Lo strano caso dei Pallas… Sono una formazione storica del neo-prog, che ha tra l’altro consegnato alla storia un album considerato uno dei più importanti del filone (“The Sentinel”)… ma il pubblico progressivo a volte si dimentica di loro! Almeno, negli spazi progressivi da me frequentati noto che vengono citati abbastanza poco, quasi come se fossero una formazione di scarsa importanza, una loro imminente uscita non è mai particolarmente sentita e discussa, qualcuno confessa addirittura di non riuscire ad ascoltarli (di recente mi è capitato di nominarli proprio in occasione di quest’ultima uscita e qualcuno ha risposto con un secco “nomen omen”, quindi “pallosi di nome e di fatto”, a dimostrazione di quanto siano amati…). Perfino su YouTube a volte non si riescono a trovare diversi loro brani o altro…

Eppure posso dire che le cose migliori le hanno realizzate proprio dopo quel disco tanto acclamato (e che ha segnato praticamente l’inizio e la fine del loro status di “band di spicco”), in particolare ciò che hanno prodotto a partire dal loro ritorno sulle scene nel 1998.

“Wearewhoweare” segna addirittura una vera e propria maturità compositiva e si colloca perfino nella mia top 10 personale dei dischi usciti nel 2014! Un disco che conferma il sound rilassato ma allo stesso tempo oscuro e spigoloso che la band porta avanti dai tempi di “Beat the Drum” ma risulta più che mai ispirato a livello di suoni. Ammetto che non conosco proprio a menadito i loro dischi (come tra l’altro gran parte di ciò che ascolto), avendo un sacco di roba da ascoltare ogni volta, e che quando uscì il precedente “XXV” non gli dedicai molti ascolti, questo invece ha fatto parecchi giri nel mio lettore; un motivo forse c’è e probabilmente risiede proprio nel fatto che di soluzioni interessanti ve ne sono più che in qualsiasi altro album del gruppo. Tuttavia non si registra neanche un cambio radicale di stile e il format stilistico ricalca quello dei lavori precedenti; se vi sono piaciuti quelli andate tranquilli. Soprattutto il lavoro tastieristico fa la differenza, sempre molto vario e che non esclude anche pregevoli effetti elettronici.

Abbiamo qui 8 tracce che hanno in comune determinate caratteristiche senza tuttavia somigliarsi come gocce d’acqua. “Shadow of the Sun” si caratterizza per il suo ritmo incalzante, i suoi decisi riff di basso e chitarra e i suoi potenti innesti di synth; “New Life” colpisce per i suoi suoni cullanti; torbida, nebulosa e ricca di suoni oscuri è “Harvest Moon”, forse la migliore del lotto; “And I Wonder Why” è invece più solare, “estiva” ed orecchiabile. Su territori un po’ più hard si muove invece “Dominion” mentre “Wake Up Call” colpisce per le sue cupe linee di basso (sostenute anche da effetti elettronici), a dimostrazione di quanto esse siano un elemento piuttosto rilevante nel sound dei Pallas; “In Cold Blood” è più che mai delicata e “sonnambula”; la conclusiva “Winter Is Coming” è quella che mi entusiasma di meno ma i bei suoni non mancano.

Alla fine dell’ascolto la morale è una sola: bisogna scrollarsi dalla testa lo stereotipo secondo il quale i Pallas sono “quelli di The Sentinel”. Quello fu solo un trampolino di lancio, per quanto ottimo, ma non si può rimanere attaccati all’esemplare più noto (cosa che si fa con un sacco di band…), soprattutto quando gli altri si dimostrano perfino migliori. Anche se magari non sono una band proprio “vitale” e non saranno una delle migliori 100 di sempre penso che un’altra possibilità gliela si possa dare sempre. A chi li reputa “pallosi” consiglierei di riprovarci non guardando la durata dei loro dischi e dei loro pezzi e di ascoltarli più attentamente, magari lasciando che le atmosfere trascinino la mente in altri mondi… stavolta potreste essere ripagati.

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