I Dirty Three sono una band che ha una capacità eccezionale di far provare emozioni ed evocare immagini all’ascoltatore e questo disco, un concept-album sul mare, è probabilmente il loro capolavoro (ma consiglio vivamente anche "Horse Stories" e "Whatever you love you are"). L’ ensamble australiana è composta da una batteria tipicamente jazz che produce una ritmica aperta e sempre “in divenire”; una chitarra ritmica mai invadente e che si occupa prevalentemente di fare da contrappunto alla “voce” del violino che, ora suadente ora impetuosa, è la vera protagonista di Ocean Songs.

Per consuetudine dovremmo parlare di questo album etichettandolo come appartenente alla corrente post-rock, ma in questo caso sembra davvero riduttivo e un po’ fuorviante. Siamo piuttosto di fronte ad un’opera impressionista, dove i Dirty Three sono riusciti a sublimare tanto le delicate sensazioni che si provano al tramonto mentre si contempla una spiaggia deserta lambiti dal vento e dalle onde, quanto le arcane e travolgenti energie degli abissi.

La band riesce a fare sue le influenze musicali che percorrono il disco, reinventandole e plasmandole con l’odore della salsedine, i colori della memoria e lo strepitio del "ventre marino".

La matrice jazz è possibile riscontrarla nell’ariosa opener Sirena” e nella conclusiva e conciliante “Ends of the Earth” (ideale fine del viaggio), ma vi sono anche reminiscenze ambient dove l’elettronica è cancellata e sostituita dai tre strumenti che danno vita alla delicata ed evocativa “Backward Voyager” ed a “Black Tide”, quest' ultima un vero e proprio esperimento di mimesi di suoni marini interpretati da batteria, chitarra e violino.

Ma è nei “flussi di coscienza emozionali” che la band dà il meglio di sé: la lancinante malinconia di “The Restless Wave”; l’improvviso “pieno di luci” (dopo un inizio dove gli strumenti sembrano faticare ad accordarsi) di “Desert Shore”; “Last Horse on the Sand” dove una carezzevole lontananza si libra su un ritmo marziale di percussioni; la sinuosa “Sea Above, Sky Below” con il violino che stilla una melodia che pare una calda pozione che entra pian piano nelle vene.

In tutti questi pezzi,come già detto, il violino è il vero deus ex machina: a volte avvolgendo dolcemente i nostri sensi, altre accendendoli di una vigorosa fluidità marina.

I capolavori nel capolavoro sono le due lunghe suiteAuthentic Celestial Music” e “Deep Waters”. La prima è un vero e proprio viaggio ascensionale verso il cielo stellato a bordo di una zattera in mezzo al mare; il progressivo crescendo sembra il montare di un onda gigantesca a cavallo della quale possiamo quasi toccare il cosmo ed il campionario di sfumature prodotte dal violino tocca quì vertici prodigiosi. La seconda pare un’escursione negli abissi nei quali possiamo magicamente respirare ed addentrarci: in questo pezzo il crescendo è gioioso e sembra di poter danzare nella profondità marine fra coralli e pesci multicolori.

Per chi scrive uno dei capolavori degli anni '90.

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