‘Heavy Metal Be-Bop’ (1978), un disco dal vivo della premiata ditta Brecker Brothers, è uno dei vertici dei generi funky fusion e jazz rock, dal quale ultimo si discosta solo per una minore esasperazione delle parti strumentali (nonostante l’elevatissimo livello di virtuosismo) a tutto vantaggio della cantabilità complessiva dei brani, comunque sempre molto strutturati e armonizzati in chiave jazz. Riferimenti appropriati sono certamente Billy Cobham e Stanley Clarke, ma anche le tessiture strumentali delle migliori canzoni di Steely Dan e Gino Vannelli (ad esempio ‘Brother To Brother’) ed anche quel certo ultrarock zappiano che nella seconda metà degli anni Settanta rappresentò un’ulteriore spostamento del limite delle contaminazioni jazz. E certo, se il crossover tra jazz e – almeno inizialmente – musica nera aveva fruttato capolavori come ‘Gratitude’ degli EWF e produrrà poi notevoli esempi di fusion come il bellissimo live ‘Access All Areas’ (Spyro Gyra), la chiave stilistica era sempre stata principalmente il funky, così come era stato il funky ad ispirare a Miles Davis quel groove inedito e sconcertante che appartenne dapprima a ‘Bitches Brew’ e poi a ‘On The Corner’ (con tanto di sitar!) e vide uno dei propri capolavori nel meraviglioso ‘Sextant’ di Herbie Hancock. Zappa riesce invece ad inglobare rock (anche piuttosto heavy) e bizzarrie di musica contemporanea in una formula strumentale che sembra assomigliare molto all’ideale di musica assoluta e finirà per influenzare generazioni di musicisti.

I fratelli Michael e Randy Brecker, sassofono e trombone, si sono sempre mantenuti nell’ambito di un crossover molto equilibrato (avendo lavorato con Steely Dan, Casiopea, Parliament), ben assestato sul funk ma piuttosto spostato sul genere jazz rock vero e proprio, in virtù di una cifra strumentale sempre molto tecnica e tuttavia molto trascinante e fruibile. L’apprezzatissimo contributo al capolavoro ‘The Purple Lagoon’ di Frank Zappa (live 1976, da ‘Zappa in New York’: un assolo eccezionale poco prima della metà del lungo brano) sembra aver influenzato molto i concerti, sempre newyorchesi, registrati per questo ‘Heavy Metal Be-Bop’. Sicuramente i due bandleaders imparano da Zappa il gusto per l’effetto ardito e la contaminazione assoluta degli stili, oltre a fregargli il batterista (l'ottimo Terry Bozzio), e rompono ogni indugio in questi sei brani (il primo è in studio) evitando accuratamente di restare nell’ambito del mainstream e spingendo nettamente sul pedale degli assoli e dell’impeto tipicamente rock.

Ci sono poche tastiere “attive” in questo disco, dal momento che i due passano i fiati nel sintetizzatore e Barry Finnerty usa molto il Guitar Organizer. Non c’era ancora la tecnologia MIDI, ovviamente, ma questo è uno dei primi esempi compiuti, dal vivo ed in maniera così soddisfacente, di wind-driven synth (sperimentato già con Zappa) e l’effetto è notevolissimo soprattutto se applicato alle tremende capacità strumentali dei due fratelli.

Come ho detto, il primo brano (‘East River’, un piccolo successo su 45 giri) è un assaggino lanciato di studio, funky rock con tanto di handclaps, pezzo già notevole ma che non lascia presagire molto lo sfracello che sta per arrivare. Il seguente ‘Inside Out’, oltre nove minuti, fa infatti riferimento proprio a quella ‘Purple Lagoon’ che deve aver influenzato non poco i Breckers, strapiena com’è di assoli e di rock (ma il funky resta in sella per tutto il disco). Il resto dell’album è allo stesso entusiasmante livello, con la menzione obbligata di ‘Some Skunk Funk’ per come può sembrare accostabile all’estro stilistico e compositivo di Billy Cobham. Una band ai massimi livelli ed un percepibile livello di coinvolgimento e divertimento, non sempre rinvenibile in ambito fusion, aiutano a rendere pienamente l’atmosfera live di concerti che non debbono certo essere risultati riunioni intellettuali di jazzisti col naso arricciato, ma rituali rock tra gente sudata ed entusiasta.

Non è dato capire perché i Brecker Brothers siano assolutamente idolatrati tra gli addetti ai lavori (si faceva la fila per averli ospiti sugli album) ma sostanzialmente sconosciuti al grande pubblico, se paragonati a Return To Forever, Weather Report, Billy Cobham, Stanley Clarke, Al di Meola ed altri alfieri del jazz rock. Questo disco in particolare, che non tutti magari conoscono (nessuna ristampa in vinile successiva al ’78, dopo di che tre stampe in CD di cui una praticamente pirata) rappresenta un capolavoro assoluto del genere, oltretutto abbastanza attento anche al tipico ascolto funky rock molto apprezzato negli States in quel periodo, ma non ha avuto la notorietà che merita e resta un piccolo segreto tra appassionati che mi è parso il caso di condividere a maggior gloria dei Brecker Brothers e della buona musica.

Michael Brecker è scomparso nel 2007, e la critica musicale non ha esitato a porlo tra i maggiori sassofonisti di ogni tempo.

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