sì - ma è riflessa in un rigagnolo d'acqua sporca, come quella che vedeva uno sbronzo (solo?) Nick Cave nel primo album dei Bad Seeds.

Sin qui ho detto: "è", "ragiona", "sono"... pensate abbia perso il senno, dal momento che parlo al presente scrivendo di un disco dell'83...? No, perché i KaS Product sono ANCORA in attività, o meglio sono ricomparsi a sorpresa pochi anni or sono... senza lasciare nuove tracce discografiche, ma anche senza cambiare d'una virgola il sound per cui mi piace ricordarli. E Mona canta ancora alla grande, pazzesco che in tutti questi anni non sembri essere cambiato niente. Il Diavolo è sempre il suo compagno preferito, come cantava in "Devil Fellow", e ancora distende la sua Voce in articolazioni grandiose. Quelle che servono per interpretare un pezzo tipo "Loony-Bin": quattro accordi di base, nient'altro. Anzi, per gli standard dei Product sono anche troppi. Ma il COME quei quattro accordi vengono lavorati, è quel che fa la differenza tra il mestiere e la classe pura.

Per quello che a mio avviso rimane il Capolavoro - "Tina Town" - di accordi ne sono bastati due. Quasi cinque minuti degli anni '80 più cupi, più orridi, più spettrali. Lo sfondo percussivo potrà oggi suonar datato, ma l'interpretazione del pezzo sprigiona una tale potenza malata da rendere secondario ogni altro discorso. Tastiere apocalittiche, atmosfere così pesantemente sintetiche da farsi sublimi. E c'è un elettro-jazz del più morboso, certo, quello che non poteva mancare e che già Iggy, a suo tempo, aveva esplorato con la epocale "Nightclubbing": "Mingled & Tangled" ne è pervasa in ogni battuta. C'è la cadenza martellante/ipnotica di "Seldom, Often" (Berlino al 100%), il punk geneticamente modificato di "T.M.T." (STRUTTURA punk, ma trattata e sintetizzata in laboratorio). E il racconto horror di una "Infatuation" da gelare il sangue.

E la chitarra...? La chitarra c'è. Si avverte, di tanto in tanto. Si fa largo a fatica fra le nebbie dei sintetizzatori. Ma alla fine di "Tape" rimane soltanto lei, e allora capisci che Mona Soyoc è anche una Chitarrista con uno stile che... non sapresti dire, se più No Wave o più Gang Of Four. Comunque: psicotico/metallico come i modelli impongono.

E io godo.

Carico i commenti... con calma