Le bizzarrie synth-new wave di "No Borders Here"? Le pregiatissime architetture pop di "The Walking"? No, qui non c'è proprio nulla di tutto ciò; "Calling All Angels" e "Love Is Everything" poi dimenticatele proprio, per non parlare di quella ciofega di "Temple" (paradossale che la sua canzone di gran lunga più brutta e priva di sostanza sia forse la più conosciuta dal grande pubblico). Ah Jane, che artista la mia Jane, sempre piena di sorprese, sempre inafferrabile, in continua evoluzione e sperimentazione, nel bene e nel male. Questo è il suo punto di partenza; canzoni semplicissime, chitarra acustica, piano e qualche timido sintetizzatore, stile pop/folkie pulito, leggero, acqua e sapone. Nel 1981 queste sonorità erano già praticamente sparite dai radar della musica di larga diffusione e, data la totale rivoluzione messa in atto dalla cantautrice canadese con il successivo "No Borders Here", verrebbe quasi spontaneo pensare a "Jane Siberry" come a un classico esordio ancora acerbo e trascurabile. Niente di più sbagliato, questo disco è una meraviglia tanto quanto lo è "The Walking", anche se in un modo completamente diverso, e di gran lunga superiore al ben più ambizioso e fortunato ma, diciamolo francamente, per larghi tratti noioso e sciapo "When I Was A Boy", a cui mancano completamente quello slancio e quella spontaneità che fanno grande "Jane Siberry".

Ai tempi, l'esordiente Jane Siberry venne definita dalla critica come una Joni Mitchell post-punk, così tanto per il gusto di etichettare; pazienza se in questo disco di post-punk non ci sia assolutamente nulla se non il periodo storico della pubblicazione, e il parallelismo con l'illustre connazionale, per quanto lusinghiero, in fondo è il solito stereotipo trito e ritrito. Una cantautrice donna, per giunta canadese, non può che essere una copia o una presunta erede di Joni, non fa una piega, vero? Di fatto, il paragone regge per quanto riguarda la qualità e l'originalità dei testi; qualche affinità elettiva c'è, ma l'approccio generale è assolutamente personale e non derivativo, "Jane Siberry" ha una levità, una leggiadria sottile, una semplicità apparentemente ingenua che la Mitchell non ha mai avuto, neanche agli esordi. Se ne avete la possibilità, fate un bel regalo a voi stessi: prendetevi un po' di tempo libero e fate una bella passeggiata in campagna o tra i boschi, con queste canzoni come sottofondo; ne uscirete più sereni, positivi, rigenerati nella mente e nello spirito. "Marco Polo" e "The Sky So Blue" lasciano nell'aria un profumo di femminilità, di spensieratezza giovanile, una freschezza contagiosa e trascinante; il cantato di Jane sembra quasi un monologo, una recita confidenziale, spontanea ma impeccabilmente istrionica, e quelle melodie spigliate, leggere e solari sono come farfalle colorate che svolazzano vivacemente nella testa dell'ascoltatore. Nonostante la semplicità delle strutture Jane Siberry dimostra già tutta la sua maturità, il suo gusto melodico impeccabile e ricercato, il suo eclettismo: le congas, i synths, l'organo che accompagna il refrain di una ballad estatica e visionaria come "The Magic Beads" sono tutti tocchi di classe che denotano una cura dei particolari e una ricerca stilistica già minuziosa, da artista completa, così come le atmosfere sognanti e dal sapore vagamente psichedelico, ultraterreno di "The Strange Well" e la malinconia agreste di una lieve ma struggente "The Mystery At Ogwen's Farm".

"This Girl I Know", con la sua brevità, qualche azzeccata sovraincisione vocale e un semplicissimo arpeggio come struttura portante crea un'atmosfera da sgangherata lullaby folk che non sarebbe affatto dispiaciuta al Donovan di "A Gift From A Flower To a Garden", mentre l'eleganza raffinata e malinconica e dai risvolti jazzy di "In The Blue Light" rimanda effettivamente alle atmosfere di "Blue", così come "Writers Are A Funny Breed", soffusa folk ballad per chitarra e voce accompagnata da cori femminili potrebbe tranquillamente stare in "Ladies Of The Canyon" (e, badate bene, ho detto che ci potrebbe tranquillamente stare, non che si ispira, è una cosa ben diversa). "Above The Treeline" è la sorpresa più grande dell'album, l'episodio che più di ogni altro rompe gli schemi: parte come un lieve affresco piano-folk, quasi ricalcando gli stilemi di "The Sky Is So Blue" con un approccio più sognate e meno sbarazzino, ma un refrain efficacissimo e straordinariamente radiofonico cambia completamente la prospettiva, anche senza interferire con le sonorità semiacustiche del pezzo; un guizzo che si rifà almeno in parte allo stile del miglior Jackson Browne che, ironia della sorte, proprio mentre questo disco veniva pubblicato era ormai intento a scavarsi la sua fossa artistica, nota anche come "Lawyers In Love".

Un'opera giovanile, sicuramente, nelle sonorità ispirate da artisti che hanno accompagnato Jane Siberry nella sua crescita tanto quanto nei testi, affreschi di emozioni personali e scorci di vita quotidiana, ma in questo caso non può che essere unicamente un pregio. Già si sente il talento non comune di una ragazza destinata a grandi cose. Anche se esordiente e "acerba" era in grado di eguagliare, non imitare i propri modelli di riferimento e di definire un proprio stile personale, uno stile che conquista e seduce con una semplicità disarmante. Per quanto mi riguarda, Jane sarebbe stata grande anche se si fosse fermata a questo album; sapere che è stato l'inizio di una serie di prove magistrali culminata con un capolavoro come "The Walking" lo rende ancora più speciale.

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