Cosa è "Difference of Potential"? È un disco della Madonna, con la M maiuscola e tutte le aureole del caso. Certe cose è bene metterle in chiaro fin da subito, non ci sono alternative o descrizioni certosine che potrebbero reggere. La macchina del tempo spinge il suo orologio fino a 13 anni fa quando nel 2002 viene scoccata questa freccia avvelenata che, a dire il vero, si era già messa in moto quattro anni prima. L'arciere si chiama Funeral Diner e c'è proprio da prostrarvi sui ceci o i carboni ardenti se nei vostri ascolti figura la parolina magica skramz e non avete mai degnato di un ascolto questi ragazzi provenienti dalla ridente cittadina della San Mateo County, Half-Moon Bay, undici mila abitanti sulla costa californiana, una bella manciata di miglia a sud di San Francisco, in cui fra irti faraglioni e la brezza del Pacifico si crea l'ambiente perfetto per far sì che nel '98 si plasmi con così irruenza tale caos emozionale.

Il lavoro dei Funeral Diner è questione di secondi, ma non perché gli ingranaggi s'innestano fulminei e sregolati nel loro martellare, bensì in quanto ci si impiega pochissimo per realizzare che ogni traccia presente qui dentro sia una perla destinata a rimanere incastonata sui fondali dello screamo. Per dirla in modo molto più semplice: pietra miliare. Contraddistinti da un animo nero come la pece, un pessimismo cronico e imperante che porta su strade maledette, dove come passatempo si può mostrare ai bambini il futuro da far schifo, instillandogli nella mente incubi perenni e cicliche ansie che tengon svegli la notte, i Funeral Diner son consci (eccome se lo sono) dei propri mezzi. Tranquilli, non sono in trip allucinogeno, è semplicemente una rilettura di "Paper" che apre al palcoscenico soffocante degli otto minuti di catarsi aka "Fire..Deth" in cui tanti, tanti, tanti, ma tanti di quei gruppi nel 2015 cercano d'identificarsi e replicare, con una personalità tendente a quella del fax che posso trovar giù lungo la strada da FedEx. Nelle composizioni di "Difference of Potential" si secerne il segreto che tanto segreto non è, ovverosia quello di essere dei capostipiti di una scena musicale che ha fatto e continuerà a fare scuola, al di là del suolo americano. L'ansia stritolante ferocemente costruisce passo doppo passo un wall of sound in cui le chitarre alzano costantemente il loro gain, sperando di nascondere paure e fragilità. Non rimane che assistere impotenti all'esibizione di decadenza e chorus spettrali, dove con acredine si erge follemente un cupo graffiato. Quando inizia a risuonare l'arpeggio di "Syncope" non c'è nulla di emozionale, o meglio sì, c'è un'implosione fragorosa. I sussulti e le tentennanti melodie bruciano e consumano, riducono tutto in briciole. D'altronde lo dicono loro stessi di non voler provar più alcuna passione. Zero al quoto. Allegria, direbbe il buon Mike (RIP).

La chirurgia con cui i californiani operano è magnetica. Precisa e assassina al tempo stesso, regalano aperture versi lidi post, ma la cosa bella è che non c'è nessun clichè del caso come invece oggigiorno sempre più si sente. Non vi sovverrà mai il pensiero "oh, ecco, ci siamo", nossssignori, qui si viene sbattuti a terra perché i suoni sono così, mi si perdoni l'inglesismo, dannatamente RAW. Maiuscolo, perché sì, qua si urla al disastro incontrovertibile che sfugge fra i cunicoli asfissianti di una batteria che tiene l'attenzione sempre alta e un basso sinistramente sinuoso, quasi come se ci fosse sempre un costante pericolo da dover affrontare. Maschere che s'infrangono e si spezzano a terra con le colate di rabbia prima centellinata, dosata e poi rovesciata addosso in preda a una furia cieca. In "Difference of Potential" c'è atmosfera, eccome se ce ne è, di quella plumbea, che al tempo stesso vorresti non finisse mai e in questo si è davanti ad architetti abili nel tessere fitte trame che sappiano bilanciare ogni elemento della loro formula chimica. C'è il momento per tutto, i nostri non hanno fretta, nonostante il senso d'urgenza trasmesso dalla loro musica sia quantomai assillante. Nel loro universo tutto è morente e riarso, allucinato al punto giusto. La freccia vincente, tanto per ricollegarsi all'apertura, nello screamo dei Funeral Diner è data dalle strutturali cerebrali, in cui il disagio trova la sua massima espressione. Non è da tutti riuscire a condensare questa visione lirica in note musicali; è per pochi, è per loro.

Così camminando sul ciglio di una strada inzuppata dalla recente pioggia e buttando lo sguardo su questi paesini che si susseguono perdendosi a vista d'occhio in lontananza con il frastornante e ripetitivo rumore del Pacifico sulla battigia si chiude l'apocalisse personale dei Funeral Diner. L'operazione che riapre ogni ferita giunge al termine. Uno squarcio di calma si apre e fa, finalmente, distendere i nervi che eran rimasti intrappolati nella ragnatela meticolosa preparata dai nostri amici di Half Moon Bay. Non vi preoccupate comunque, nel labirinto tortuoso che è la loro discografia (fra EP, split, compilation, blablabla) ci sarà di nuovo occasione per raggiungere tali picchi vertiginosi di screamo vecchia scuola. Chiedere informazioni a Gustave Doré, Virgilio e Dante che v'aspettano lì, sulla copertina di "The Underdark", ma questa è un'altra storia.



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