I "cantautori" della nuova generazione, dal 2000 circa in poi, parliamone un po': ragazzotti bellocci, chi più e chi meno, alla chitarra o al piano, con tanto cuore e tanto sentimento da offrire. Quelli che sono riusciti ad emergere nel mainstream? Lagnosi, melensi, vuoti, una merda totale, per fortuna dopo un paio di tormentoni scassapalle tendono a sparire, James Blunt a parte, forse. Quelli più alternativi e indipendenti? Nella stragrande maggioranza dei casi idem come sopra, con in più un po' di stucchevole sofferenza (per l'ascoltatore), sterile pretenziosità e ottime referenze presso la critica in. Una pochezza desolante, ma di tanto in tanto qualcosa di buono riesco ancora a trovarlo, qualcosa di più creativo, che non mi dia la sensazione di affogare in un concentrato di melassa appiccicosa, ad esempio questo album di tale Chris Garneau. In quest'ambito ho preso troppe cantonate per non procedere con i piedi di piombo e, informandomi un po' sul suo conto, ho avuto il timore di incappare in un facsimile di Rufus Wainwright (da pseudo illuminazione tardo adolescenziale a paradigma negativo, un esempio lampante dell'estrema sopravvalutazione di questo genere di artisti); per fortuna l'ho conosciuto con il disco giusto, l'oggetto di questa recensione per l'appunto.

"El Radio" del 2009 è il secondo album di Chris Garneau e se, come logica avrebbe voluto, avessi ascoltato per primo il suo debutto, "Music For Tourists", non sarei mai venuto a conoscenza di questo gioiellino. MFT è infatti un classicissimo esempio di album infarcito di piano-ballads (che sono peggio di un'erbaccia infestante quando se ne abusa), statico, frustrante e lagnosetto, ma qui il ragazzo dimostra una crescita significativa, un'evoluzione, trova due elementi indispensabili: la creatività e l'equilibrio. E così se ne esce con un album dalle atmosfere soffuse e delicate, il piano è ancora lo strumento dominante, ma qui non si scade praticamente mai nella sterile ripetizione e nemmeno in quel mood lacrimevole che tanto mi dà sui nervi, rimpiazzato da un accattivante collage di umori ed emozioni. Arrangiamenti ricercati e non banali, belle melodie, soprattutto "Dirty Night Clowns", una marcetta deliziosa e brillante, secondo me il vertice stilistico dell'album grazie all'andamento imprevedibile e molto accattivante, che valorizza ottimamente la voce sottile ed espressiva del nostro piccolo cantautore americano. La bellezza "El Radio" sta soprattutto nel suo essere informale, confidenziale, spontaneo; ogni canzone ha qualcosa di diverso da offrire: l'atmosfera fiabesca e sottilmente ironica di "Fireflies", la classe crooneristica di "Hands On The Radio", con una melodia pianistica che non sfigurerebbe nell'ultimo album di Sir Elton John, però con un approccio più lieve e trasognato, i suoni pop-vintage, leggeri e gradevoli di "No More Pirates", "Home Town Girls" con il suo delicato crescendo dal sapore gospel, ben accompagnato da un organo. Quest'album è pieno di tunes delicati, agrodolci ma vivaci, a modo loro; atmosfere che risuonano gentilmente, ma lasciando il segno nel posto giusto, e tra questi ci metto anche due brevi e piacevolissimi episodi strumentali, "Les lucioles en Re mineur" e la ghost-track "Black Hawk Waltz". Tante dimostrazioni per una sola conclusione: Chris Garneau è un talento vero e, rimanendo su questa strada, potrà regalarmi molte altre soddisfazioni.

E poi ci sono le ballate; mai soffocanti, ben dosate, varie. L'iniziale "Leaving Song" spinge un po' troppo sul pedale della melodrammaticità per i miei gusti, però l'arrangiamento orchestrale fa decisamente una gran figura e soprattutto si tratta di un singolo episodio, che nell'insieme ci può stare tranquillamente, "Things She Said" è una dolcissima lullaby accompagnata dal mellotron, mentre "Raw And Awake", "Over And Over" e "Cats And Kids" si muovono su territori più folk; qui si raggiungono vertici emotivi di grande intensità, specialmente nella prima. C'è feeling, c'è sintonia, e il primo ad esserne sorpreso sono proprio io, una scommessa vinta, quasi inaspettatamente, e per di più il ragazzo sembra avviato su un percorso virtuoso, il terzo album, "Winter Games", anche se non bello come questo, conferma qualità importanti in fatto di gusto stilistico ed espressività. Belle canzoni, bel disco, bell'artista, una dimostrazione di come sia possibile cambiare in meglio, raggiungere traguardi importati anche se la base di partenza lascia molto a desiderare, e in questo rivedo un po' me stesso.


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