A quasi trent'anni Bruce Pavitt collaboratore della rivista musicale cittadina "Rocker") e Jonathan Poneman (organizzatore di concerti e collaboratore della stazione radio KCMU) decisero - dopo meditate riflessioni riguardo ai progetti di carattere discografico, - di lasciare i loro precedenti impieghi, destinando energie fisiche e mentali (ed economiche) alla creazione di un'anomala indipendent record label che prese il nome di Sub Pop. Due parole per sei lettere che non sono altro che la contrazione di Subterranean Pop Magazine, una rivista inizialmente di nicchia che arriverà presto ad allegare compilation in cassetta.

Probabilmente senza la Sub Pop oggi non si parlerebbe di grunge e tanto meno di Soundgarden. Il primo nucleo del gruppo si forma intorno alla vivace ugola di Chris Cornell (all'occorrenza anche batterista!), al meditativo Hiro Yamammoto (basso), allo scaltro Matt Dentino (chitarra) ed al volenteroso Scott Sundquist che libererà presto il singer dal compito di drummer. Questi ultimi due (sebbene Sundquist suonerà su "Heretic" e "All Your Lies" presenti sulla storica compilation "Deep Six" del 1986) saranno presto rispettivamente rimpiazzati dal capace Kim Thayil e dal professionale e creativo Matt Cameron proveniente dagli Skin Yard.

La band ha l'immediata opportunità di provare molto ed esibirsi a livello locale, facendo così fuoriuscire una perfetta miscela sonica dove confluiscono angoscia, psichedelia e riff portentosi che prendono la dovuta distanza da suoni stereotipati e volgarmente derivativi. Le inclinazioni dei quattro fanno propendere per un suono decorosamente figlio del miglior rock britannico partorito tra la fine dei '60 e gli anni '70, inglobando un'imprescindibile attitudine punk e reminiscenze new wave.

Il primo singolo del gruppo per la Sub Pop è "Hunted Down" (giugno 1987) di cui la tiratura limitata di 500 copie va subito via, motivando con determinazione la registrazione di quello che sarà il discreto "Screaming Life" (ottobre 1987) e del successo e ancor più convincente "Fopp" (agosto 1988), anch'esso in formato extended play come il precedente.

Per "Louder Than Love" il battesimo col fuoco avviene con "Ugly Truth", introdotta dalle bacchette di Cameron che aprono ad una fresca compattezza ritmica in cui le pungenti note sferzate da Thayil, preparano una stratificata pavimentazione sonora che si rivela essere perfettamente calzante per l'impetuosa quanto equilibrata vocalità di Cornell. La caotica introduzione di "Hands All Over" lascia fluire un'apparente dissonanza di base in perfetta linea con il brano di apertura, creando un vortice sonoro dall'appeal inequivocabilmente suggestivo. L'altalenante ira di "Gun" consente alle alterazioni di coscienza di "Power Trip" di non perdere il passo, mentre "Get On The Snake" e "Full On Kevin's Mom" ugualmente corrosive, possono mostrare il lato meno impegnato del disco senza sacrificarne la qualità. E' probabilmente con "Loud Love" che Cornell (sette brani sono interamente suoi) mostra una penna regolarmente e qualitativamente prolifica, concependo un brano fluidamente heavy,lasciando all'ottenebrante incedere di "I Awake" (Yamamoto) e di "No Wrong No Right" (musicata a quattro mani con il creativo bassista) riequilibrare in favore di una maggiore ricercatezza di atmosfera. Blues e hard rock si incontrano e si fondono nella trascinante "Uncovered" preparando il terreno all'epidermica "Big Dumb Sex" che sembra beffarsi del coevo e più popolare glam metal, pretendendo così l'applicazione del Parental Advisory sticker sulla copertina del disco.

Con l'uscita del sorprendente "Ultramega OK" (novembre 1988) Cornell & Co. avevano già confermato di voler continuare l'impervia strada intrapresa agli inizi. Il passaggio alla A & M Records non destabilizza assolutamente gli equilibri interni, risultando invece un'iniezione di positività alla vena compositiva che sarà ben ottimizzata dalle sapienti mani in consolle del promettente Terry Date, successivamente anche con Pantera, Overkill e Limp Bizkit. "....Love" è un album marmoreo e spigoloso quanto basta a cui un'ulteriore levigatura artefatta, avrebbe potuto far perdere quello smalto che ancora oggi lo distingue rasentando fieramente la perfezione.

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