Hanno preso a prestito una chiesa di Londra e ci hanno piazzato il palco e gli strumenti, ed è venuto fuori uno degli unplugged più belli di questi ultimi anni.

Magari la location era solo per vendere il dvd, ma la scelta non si è rivelata temeraria. Eppoi si, i Katatonia sono sempre stati, a modo loro, estremi. Dagli esordi black/doom metal sino all'odierna evoluzione, con la quale approdano ad un particolarissimo dark sound, che emerge ancora più originale ed innovativo con questa seconda prova in acustico - dopo l'esperimento di "Dethrorned and Unkrowned" (2013).

"Sanctitude", dato quindi alle stampe per essere prima di tutto un live da fruire con gli occhi, suona anche più definitivo e completo all'ascolto, come il fosse il loro personale "made in Japan".

La decisione della band scandinava di inserire un solo brano da "The Great Cold Distance" (2006) potrà scoraggiare i fan meno attenti, ma rivela l'intenzione di selezionare tracce che consentano l'utilizzo di nuove atmosfere, rese possibili dagli arrangiamenti acustici.

L'opener è "In The White": J. Renske comincia a recitare con le sue pallide tonalità: "are you in or are you out, words are stones in my mouth". Il suo timbro, in questo contesto, è ancora più algido del solito. Segue la splendida interpretazione di "Ambitions": ad ogni attacco delle chitarre sui ritornelli il brano si rigenera con nuova linfa creativa. Solo queste due tracce valgono il disco intero. Ed infatti, il singer svedese già saluta il pubblico e non si nasconde dietro la maschera del palco: "hello London. It's so good to be here.... I believe we're all very nervous, but I think it will work out anyway out".

Da sottolineare l'attenzione con cui sono stati ridisegnati archi e tappeti, anche in quei brani che non erano già stati oggetto di rivisitazioni nel lavoro precedente: "Teargas" è solo un esempio.

E se le keyboards hanno potuto non subire un restyling eccessivo, sono state invece messe in sordina le parti percussive – opzione indispensabile vista l'acustica di una chiesa. In "Evidence" ed in "Sleeper" la batteria è stata trasformata in jambè, così come in "Day", che perde del tutto l'originaria ispirazione rubata ai Joy Division, ma ne guadagna in originalità.

Non aggiunge nulla alla versione in studio l'aver adottato la stessa soluzione percussiva per un pezzo già semi-acustico come "Omerta".

Il risultato è, nel complesso, che non tutti i brani sono stati stravolti, circostanza che tuttavia non rischia di trasformare "Sanctitude" in un unplugged uguale a tanti altri poco ispirati. Così anche "Undo You" e la conclusiva "The One You Are Looking For" - quest'ultima in duetto con cantantessa norvegese presa a prestito dai The Gathering - ricalcano quanto già sentito nel lavoro del 2013 e si discostano solo in parte dalle orginali versioni presenti in "Dead End Kings" (2012). Negli ultimi album, infatti, i Katatonia avevano già sviluppato una nuova personalità stilistica ben definita, auspichiamo ancora perfettibile.

Anche "Idle Blood", unico pezzo da "The Night Is The New Day" (2009), può essere ascritto alla suddetta categoria di composizioni già mature, che non necessitavano quindi di essere stravolte per poter rientrare in questa scaletta.

Salutati i fratelli Norman, il nerbo dei Katatonia rimane nell'accopiata Reske/Nyström - rispettivamente vocals e chitarre – cosa che dovrebbe permettere al progetto di mantenere il suo peculiare carattere stilistico. Anzi, c'è da aspettarsi vadano ancora avanti, augurandoci che non ammorbidiscano troppo i suoni nel prossimo lavoro in studio.

Nota finale per la versione di "The Racing Heart": interpretazione appassionata, tratteggiata in chiaro/scuro con il gioco di dinamiche tra strofe e ritornello, che pure conserva intatta una inedita verve dark. Impensabile, solo dieci anni fa, che potessero colorare i loro toni di luce sinistra e fredda proprio nell'apollinea acustica di una cattedrale gotica. L'errore di sottovalutare un cuore che palpita.




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