C'è stato un tempo in cui anche Roma bruciò di noia e fu allora che apparvero i piromani.

Non è il 1977: in quei giorni le fiamme divampano a Londra.

In quei giorni Francois, Angelo, Roberta, Elena e Giorgio ancora giocano chi con il Big Jim, chi con la Barbie: microfoni, chitarre, bassi e batterie, e financo organi sono di là da venire.

Il tempo propizio è il 1987.

I ragazzi sono cresciuti, le loro strade in un modo o nell'altro si sono incrociate e già da qualche tempo hanno messo in piedi una banda: l'hanno chiamata The Kim Squad And Dinah Shore Headbangers.

Io ho sedici anni: non sono un punk ma la musica punk letteralmente mi manda in pappa il cervello e trita le budella. Ci sono tre momenti che vorrei durassero all'infinito: uno è quando pogo, l'altro quando faccio headbanging.

I Kim Squad diventano all'istante il “mio” gruppo: sono headbangers di nome e di fatto, ai loro concerti si poga fino allo sfinimento.

Neppure loro sono punk: quattro sono italiani, uno è francese; sono giovani bastardi innamorati del rock'n'roll e delle strade.

Hanno in repertorio una canzone titolata «Renaissance« che è pura dinamite, una cavalcata elettrica di oltre dieci minuti nei territori più selvatici del rock'n'roll; è il muro eretto dalle chitarre di Steve Wynn e Karl Precoda in «Definitely Clean», la solarità punk degli X in «The World's A Mess It's In My Kiss», l'incalzante call'n'response inscenato da Ray Charles in «What'd I Say». Per me, le surclassa tutte, per quanto assurdo sia.

Io ho sedici anni ed il momento che favorisco è l'approccio con la ragazza dei miei sogni.

Poi mi convinco che «Renassaince» è pure meglio, una scarica di adrenalina da far paura e che non ti abbandona per giorni e giorni, quel riff deve deflagrare ancora ed ancora ed ancora.

A sedici anni i miei approcci con l'altro sesso sono poco più che sporadici, dopo tutto è Johnny Rotten – mica il primo pisquano che incroci per strada – a sentenziare che il sesso è roba da animali, due minuti e mezzo di sfregamento appiccicaticcio e niente più: io ho «Renaissance» in discoteca per rimediare ai periodi di astinenza e tanto mi basta, per quanto assurdo sia anche questo.

I giovani bastardi, per l'intanto, cambiano ragione sociale – gli Headbangers cedono il passo agli Zeekapersma continuano a scrivere canzoni, fino ad averne a sufficienza per uscire allo scoperto. «Renaissance« la piazzano in chiusura, altre sette la precedono nel programma – le mie preferite «Harbour Dues» che parte come una jam blues a Chicago fino a lambire tante di quelle sponde, e «Macaibo» che inizia solare e leggera alla stregua di una qualsiasi «Here Comes Your Man» dei Pixies e poi ci pensa Giorgio ad iniettarvi abbondanti dosi di acida, grintosa elettricità in un finale denso di convulsioni e di brividi. «Young Bastards» è tutto qui, perché è il 1987 e non serve altro per suonare un grandissimo disco di rock'n'roll, in una Roma dove l'incendio divampa sempre più fuori controllo.

Francois è un autentico animale da palcoscenico, dalla fisicità strabordante: nel 1987 le platee impazziscono per Piero Pelù, ma Francois è tutta un'altra storia. Giorgio è il miglior chitarrista rock'n'roll a calcare le patrie scene: nel 1987 le platee impazziscono per Ghigo Renzulli, ma Giorgio è tutta un'altra storia. Niente da obiettare sui Litfiba nel 1987, ma fosse stato nelle loro mani, il futuro del rock'n'roll, oggi il rock'n'roll sarebbe morto e sepolto.

I Kim Squad suonano un rock'n'roll contaminato ed incompromesso come pochi altri a quel tempo (Not Moving, Boohoos), che è pure tanto tanto garage-oriented – Roberta potrebbe traslocare la sua bellissima presenza ed il suo organo nei ranghi dei puristi Sick Rose e nessuno avrebbe di che ridire – ma soprattutto e più forte di tutto questi giovani bastardi suonano grezzo, caldo ed erotico rock'n'roll; ed hanno anche l'impudenza e la faccia talmente tosta da (s)vestire i panni di Serge Gainsbourg e Jane Birkin in quella oscura riesumazione psichedelica di «Je T'Aime Moi Non Plus» in salsa doorsiana che è «Serge Est Un Salaud».

Solo che è il 2015.

I Kim Squad hanno rotto le righe da tanto tempo: Francois si è immerso in progetti solistici, sfogando liberamente il proprio talento lungo strade che incrociano cantautorato e teatro; Elena e Giorgio, almeno per un po', hanno continuato a vivere di bastardo rock'n'roll (Overlord e Garbages furono due dei gruppi più meritevoli e purtroppo misconosciuti della scena romana di fine '80); di Angelo e Roberta ho perso le tracce.

A me, che ho quarantaquattro anni, nell'ordine: piacerebbe approcciare la donna dei miei sogni; piacerebbe pogare; piacerebbe fare headbanging. In ventotto anni ho cambiato poco ma, perlomeno, ho compreso l'utilità del modo condizionale, nella teoria e nella pratica.

Per quanto assurdo sia, mi piacciono ancora quei bastardi dei Kim Squad, mi piace Roberta distesa lunga su un tavolo incasinatissimo (come Iggy Pop quando apro «Funhouse») che si sistema le cuffiette del walkman e con aria tanto strafottente quanto annoiata sembra chiedere al fotografo e pure a me: «Cazzo guardi?»; e mi piacciono le loro canzoni che non hanno perso un grammo di grezzitudine, calore ed erotismo rock'n'roll.

Per sempre, giovani bastardi (dentro). Loro, io e tutti quelli che se la sentono.


The Kim Squad And Dinah Shore Zeekapers (Headbangers) erano e saranno sempre:

  • Francois Regis Cambuzat: voce;

  • Angelo Pinna: batteria;

  • Roberta Possamai: organo;

  • Elena Palmieri: basso;

  • Giorgio Curcetti: chitarra.



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