"One should strive to achieve, not sit in bitter regret": non si sono scelti un motto facile i VNV Nation, anzi, in questa frase, che volendo riecheggia un po' il celeberrimo "To strive, to seek, to find and not to yield" di Tennyson, c'è un proposito difficile, che non tutti vogliono seguire e che ancor meno hanno saputo seguire con capacità ed ispirazione. La carriera stessa di Ronan Harris e Mark Jackson è un esempio lampante di quanto sia difficile evolversi e non rimanere imprigionati nei propri cliches, ma alla fine ce l'hanno fatta: partito nel '95 con un album granitico, carico di tensione, di angst, di critica sociale, di metafore a volte controverse, seguito poi sul finire del decennio da due ottime prove come "Praise The Fallen" e soprattutto "Empires", il duo britannico ha poi attraversato un periodo di riflusso e scarsa ispirazione. Non c'è poi tanto da stupirsi, molti gruppi futurepop anche di valore (Seabound e Rotersand, tanto per fare un paio di nomi) hanno avuto o sono irrimediabilmente destinati ad una vita breve, incapaci di uscire dai limiti di un genere comunque "di nicchia" e ben codificato, nel caso dei Victory Not Vengeance l'abbandono degli aspetti più legati all'industrial, più critici e abrasivi della loro musica (in ottemperanza con il motto di cui sopra) non è stato nè facile nè indolore, dal 2002 fino al 2007 non sono riusciti a proporre di meglio che album come "Futureperfect", "Matter + Form" e "Judgement", caratterizzati da una personalità incerta, onesto mestiere e qualche sbadiglio di troppo.

Eppure alla fine la classe è tornata ad emergere, i VNV Nation sono riusciti a tornare su alti livelli e, cosa ancora più importante e difficile, a rinnovarsi completamente. La rinascita inizia nel 2009 con "Of faith, Power, And Glory", album di grande intensità emotiva, sofferto alternarsi di luci e ombre perfettamente sintetizzato dall'accoppiata conclusiva formata dalla struggente ballad "From My Hands" e l'energico desiderio di vita espresso in "Where There Is Light". C'è ancora qualcosa da sistemare, dettagli da mettere a punto, ma la strada è ormai tracciata, e con "Automatic del 2011 arriva finalmente a destinazione. Una piccola panoramica generale su suoni e parole: senza venature industriali rimane sostanzialmente un synth-pop ipervitaminizzato, a tal punto da diventare a mio avviso un vero e proprio rock senza chitarra: ci sono i "riff", i "fraseggi" e gli "assoli", li fanno i sintetizzatori ma tali restano, ci sono gli anthem da arena e i lenti, c'è la voce di Ronan Harris che non è sicuramente quella di un tipico cantante da musica elettronica. E poi i testi: sono parole molto semplici, anche un bambino potrebbe capirle senza difficoltà, sono parole schiette, sentite, con un significato molto preciso: nessuna stronzata sulla falsariga di "some day you will find me caught beneath the landslide in a champagne supernova in the sky" piuttosto che "look at the stars, how they shine for you and everything you do, yeah they where all yellow" ma sogni, desideri, emozioni, desideri, fragilità e speranze. Sentimenti universali.

"Automatic" è un disco che funziona magnificamente soprattutto "on the road", provare per credere: riempie le orecchie, carica di energia e di positività con un sound muscolare, virile, sottolineato anche dal timbro potente, caldo e "rugginoso" di Ronan Harris, ma muscoli e virilità rimangono una bella sovrastruttura, non scadono mai nel machismo, non diventano mai una maschera, una macchietta, perchè c'è anche il coraggio di esporsi a cuore aperto, soprattutto in canzoni di grande impatto emotivo e impreziosite da reminescenze orchestrali come il midtempo "Gratitude", una preghiera che trova il suo apice in un refrain memorabile ed ispiratorio, "My god, look at what we are now, without regret for all the things that we have done, thank you for all the doubts and for all the questioning, for all the loneliness and for all the suffering, for all the emptiness and the scars it left inside, it inspired me, an impetus to fight" oppure la commovente ballad "Nova (Shine A Light On Me)", grandiosa e poetica canzone d'amore, o di fede nell'amore per meglio dire. "Control" dimostra invece che questi nuovi VNV non hanno comunque perso gli artigli e la capacità di incidere con suoni più duri, un ritmo marziale e grintoso che valorizza il lavoro del beatmaker e batterista Mark Jackson risultando comunque ricca, articolata e ben integrata nel contesto dell'album.

"Space And Time" è la summa più immediata, efficace e lampante del rock senza rock di "Automatic", una splendida e trascinante cavalcata introdotta da un efficacissimo "riff" che incede spavalda e orgogliosa, esplodendo in un "assolo" in cui le trame elettroniche viaggiano veloci, sovrapponendosi ed intrecciandosi in una breve ma intensa corrente ascensionale, mentre "Streamline" è un sogno ad occhi aperti, direi anche ingenuo nella sua totale ed utopistica irrealizzabilità, però è un gran bel sogno, il sound synthphonico funziona alla perfezione, la cadenza compassata, la base ritmica minimale e accattivante e soprattutto il refrain anthemico ed impeccabilmente orchestrato sono perfetti per quella che si propone di essere una "new world symphony for the 21st century". Chiude le danze "Radio", pezzo più dilatato, più d'atmosfera, meno carico ed immediato del resto dell'album, un downtempo dall'atmosfera malinconica e rilassante che offre un ultimo e significativo esempio della poetica semplice e introspettiva che caratterizza questo album, "Have we traded too much, traded innocence for promises of greatness, left to search, left seeking out for a part of us that is no longer there. With all the prowess we possess, exchanged the greatest of ourselves for isolation, gladly we smile and carry on, unaware of the solitude we hide inside".

Ed è stata vera gloria per i Victory Not Vengeance che, sulle ali dell'entusiasmo, sono riusciti a bissare nel 2013 con un simile ma altrettanto bello, intenso ed ispirato "Transnational". Non so, in altri momenti forse la mia valutazione non sarebbe andata oltre le quattro stelle, oggi come oggi non vedo alcun motivo per negargli il massimo, e allora che 5 sia, e onore a questi due bucanieri ormai di mezza età, in bilico tra Metropolis, motori rombanti e un cuore tenero. Avercene di artisti così...

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