Le mie aspettative erano molto alte in merito a questo album, dal momento che da un lato ero certo di avere a che fare con una delle band emergenti più notevoli del proprio ambiente, dall'altro ero consapevole che ogni band, prima o dopo, rischia di fare un passo falso. Ma, fortunatamente, quel momento non è ancora arrivato per i Leprous.

Quando ascoltai per la prima volta il singolo The Price me ne sono innamorato follemente: una combinazione perfetta di semplicità e complessità (concetto applicabile all'intero album, volendo) pesante al punto giusto, orecchiabile e con dei ritmi irresistibili. Anche quando fu rilasciato Rewind, un secondo pezzo da The Congregation, la mia impressione fu positiva: dall'inquietante intro all'outro devastante, passando per la memorabile performance di basso e batteria... un'altro ottimo brano!

Quindi, quando ho ascoltato l'intero album per la prima volta, sapevo che probabilmente avrebbe avuto altre sorprese in serbo per le mie orecchie. Ma non potevo immaginare quanto questa supposizione fosse idonea alla conferma da parte dell'opera stessa. Oltre ai già citati pezzi, abbiamo Third Law, con i suoi assurdi pattern di batteria e una performance austera da parte di tutti. Forse il brano più freddo dell'album, ma di notevole caratura tecnica! Seguono The Flood e Triumphant, che sono semplicemente due capolavori, l'uno in coda all'altro. Il primo è una sorta di power ballad malata nel profondo, con suoni innovativi per gli standard della band, una performance vocale notevole e delle atmosfere memorabili, condite dai soliti ritmi allucinanti. La seconda è una sorta di magistrale, epica ed energica marcia, contenente alcuni dei groove più interessanti della loro intera discografia e un ritornello che non potrete togliervi dalla testa mai più. Viene ripreso, come già in The Price, qualche concetto relativo all'arrangiamento che era già stato abbozzato in brani come The Valley, dal precedente Coal. I Leprous, evidentemente, essendosi resi conto di quanto potente fosse un simile approccio, hanno deciso di svilupparne il potenziale in diversi brani di questo The Congregation, portandolo talora alle estreme conseguenze. Con Within My Fence si chiude la prima metà dell'album in un modo positivo, sia pure non perfetto, dato che si tratta forse si una delle canzoni meno convincenti dell'album, nonostante la grande performance del nuovo batterista.

La seconda parte dell'album contiene brani mediamente più complessi e più estesi, tanto che quattro di seguito non sono più brevi di sei minuti e mezzo, mentre l'ultimo pezzo torna agli standard dei quattro minuti. Red è un viaggio unico nel sound dei Leprous, fatto di groove impossibili da seguire e soluzioni non convenzionali di ogni tipo. La sua sezione strumentale è semplicemente troppa cosa perché possa pronunciarmi verbalmente. Slave ci propina subito un intro di tragicità assurda: il brano è il più oscuro del disco e in esso figura anche una delle poche (un paio in tutto) sezioni in growl dell'intero album, in cui Einar Solberg sperimenta una nuova tecnica vocale che lo porta ancora più vicino al timbro del "mentore" Ihsahn. Il ritornello del brano entra in testa all'istante e la sinergia istituita tra chitarre ad innumerevoli corde e tastiere (tipicamente malate) forma un'atmosfera degna del più malsano dei film horror, tuttavia ad esso inadatto: lo farebbe eclissare rovinosamente e senza possibilità di redenzione. Moon si nutre di un'intrigante linea di piano elettrico sostenuta da qualche mellotron e un comparto ritmico solido nella sua irregolarità. Risente forse dell'eccessiva durata in relazione all'evoluzione del pezzo stesso, che è abbastanza contenuta, ma rimane un brano da cui difficilmente riuscirete a staccarvi. Le marcissime chitarre degli ultimi minuti vi faranno riflettere. Down segna uno degli highlight della band, in generale. Il ritornello è incredibilmente orecchiabile, tanto che sentirete già il bisogno di canticchiarlo quando il pezzo nemmeno sarà terminato. Un groove notevole sostiene il brano, e la performance di batteria si rivela essere ai massimi storici, con alcuni fill che vi faranno consumare il tasto di riavvolgimento. Il brano termina con la graziosa Lower, ricca di pathos, con un'introduzione di tastiera presto devastata da un potente quanto struggente ritornello. Il commuovente arrangiamento della seconda strofa lascerà presto spazio ad un outro fatto di intrecci vocali assai emotivi, che termineranno l'album. L'edizione speciale contiene anche il brano bonus Pixel, che però non è nulla di speciale, francamente.

Insomma, The Congregation può essere certamente menzionato come una delle uscite migliori di quest'anno, e penso che sarà difficile anche stavolta che qualcuno possa spodestare i Leprous con tanta facilità. I norvegesi tornano con un album forse meno oscuro dei precedenti (nonostante la copertina lasci intendere il contrario), assai vispo e fresco, con una performance mozzafiato di tutti i membri e delle trovate che veramente lasciano spazio solo a qualche stupefatta bestemmia.

9/10

(cinque stelle, considerato il suo posizionamento nella mia top annuale)

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